Tra cambiamenti climatici e prospettive future |
Cronaca Locale
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Crisi idrica, siccità e cambiamenti climatici, Circolo Legambiente di #Terracina ‘Situazione preoccupante nel #Sudpontino’

29 luglio 2017 | 08:14
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Crisi idrica, siccità e cambiamenti climatici, Circolo Legambiente di #Terracina ‘Situazione preoccupante nel #Sudpontino’

Subiaco: “Per la Commissione Europea, il costo minimo di un mancato adattamento ai cambiamenti climatici sarebbe attorno 150 miliardi di euro annuali nel 2025.”

Crisi idrica, siccità e cambiamenti climatici, Circolo Legambiente di #Terracina ‘Situazione preoccupante nel #Sudpontino’

Il Faro on line – In Italia, come in molte altre nazioni, iniziano a essere ormai sempre più evidenti gli effetti dei cambiamenti climatici.
L’emergenza siccità che sta continuando a colpire da nord a sud tutta la Penisola- affermano i membri del Circolo Legambiente di Terracina- ci ricorda ancora una volta che il clima sta già cambiando con fenomeni metereologici estremi che ormai aumentano di anno in anno, come le recenti grandinate di luglio, causando danni all’ambiente, a settori strategici come l’agricoltura, la pesca e il turismo, e soprattutto mettendo in pericolo la salute e la vita delle persone.

Legambiente è in prima linea sulla stampa e in televisione per denunciare la gravità della situazione ma anche per attuare nuovi modelli di uso e gestione della preziosa risorsa, anche definendo incentivi e nuove regole: la nuova ecologia

Il bollettino rosso di queste ultime settimane è davvero preoccupante: caldo record, assenza di piogge con i 2/3 dei campi coltivati lungo la Penisola a secco.
Ormai ammontano già ad oltre 2 miliardi, secondo un’analisi Coldiretti, i danni provocati a coltivazioni e allevamenti.

Al momento, hanno richiesto lo stato di calamità già sei regioni: Toscana, Lazio, Campania, Emilia Romagna, Calabria e Sardegna.

La dichiarazione dello stato di eccezionale avversità atmosferica sarà formalizzata dopo la definitiva approvazione del d.l. Mezzogiorno.
Lo stato di calamità attiva il fondo di solidarietà nazionale, con strumento come la sospensione delle rate dei mutui e del pagamento dei contributi previdenziali e assistenziali a carico delle imprese agricole danneggiate e accesso al Fondo per il ristoro danni.

Anche nel Lazio la situazione è grave, l’Osservatorio permanente sugli usi idrici, coordinato dal ministero dell’Ambiente e dall’Autorità di Distretto dell’Appennino Centrale, si è riunito in varie occasioni nelle scorse settimane portando il problema della siccità da un livello di severità idrica media a un livello di severità idrica alta.
Una decisione presa con particolare riferimento alla difficile situazione del lago di Bracciano ma non solo.

Si evidenzia, nella comunicazione dell’osservatorio, come anche la provincia di Latina e Frosinone presentino carenze idriche, rispetto alla media, che vanno dal 20% al 70%.
Un dato confermato da un’ulteriore analisi presentata nei giorni scorsi da Legambiente nel dossier Goletta dei Laghi.

Per i Comuni del Lazio in cui sono presenti i laghi, si registrano a giugno 2017 valori di mm caduti di pioggia ridotti dell’80% rispetto ai massimi registrati negli anni precedenti, per Albano, Nemi, Canterno e Fiuggi, e fino all’85% nella zona di Bracciano, Trevignano e Bolsena.

Nell’ultima riunione dell’Osservatorio sugli usi idrici svoltasi il 26 luglio, presso la sede dell’Autorità di distretto dell’Appennino centrale, le Regioni del Distretto hanno illustrato la situazione di severità idrica in atto sul proprio territorio.
Il quadro di severità idrologica è confermato elevato, sulla base dell’aggiornamento dei dati al 24 luglio 2017.

È confermato il livello di severità idrica elevata per il Lazio dove con riferimento alla crisi idrica dell’ATO 2 Lazio Centrale, la Regione Lazio ha confermato che è in corso un confronto con il Comune di Roma ed il gestore Acea ATO 2 SpA, si stanno verificando tutte le possibili soluzioni al fine di trovare un punto di equilibrio tale da assicurare un accettabile livello di servizio per i cittadini, mitigando quanto più possibile i disagi, anche a tutela degli aspetti igienico-sanitari ed ambientali.

Già calendarizzata la prossima riunione per il 4 agosto alle ore 10.
Anche in questa occasione, le regioni del distretto dell’Appennino centrale, dovranno anticipare un’approfondita relazione dell’evoluzione della situazione idrica e fornire un rapporto sull’efficacia delle azioni emesse in campo.

Il cambiamento climatico impone un radicale cambiamento soprattutto nella gestione della risorsa idrica, occorre cambiare velocemente passo altrimenti ci si ritroverà in tempi brevi con riserve vuote ed ecosistemi acquatici danneggiati in maniera irreversibile.
Risulta, infatti, evidente come, con il passare degli anni, i giorni di pioggia diminuiscono, con un’evidenza delle conseguenze del cambiamento climatico in atto che anno dopo anno rende sempre più complessa la gestione della risorsa idrica, limitandone la disponibilità e favorendo il verificarsi di eventi estremi (alluvioni, allagamenti, intensi temporali, grandinate).

Uno scenario questo con cui dovremo fare sempre più i conti, ma servono validi strumenti, che ad oggi però sono ancora carenti, come i Piani di adattamento, a livello nazionale, a scala di bacino idrografico e a livello locale e di aree urbane.

Ma al tempo stesso la condizione in cui ci ritroviamo obbliga a ripensare drasticamente il modo in cui gestiamo, consumiamo e utilizziamo l’acqua, rendendo quindi prioritari, nella nostra regione, alcuni interventi e politiche fortemente innovative e di rottura rispetto al passato:

– Innanzitutto sul fronte dell’agricoltura- prima vittima di questa emergenza siccità-, serve iniziare un dibattito nazionale sull’acqua agricola e sull’acqua nel cibo.
A livello nazionale l’acqua per l’uso agricolo e l’allevamento è pari al 60% del consumo, il consumo industriale ed energetico ammonta al 22% , e quello domestico potabile solo al 18%!
Quindi, discutere e dibattere di acqua domestica in Italia, durante una crisi idrica, significa discutere del 18% della questione.
La maggior parte delle motivazioni di questa crisi idrica sono agricole, e il vero problema non è l’acqua che beviamo, ma è l’acqua che “mangiamo” (l’acqua contenuta nei cibi). E questo perché per arrivare a servire in tavola una bistecca abbiamo bisogno di utilizzare oltre 4 mila litri di acqua.
Occorre poi ripensare a una riconversione del sistema di irrigazione dei terreni agricoli (quasi totalmente fondato sulla modalità ad aspersione o a pioggia), puntando a sistemi di micro-irrigazione e a goccia, che possono garantire almeno il 50% del risparmio di acqua utilizzata e ragionare sugli scenari futuri di riconversione agricola verso colture meno idro-esigenti, o comunque adeguate alle condizioni climatiche e alle disponibilità idriche del territorio.
A un’analisi più attenta troveremo dei paradossi indicibili sul nostro territorio.
Guardiamo la produzione dei kiwi nella Pianura Pontina, una coltura idrovora che non appartiene alla nostra realtà agricola.
Infine, è necessario rivedere completamente il sistema di tariffazione degli usi dell’acqua (il costo idrico spesso è basso per la fascia agricola, e questo non costituisce sicuramente un disincentivo alla spreco) con un sistema di premialità e penalità che valorizzi le esperienze virtuose. Serve dare incentivi veri e sensati agli agricoltori che hanno un ruolo decisivo nel superamento di questa crisi.

– E’ fondamentale poi adeguare le condutture idriche.
È impensabile procedere con questi livelli di captazione di laghi e fiumi quando la dispersione idrica degli acquedotti laziali è altissima: secondo i dati di Ecosistema Urbano 2016, il completo Rapporto Annuale di Legambiente sulle Aree Urbane, l’acqua che si perde nelle tubature è il 44,4% a Roma, il 53,8% Rieti, il 67,0% a Latina e addirittura il 75,4% Frosinone.
In pratica, oltre la metà dell’acqua di sorgente o prelevata da altri corpi idrici, come dimostra il caso di Bracciano, che entra negli acquedotti, si disperde prima di essere utilizzabile per usi civili.
Va, quindi, affrontato e risolto con piani di investimento consistenti il problema della dispersione idrica di una rete di captazione, adduzione e distribuzione che fa acqua da tutte le parti (e non è un gioco di parole), la questione delle eccessive captazioni idropotabili e il sovra sfruttamento della risorsa idrica che rischiano di produrre disastri ambientali inimmaginabili ed irreversibili.

Bisogna intervenire sull’uso e il consumo di acqua nelle città (con un cambio degli stili di vita per evitare gli sprechi eccessivi) che è alle stelle con 165 litri al giorno per abitante a Roma, seguono Rieti (152 l/ab/gg), Latina (143 l/ab/gg) e Frosinone (125 l/ab/gg).
E’ fondamentale inserire sempre di più la voce del risparmio idrico all’interno dei regolamenti edilizi.
Molti comuni già lo stanno facendo obbligando e/o incentivando azioni come le cassette wc a doppio scarico e l’utilizzo dei riduttori di flusso.
Una buona pratica che fa bene e che andrebbe replicata su tutto il territorio. Mettere in pratica azioni per il risparmio della risorsa idrica nelle case (attraverso la raccolta della pioggia e la separazione, trattamento e riuso delle acque grigie), adottare dei regolamenti edilizi per la riqualificazione degli edifici anche dal punto di vista idrico sono scelte obbligate e fondamentali, per una concreta politica di tutela della risorsa. Ma soprattutto sono interventi a basso costo, da parte delle amministrazioni, che consentono da subito risultati concreti.
In questo senso va nella giusta direzione la nuova “Legge sulla Rigenerazione Urbana e Recupero Edilizio” della Regione Lazio che mette in campo premialità connesse proprio all’adozione di tecnologie per il recupero e riuso delle acque meteoriche, durante gli interventi edilizi che lo permettano.

– Inoltre per ridurre i prelievi di acqua e gli scarichi nei corpi idrici ricettori, occorre praticare il riutilizzo delle acque reflue depurate in agricoltura, così come nell’industria e sul piano della gestione della risorsa è necessario che la Regione Lazio metta in campo politiche indirizzate verso la tutela, il risparmio e l’efficienza nell’uso dell’acqua.
Oggi i nuovi Piani di gestione a livello di distretto idrografico, calati poi nei Pta (piani di tutela delle acque regionali), devono prevedere strumenti concreti che si trasformano in piani di gestione locale, indirizzati al risparmio e alla tutela quantitativa della risorsa idrica.

-Infine occorre rendere sempre più efficace il sistema dei controlli preventivi da parte degli enti locali e di quelli repressivi da parte delle forze dell’ordine, dei prelievi abusivi di acqua dalle aste fluviali e dalle falde, così come occorre aggiornare il censimento dei pozzi di prelievo idrico e irriguo.

In sintesi, è necessario cambiare rapidamente paradigma e passare dal concetto di un’acqua unica (risorsa infinita e prevalentemente potabile) utilizzata per tutti gli usi a un concetto di molti tipi di acqua (risorsa finita e da riutilizzare al massimo) ognuno per un uso diverso (per bere, per innaffiare, per la doccia, per il bagno, per lavare in casa, per cucinare, per lavare le macchine in città, per l’agricoltura, per l’allevamento, per l’industria, etc.).
Acque diverse per usi diversi o anche la stessa acqua recuperata e utilizzata più volte per usi diversi, riservando la preziosa acqua potabile esclusivamente agli usi per la quale è indispensabile.

Anche la provincia di Latina risulta tra quelle maggiormente colpite dalla siccità e dalla crisi idrica, con acqua a singhiozzo e disagi in mezza provincia pontina con giornate difficili che sono state e sono tuttora vissute principalmente nei comuni del sud pontino (Minturno, Formia Gaeta, Fondi, Castelforte, Itri, Spigno Saturnia e Santi Cosma e Damiano) ma anche dei Monti Lepini (Priverno, Maenza, Roccagorga) con una riduzione dal 30% al 50% della disponibilità complessiva rispetto al fabbisogno idrico minimo stimato per il periodo luglio-agosto (dati Acqualatina 2017).

Nell’ultima riunione del 26 luglio scorso dell’Osservatorio Permanente Sugli Usi Idrici coordinato dal Ministero dell’Ambiente, i rispettivi Enti d’ambito territoriale ottimale, della provincia di Latina e di Frosinone, hanno segnalato una crescente situazione di preoccupazione che sta interessando la disponibilità delle risorse idriche a uso potabile, anche qui a causa della drastica riduzione della portata in alcune delle principali fonti di approvvigionamento.

Oltre alle ordinarie manovre di regolazione della pressione, chiusure notturne e a volte diurne per permettere il riempimento dei serbatoi e la ricerca e riparazione delle perdite di maggiore entità, è in atto un piano di emergenza che, stoppata l’installazione dei dissalatori a Formia e ora anche a Ventotene (il cui impatto ambientale specifico merita di essere approfondito con studi e periodi significativi di sperimentazione in loco non certo compatibili con i tempi dell’emergenza), prevede l’approvvigionamento di acqua potabile con navi cisterna dal porto di Napoli per le isole di Ponza e Ventotene e per le città del Golfo di Gaeta, l’impianto di potabilizzazione nell’area industriale Panapesca a Gaeta e il ripristino di alcune fonti che erano state abbandonate nel tempo. Andrebbe anche valutata la possibilità di costruire by-pass veloci con reti idriche di Ato confinanti che hanno disponibilità di risorsa idrica.

Il nostro territorio di Terracina,- proseguono i membri del Circolo- alimentato dalle imponenti sorgenti di Ponticelli e di Colle Francesconi, è stato oggetto, negli anni, di una maggiore attività di ricerca delle perdite fisiche con consistenti interventi di rifacimento della rete di distribuzione da parte del Gestore che, uniti a un uso più accorto della risorsa idrica, sembrano per ora tenerlo fuori dalla crisi.

Il modello attuale di gestione delle Ato con i comuni che detengono il 51% e le società private (molte francesi) con il 49% non sembra sicuramente quello più adatto in questo quadro di riferimento di siccità e crisi idrica che è destinata, purtroppo, ad aggravarsi nei prossimi anni a causa dei cambiamenti climatici.

In alcuni casi, gli enti pubblici non vogliono, in altri non hanno le competenze per controllare i gestori privati, in altri non sono in grado (per le dinamiche politiche) di mantenere gli impegni presi di medio-lungo (si veda il caso del dissalatore di Ventotene) sui piani industriali di intervento.

Per quanto riguarda il nostro ATO4, – continuano i membri del Circolo- esiste un piano, approvato con Deliberazione n. 17 del 20/12/2016 dalla Conferenza dei Sindaci e dai Presidenti dell’Ato4 denominato “Nuove Risorse”, che aveva dato il via a una serie di interventi di recupero dispersioni fisiche con uno stanziamento di 70 milioni di euro, ma non è stato sufficiente alla luce dei gravi abbassamenti di falda associati a un grave calo delle piogge pari a circa il 50% rispetto all’estate del 2013, e siamo già a un Piano Straordinario di emergenza con una richiesta, da parte del Gestore Acqualatina, di incrementare gli investimenti sulla rete di almeno 150-160 milioni di euro nei prossimi 15 anni (che traguarda un obiettivo di perdite fisiche al 2032 del 35%), rispetto a quelli già approvati, con un impegno ulteriore di circa 10 milioni di euro l’anno che risulterebbe però insostenibile per la tariffa attuale ATO4 (Dati Acqualatina 2017).

Non si ha invece notizia dell’attuazione della importante legge della Regione Lazio n.5 del 2014 “Tutela, governo e gestione pubblica delle acque” che prevede, attraverso il piano di sicurezza delle acque destinate al consumo umano (art. 4 bis), anche misure di governo, prevenzione e risoluzione sistematica e non emergenziale delle problematiche.

Per le interruzioni di servizio e di comunicazione e i conseguenti disservizi è stata nel frattempo promossa una class action nei confronti di Acqualatina per il riconoscimento dei diritti degli utenti in relazione alla somministrazione di acqua, e sono stati presentati altri esposti, come quello recente e completo dell’associazione Pendolari Stazione Minturno Scauri e della Confconsumatori – Federazione Provinciale Latina considerando che la legge regionale evidenzia all’art. 2 che “la disponibilità e l’accesso individuale e collettivo all’acqua potabile, in attuazione dei principi costituzionali, sono garantiti in quanto diritti inalienabili e inviolabili della persona”.

Visto il quadro critico di riferimento che si prospetta nei prossimi anni e gli enormi investimenti necessari per risanare la rete idrica andrebbe ripreso invece l’indirizzo espresso dal referendum sull’acqua del 2011 e fedelmente riportato nella legge regionale L.R. del 4 Aprile 2014, n. 5, andando verso una gestione dell’acqua (bene comune naturale e diritto umano universale) completamente pubblica con società gestite dallo stato che reinvestono i guadagni nella manutenzione della rete invece che convertirli in dividendi per gli azionisti privati e pubblici come avviene oggi.

Questo si può fare,- proseguono- ci sono già esempi di aziende pubbliche virtuose in Italia, ad esempio a Milano dove una azienda pubblica offre un ottimo servizio ai cittadini e ha reso Milano la metropoli europea con la più alta percentuale di raccolta differenziata.

“Anche il nostro territorio ha risentito negli ultimi anni in modi diversi degli impatti dei cambiamenti climatici con danni causati da eventi meteorici particolarmente intensi che provocano siccità, frane e dissesti o piene dei corsi d’acqua, eventi che accadono con frequenza e intensità crescenti e che non è più possibile far rientrare nella categoria delle “calamità” o della “fatalità non prevedibile” ma è necessario avviare piuttosto una riflessione seria e sistematica su come prevenire gli impatti causati e su come “adattare” il nostro habitat a un clima che è cambiato e che è destinato, nei prossimi anni, certo a non migliorare.

Dobbiamo avviare, soprattutto a livello locale, una seria valutazione delle vulnerabilità del nostro territorio (uso e consumo del suolo, siccità, consumo di acqua e sistema idrico, ondate ed isole di calore, eventi estremi di pioggia e rischio idrogeologico), dei rischi (incendi, frane, alluvioni, allagamenti, carenza idrica, etc) e dei danni (rilevanti a settori importanti come l’agricoltura, l’industria e il turismo, all’ambiente, alle infrastrutture) e questo è possibile dal 2015 attraverso il nuovo Patto dei Sindaci che con il Paesc mira a definire a livello locale non solo la strategia di mitigazione (abbassare le emissioni di CO2 in chiave energetica per limitare l’innalzamento della temperatura terrestre), come in precedenza, ma anche la strategia di adattamento (adattare i territori ai cambiamenti climatici già in atto).

Occorre definire una pianificazione territoriale puntuale (Piano di Adattamento al Clima), a livello comunale o anche a livello di distretto territoriale accorpando più Comuni, definendo obiettivi, strategie ed azioni di intervento, riportando con urgenza questi temi al centro delle politiche di governo della città e del territorio ma anche assegnando responsabilità precise ed obiettivi chiari agli Enti coinvolti, creando e diffondendo una nuova cultura basata sull’adattamento climatico, sviluppando una nuova economia che punti concretamente su innovazione e sostenibilità.

Certo c’è bisogno di soldi per intervenire su un territorio già fortemente provato, e spesso ci sentiamo dire che i soldi non ci sono. I soldi, forse non c’è ne sono molti, ma quelli che ci sono dobbiamo spenderli bene, vanno cambiate le priorità cominciando a investire sulla cura del territorio e su una corretta manutenzione della rete idrica, delle strade, dei ponti (vedi gli enormi problemi generati dalla interruzione, per cause strutturali, del Ponte sul Sisto tra Terracina e San Felice Circeo), delle ferrovie e delle altre infrastrutture vitali piuttosto che continuare a pensare a nuovi grandi opere, spesso inutili, destinate a consumare e impermeabilizzare altro suolo.

Secondo la Commissione Europea, il costo minimo di un mancato adattamento ai cambiamenti climatici a livello europeo andrebbe dai 150 miliardi di euro all’anno nel 2025 ai 300 miliardi di euro all’anno nel 2050.
Insomma, quello che non spendiamo oggi, per proteggere il nostro territorio, lo pagheremo salato negli anni a venire”, conclude l’ingegner Gabriele Subiaco vicepresidente e responsabile scientifico del Circolo Legambiente di Terracina.