Caligola, un eroe della plebe

7 gennaio 2013 | 00:42
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Caligola, un eroe della plebe

Il Faro on line – Caio Giulio Cesare Germanico, soprannominato Caligola, cioè scarpetta,  dal nome delle calzature militari, le caligae, calzate da bambino nell’accampamento del padre in Germania, passa alla storia come uno degli imperatori più folli mai esistiti. Un folle che commette incesto con le sue tre sorelle; che si accoppia smodatamente con le mogli dei suoi ospiti durante le cene imperiali; che pretende lo ius primae noctis come segno di fedeltà da parte dei senatori; che nomina console il suo amato cavallo Incitatus. Un folle che però ama farsi raffigurare, sulle monete in atteggiamenti umili e religiosi, come nel celebre e rarissimo sesterzio della Pietas in cui è rappresentato, nelle vesti di sacerdote in un tempio, nell’atto di offrire un sacrificio agli dei. Lo stesso folle che ama coniare monete in memoria di eroi del passato, come il padre Germanico, e di Augusto, esempio massimo di virtù romana. Un folle che dedica una serie di monete  all’unica dea del focolare, cara alla plebe di Roma, la dea Vesta. Quel folle al quale viene dedicata la speciale benemerenza della corona civile raffigurata su una emissione di monete volute dal senato ob cives servatos, per aver salvato i cittadini. 

E’ molto probabile però che le follie di Caligola non fossero il frutto di una malattia mentale, ma il freddo calcolo di una politica tesa ad annichilire l’autorità e il prestigio del senato. Una spietata strategia tendente ad azzerare tutte le classi sociali di Roma per rendere tutti i Romani uguali al di sotto del dominio assoluto dell’imperatore.  Ucciso lo zio Tiberio, dopo averne dovuto sopportare le molestie per ben 6 anni a Capri, Caligola diviene imperatore a soli 24 anni, nel 39 d. C.. Un giovane imperatore acclamato da tutti, tanto che furono sacrificati ben 160 mila animali nei templi dell’impero. Dal popolo stanco del vecchio depravato Tiberio che non amava Roma; dal senato, che pensava di poter facilmente manipolare uno sbarbatello; dall’esercito giacché si vedeva in lui la virtù militare del suo grande padre Germanico, il valoroso generale che aveva vendicato Roma dopo la rovinosa sconfitta militare romana a Teotoburgo, che costò ad Augusto 20mila uomini. 

E in effetti Caligola non deluse le aspettative; appena divenuto imperatore promulgò un’amnistia generale; revocò la censura; richiamò tutti gli esiliati dal vecchio regime; tagliò le tasse ai poveri e dichiarò annullati tutti i debiti nei confronti dello Stato; destinò fondi pubblici alle opere quali gli acquedotti. Lo stesso acquedotto della via Ostiense, che riforniva i pozzi di Ostia antica, fu costruito da Caligola. Decise però di andare oltre. Per accattivarsi il favore della plebe; abolì i privilegi senatoriali; abolì i posti riservati nei teatri e nei circhi ai notabili; distribuì oltre 3 miliardi di sesterzi alla plebe di Roma, una cifra molto vicina ai 18mila miliardi di euro attuali. Più di quanto avevano fatto Tiberio e Augusto nei precedenti 39 anni di impero. Tutti questi comportamenti, uniti agli episodi tramandati da Svetonio e da Seneca, quali quello del Cavallo Incitatus, ci suggeriscono che Caligola desiderava fortemente umiliare il senato e presentarsi come l’eroe della plebe e dei soldati. Un disegno specifico di despota e dittatore, amico del popolo, caro alla storia e che si duplicherà in centinaia di figure, fino ai giorni nostri. 

Del resto le persone comuni a Roma  detestavano i senatori, odiavano i ricchi latifondisti, cioè tutti quegli esponenti del ceto nobiliare che aveva governato la repubblica, per ben 500 anni, unicamente a proprio vantaggio. E cominciarono ad amare Caligola, acclamandolo a campione che li difendeva dagli avidi e arroganti aristocratici. Ai quali Caligola infliggeva umiliazioni mai viste, come quando costrinse tutte le donne delle famiglie più nobili di Roma ad esercitare la prostituzione nel lupanare imperiale alle pendici del palatino. O come quando, in mancanza di prigionieri per i leoni, costrinse ad entrare nell’arena le prime cinque file del circo di solito occupate dai ricchi. Tutti amavano Caligola. Tranne ovviamente coloro dai quali desiderava farsi odiare cioè i senatori e i nobili, tra l’altro abituati a tramare per questioni di potere. Al contrario di quanto ci riferiscono le fonti dunque! Ma del resto le fonti dell’epoca erano senatorie e sarebbe come rileggere la storia dei giorni nostri, fra mille anni, nei discorsi di Berlusconi contro i leader della sinistra. Una faziosità tipica della propaganda politica. 

Credo invece che Caligola malgrado la fama costruita in millenni di storia contraria e malevola, fosse il primo prototipo di demagogo moderno, capace di utilizzare ogni mezzo, perfino la tortura, e la violenza, per i propri fini politici; capace anche di valorizzare il ruolo delle proprie donne nella politica come fece nel valorizzare le sorelle, Agrippina,  Drusilla e Giulia, alle quali aveva affidato compiti importanti. E di qui l’accusa di incesto. Commise però un fatale errore. Schernire il capo della propria sicurezza, il comandante dei pretoriani, Cassio Cherea, che si dice fosse effeminato, fatto comune nella Roma antica ma certo disdicevole per un comandante pretoriano. Si dice che Caligola fu così pesante durante un discorso pubblico che Cherea decise di vendicarsi trucidando imperatore e famiglia e ponendo fine all’impero di Caligola. Un impero durato appena 3 anni 10 mesi e 8 giorni in cui la plebe di Roma conobbe il proprio unico e vero paladino e non il mostro che la storiografia senatoriale ha invece consegnato alla leggenda.
Numismaticus