Savina Caylyng, equipaggio ancora ostaggio dei pirati

12 agosto 2011 | 12:00
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Savina Caylyng, equipaggio ancora ostaggio dei pirati

La disperazione a bordo e la rabbia dei parenti

Il Faro on line – Sono trascorsi ormai sei mesi da quell’otto febbraio, da quando la petroliera Savina Caylyng dei Fratelli D’Amato Navigazione di Napoli, veniva abbordata e sequestrata dai pirati somali al largo  dell’isola di Socotra nelle acque del golfo di Aden. Ventidue i membri dell’equipaggio, cinque italiani e diciassette indiani, che dalle prime ore dell’alba di quell’8 febbraio convivo costantemente con la morte. Tra i componenti dell’equipaggio c’è anche un cittadino di Gaeta, il 62enne Direttore di Macchina Antonio Verrecchia a bordo della petroliera dal 15 ottobre 2010.

Quasi un anno dal suo imbarco che mai avrebbe pensato si sarebbe tramutato, pochi mesi più tardi, in un incubo senza fine. 180 giorni di prigionia, in uno scenario caldissimo, con temperature pazzesche e scarsità di viveri e bevande, con l’incubo del carburante a bordo che è quasi esaurito, cosa che non permette più i normali servizi di bordo. 6 lunghi mesi con i mitra puntati addosso e con il drammatico dubbio di essere stati abbandonati dal proprio Paese, mentre la Farnesina tace su tutta la linea.

Sono ore di angoscia, così come confermato da Nicola Verrecchia (nella foto), figlio del Direttore di Macchia di Gaeta, il quale non nasconde la propria rabbia di fronte al silenzio assordante della Compagnia di Navigazione partenopea e soprattutto del Governo italiano e della Farnesina, per una vicenda sempre più complessa, dopo che i primi di giungo era fallita una trattativa di riscatto con i pirati somali. Intanto a bordo della nave i marittimi versano in una condizione al limite della sopportazione umana: afflitti fisicamente e sconfortati moralmente da quello che percepiscono come un senso di abbandono da parte della propria Patria.
Andrea Brengola