“Agostinelli”, la storia di un museo unico al mondo

1 aprile 2013 | 00:55
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“Agostinelli”, la storia di un museo unico al mondo

INCHIESTA – 1 – Ad Acilia le innumerevoli collezioni di Donato raccolte in più di quaranta anni di viaggi e incontri

Il Faro on line – Entrare nel museo Agostinelli vuol dire intraprendere un viaggio nel tempo. Appena si varca la porta, si può osservare solo una parte di quella enorme miniera di oggetti che Donato Agostinelli ha collezionato sin da giovane. 14 quintali di bottoni (tenete presente che per farne un chilo ce ne vogliono circa mille), 3200 ombrelli, più di mille ferri da stiro, tre quintali di monete, più di cento chili di francobolli sono solo alcuni dei numeri delle sue collezioni. La particolarità del museo non è solo il valore artistico o monetario degli oggetti che contiene ma la storia che essi rappresentano. Sono testimoni di epoche passate, documentano le varie attività della vita quotidiana delle classi popolari del periodo tra l’inizio dell’età moderna e gli anni Cinquanta del secolo scorso.Il museo occupa complessivamente due piani di una palazzina e sei depositi in cui si possono trovare persino uova di dinosauro, risalenti a duecento milioni di anni fa, acquistate in America o anche alcune ciocche dei capelli di Anita e Garibaldi, provenienti dal museo di Caprera.

“Ho iniziato vendendo quadri con i miei fratelli – ci racconta Donato Agostinelli -. Stampavamo i santini, compravamo i vetri dai vetrai e i nastrini come ornamento. Ogni quadro costava cento lire. Venivamo chiamati i Santari di Campli. Non tutti potevano permetterseli, quindi spesso ricorrevano al baratto. In cambio di un quadro, ci davano cibo a mezzogiorno o un posto per dormire nelle stalle o nei fienili oppure anche oggetti. Quelli più piccoli e belli li tenevo, quelli più grandi li vendevo perché non avrei saputo dove metterli. Ogni persona che ci donava un oggetto, ci raccontava la sua storia e così la cosa barattata acquistava un valore maggiore. Non parlo di valore monetario, ma di valore storico-culturale. Ed è allora che ho imparato un cosa molto importante: ciò che non si conosce, non si apprezza e non si ama”.
Donato Agostinelli è qualcosa di più di un collezionista soddisfatto, il museo è tutta la sua vita; guarda e accarezza gli oggetti e per ognuno ripercorre il percorso effettuato per venirne in possesso.

“È una passione che ti viene da dentro – continua Donato – e che non si placa mai. Ogni oggetto sembra essere lì per essere acquistato e conservato e ogni volta l’emozione è diversa. E’ come se facessi un viaggio nel tempo e riuscissi a toccare la vera cultura. Non è come il Colosseo o i grandi monumenti che sono solo architettura, con questi oggetti vieni catapultato nella vita sociale del tempo, capisci come viveva la gente, ricolleghi i tanti piccoli oggetti e fai un mosaico e ti tuffi in quella cultura. Torni indietro di mille anni, in quell’aspetto della cultura snobbato dalla massa che guarda solo al valore venale.”

E allora ecco che ci mostra un tappo per bottiglie di birra, alamari, uno strumento per fare il gelato risalente ai tempi della guerra. E mentre le sue mani li sfiorano, Donato ci dice: “È una grande emozione, la bellezza della scoperta, l’oggetto ti cerca e alla fine ti trova. Un po’ come l’amore. È un momento magico, desideri una cosa per tanto tempo e poi finalmente arriva. Sono emozioni che restano e che non vanno più via.”

Ma  Donato Agostinelli ha fatto ancora di più: ha messo tutti gli oggetti raccolti che vanno dal 1950 al 2000 in una stanza che poi ha murato con una parete di 20 metri quadri. Poi ha fatto testamento: solo nel 2050 quella stanza si potrà riaprire. 
Isotta Rodriguez Pereira