Il Pd riparte da Franceschini che predica ‘ottimismo’

21 febbraio 2009 | 19:39
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Il Pd riparte da Franceschini che predica ‘ottimismo’

Il Partito democratico ricomincia da Franceschini. Come previsto, come auspicato da molti. Il Pd rilancia “l’ottimismo”, unica cura contro la debacle elettorale, e il neo segretario-traghettatore esorta i militanti sulle note di ‘Canzone popolare’ a “lavorare per costruire un nuovo giorno”. Nessuna sorpresa e timori della vigilia smentiti, dunque, nel giorno dell’Assemblea democratica che ha prima deciso di procedere all’elezione del nuovo leader, bocciando la proposta di Parisi di scegliere la via delle primarie, poi incoronato il vice di Veltroni come suo successore. Votano 1258 delegati, 1047 per Franceschini, non mancano contestazioni e momenti di tensione, ma il redde rationem non arriva mai veramente. Non si negano crisi ed errori, ma la parola d’ordine è una: non si torna indietro. Purchè non si ceda a tentazioni gattopardesche: via il governo ombra e il coordinamento, ha promesso Franceschini, resterà in piedi solo la direzione perchè è stata eletta.


La giornata più lunga della storia del Pd si sarebbe dovuta aprire con la protesta degli ultrà delle primarie guidati da Arturo Parisi. Ma l’autoconvocazione appare da subito un flop e lo stesso Gad Lerner, che sul suo blog invitava “tutti coloro che si oppongono all’ennesimo accordo di un vertice screditato” a presentarsi di prima mattina alla Fiera di Roma, assicura: “E’ stato tutto un equivoco”. I ‘ribelli’ si fanno però sentire in sala, nell’unico momento di tensione registrato nella giornata: ma fischi e contestazioni per Ermete Realacci, che dal palco boccia l’ipotesi di primarie, durano poco e hanno il solo effetto di fare infuriare la presidente dell’Assemblea, Anna Finocchiaro: “non intendo consentire che un’assemblea seria sia turbata da eccessi di protagonismo”. Proprio la capogruppo del Senato, in apertura, aveva spronato i militanti: “Non torniamo indietro, non abbiamo paura. Non c’è nessun 8 settembre che ci attende”.


Una posizione subito sposata da Dario Franceschini, che dal palco ancor prima del voto parla già da leader: “Non ci sarà crisi, né scontri tra gruppi dirigenti, né risultati elettorali negativi che ci possano fare rinunciare all’idea che il nostro futuro è solo comune”. Nessuna assoluzione per gli errori compiuti, “è il momento della verità“, ma anche rivendicazione delle cose fatte e onore alle armi per Prodi e Veltroni, grande assente della giornata: “Non è vero che non ce l’ha fatta, – sottolinea Franceschini – senza di lui non sarebbe nato il Pd”. Poi il programma per il futuro prossimo, che inizia già lunedì visto che il mandato per il neo-segretario è a tempo determinato. La prima mossa è annunciata: “Azzererò il coordinamento, il governo ombra, non la direzione che è stata eletta”. Il tutto in piena autonomia: “Sceglierò io e chi batte le mani adesso non venga domani a chiedere di nominare qualcuno”. E d’ora in poi, ammonisce, “mai più interviste sulle nostre divisioni”. Si lavora insieme sulle questioni sul tavolo, con una linea chiara che Franceschini illustra a costo “di qualche consenso”: dalla collocazione europea del partito (“non entreremo nel Pse ma lavoreremo per costruire in Europa un luogo in cui stiano insieme tutti i riformisti”), alle alleanze (dialogo con sinistra e Udc ma niente “marce indietro” sulla vocazione maggioritaria), dalla richiesta di unità al sindacato al testamento biologico e alla rivendicazione della “laicità” dello Stato. Un discorso “nè di sinistra, nè di centro”, ma “democratico” che punta sulla difesa della Costituzione e non risparmia un affondo a Berlusconi: “ha in mente una forma moderna di autoritarismo. Non vuole governare il Paese, vuole diventare padrone d’Italia”.


Il popolo del Pd, dunque, guarda avanti: la giornata si chiude con uno “stato d’animo” ben “diverso” da quello con cui era cominciata, osserva Franceschini, confermato da molti dei commenti dei ‘big’, a cominciare dall’ex segretario: “Dario è la persona giusta per guidare il partito verso le nuove sfide che penso potranno vedere per il Pd quei successi che merita”, è la benedizione di Veltroni. Soddisfatti anche gli altri big del partito, come D’Alema, “era l’unica scelta ragionevole”, Marini, “ora possiamo ripartire”, Bindi, “adesso si ricomincia” e Rutelli, secondo cui il partito ha dato oggi una “prova convinta di responsabilità“. Rimane critico Arturo Parisi, che dal palco invitava i militanti a non affidare il destino del Pd “a coloro che ci hanno condotto in questo pantano”.