“Giorno della Memoria” all’Istituto Verne

23 febbraio 2013 | 00:58
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“Giorno della Memoria” all’Istituto Verne

Alberto Sed a distanza di oltre 65 anni dalla deportazione ha deciso di raccontare ai ragazzi come è riuscito a ricostruirsi una vita

Il Faro on line – L’Istituto “Giulio Verne” di Acilia, all’interno della manifestazione La Giornata della Memoria per ricordare le vittime dell’Olocausto, ha invitato Alberto Sed, sopravvissuto alla deportazione di Auschwitz – Birkenau. Alberto Sed a distanza di oltre 65 anni dalla deportazione ha deciso di raccontare come è riuscito a resistere al lager e a ricostruirsi una vita. La sua storia, da cui è tratto il libro “Sono stato un numero” di Roberto Riccardi, Editrice Giuntina, è legata alla riduzione della sua esistenza ad un numero: Alberto Sed nel 1944 ad Auschwitz divenne A-5491. Solo un numero, in cambio di un’identità e un’umanità violate, fatte a pezzi, cancellate. Era l’ottobre del 1943 quando Alberto, insieme alla madre Enrica e alle sorelle Angelica, Fatina ed Emma, venne preso a Roma e portato nel campo della morte di Birkenau, nel comprensorio di Auschwitz. La madre Enrica e la piccola Emma, di nove anni, furono uccise nelle camere a gas il giorno stesso dell’arrivo perché la prima selezione le giudicò inabili al lavoro. La sorella Angelica fu sbranata dai cani, aizzati contro di lei dalle SS per un sadico divertimento. L’altra sorella Fatina, sottoposta nel lager ai crudeli esperimenti del dottor Mengele, tornò a casa segnata da cicatrici profonde prima di morire senza essersi mai ripresa da quell’orrore. Alberto è rimasto in vita scampando a numerosi altri fatti tragici come le selezioni, le torture e gli stenti, le “marce della morte” e il bombardamento del campo di Dora, dove era stato portato e dove fu infine liberato. Nel lager dovette adattarsi a lavori faticosi e a mansioni terribili, come sistemare i bambini che arrivavano al campo sui carretti che li portavano al crematorio. A volte le SS ordinavano ai prigionieri di lanciare i bambini in aria, per fare il tiro a segno. Per avere più cibo, Sed accettò di fare il pugile: per gli incontri, che avvenivano la domenica e che costituivano un momento di svago per gli aguzzini, riceveva in premio qualche buccia di patate o di mele. 

Grazie alla preside Raffaella Massacesi e alla professoressa Simona Gamarra Bulla, l’Istituto di via di Saponara 150 ogni anno realizza eventi che mirano alla crescita civile degli studenti. Eventi dove gli ospiti raccontano la loro coinvolgente e toccante esperienza. “La testimonianza di Alberto Sed – dichiara Bulla – è un diritto e un dovere. I testimoni devono cancellare i rimorsi perché non è una colpa essere sopravvissuti; raccontare è un dovere, un segno di rispetto verso la morte dei loro compagni, perché essa non sia stata inutile o solo un buco nero della storia. Perché non possiamo negare il passato e pretendere di costruire un futuro migliore. Noi ci dobbiamo ritenere fortunati per aver avuto la possibilità di ascoltare testimonianze dirette, vissute in prima persona, non filtrate o lette sui libri per aiutare la memoria collettiva a non dimenticare”.
Tania Servidei