E’ primavera, sbocciano le Quote rosa

15 aprile 2013 | 04:17
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E’ primavera, sbocciano le Quote rosa

In questa tornata elettorale si sceglierà un consigliere di sesso maschile e uno femminile. Nella stessa scheda

Il  Faro on line – L’11 dicembre 2012 è stata ufficialmente pubblicata la Legge n.215, volta a promuovere la parità effettiva di donne e uomini nell’accesso alle cariche elettive e ai pubblici uffici delle autonomie territoriali. Una Legge sulla quale ci siamo accorti che c’è totale disinformazione e della quale molti molfettesi non sono assolutamente a conoscenza. In particolare, il provvedimento introduce due misure rilevanti. La prima è una quota di lista, in virtù della quale nessuno dei due sessi può essere rappresentato nelle liste in misura superiore ai due terzi dei candidati. La seconda è la doppia preferenza di genere, ossia la possibilità – per la prima volta in assoluto – di esprimere due preferenze per i candidati a consigliere comunale: una per un candidato di sesso maschile e l’altra per un candidato di sesso femminile della stessa lista. Cosa significa tutto questo? Più donne candidate per le elezioni comunali, pena la decadenza della lista e doppia preferenza uomo-donna. La Legge è ormai definitiva. E’ passata a dicembre scorso con 349 voti favorevoli, 25 contrari e 66 astenuti.

La Commissione europea ha elaborato una proposta, che prevede che entro il 2020 il 40% dei posti nei consigli di amministrazione delle società quotate sia riservato alle donne. La cancelliera tedesca Angela Merkel starebbe pensando di bloccare la normativa. L’Italia ha già introdotto un obbligo, limitandolo però al 30% dei posti. 

Fin qui le regole. Che, guardando la composizione dei consigli comunali di Fiumicino, sembrano essere opportune e utili. La propensione maschilista all’interno dei Consigli succedutisi fino a oggi mi sembra di tutta evidenza. Ma il discorso sulle “quote rosa” è insidioso, sdrucciolevole. E non sempre ciò che sembra positivo è in realtà una cosa buona. Sia per motivi squisitamente ideali, sia per motivi meramente pratici.

Prima di tutto va sottolineato come l’esigenza di disporre per legge un “privilegio” di genere sia interpretabile da punti di vista opposti: se c’è una esigenza innegabile di dare finalmente visibilità a un mondo come quello femminile per troppi anni soffocato da pregiudizi e ostacoli, dall’altra c’è anche il rischio di mettere in posti chiave chi non ha le competenze adeguate o – quand’anche le avesse – di vedersi affibbiato il cliché di quella che arriva non per meriti ma per legge, e saremmo punto e accapo. “Nilde Jotti – ci scrive in una lettera Bruna Di Berardino – non ha avuto bisogno di quote rosa per diventare la prima presidente della Camera, e non ne ha avuto bisogno neppure Tina Anselmi, prima donna Ministro, alla quale dobbiamo la Legge sulle pari opportunità (9 dicembre 1997 n. 903). La società era meno maschilista, oppure avrà influito la loro esperienza (pur su sponde opposte) di staffetta partigiana? Io sono per la seconda ipotesi”. Giusto, ma si tratta pur sempre di numeri esigui, e non credo ragionevolmente che fossero le uniche menti illuminate nell’universo femminile di quei tempi.

Piuttosto, però, mi voglio soffermare sui rischi concreti di un simile voto amministrativo. Segnare due nomi, uono maschile e uno femminile, vuol dire poter controllare meglio il voto di scambio. Mi spiego. La legge prevede che se uno dei due nomi sia da invalidare mentre l’altro è scritto correttamente la scheda resterebbe vida, assegnando il voto espresso correttamente ed eliminando l’altro, l’universo femminile potrebbe diventare buono per controllare pacchetti di voti. Se io volessi controllare che tizio mi porti realmente i 30 voti che mi ha promesso, mi basterebbe chiedergli di indicare Anita Garibaldi come nome femminile. In questo modo avrei la certezza matematica non solo dei voti al candidato scelto ma anche del “chi” ha portato quei voti e “dove”. Se le schede fossero disgiunte, al contrario, questo tipo di operazione sarebbe impossibile. Meglio ancora se non ci fossero proprio le quote rosa. Certo, i metodi per capire dove e come si vota esistono ugualmente, ma sono meno diretti e precisi. Con il doppio voto così com’è oggi, in pratica è come mettere una firma sotto alla scheda, altro che voto segreto.

Quanto ai Consigli di Amministrazione, il putno non è la carica ma le deleghe assegnate. In teoria si potrebbero avere donne in posti apicali senza però avere reali possibilità d’intervento sulle sorti aziendali in quanto sprovviste di delghe di firma tali da rendere efficace il proprio volere. Un po’ come nominare dei maschietti come ministri al Tesoro, agli Interni, agli Esteri e poi nominare una donna in uno dei tanti dicasteri “senza portafoglio”.

Insomma, questa storia delle quote rosa non mi convince per nulla. E poi, continuando di questo passo, le quote rosa dovrebbero essere imposte anche per le cariche più alte: un sindaco donna, un presidente donna. Ma non si parlerebbe di merito o di capacità. Né più né meno di quelle che per fare carriera utilizzano altri mezzi. In entrambi i casi, seppur diversissimi, il merito sarebbe tagliato fuori dall’apprezzamento per la persona.

Angelo Perfetti
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I commenti

Oltre a quello che ha evidenziato… I partiti stessi decideranno e si metteranno d’accordo sulle accoppiate uomo-donna – sicuramente per pilotare i consiglieri che verranno eletti – esempio se uno da solo ha 400 voti ma non appartiene ai poteri interni del partito non verrà eletto a scapito magari di due candidati di interesse del partito che hanno solo 250 voti ciascuno ma che insieme ne fanno 500 – le liste dei candidati all’interno dei partiti le fanno i candidati uscenti… Ecco come tutto diventa poi negativo e ad uso e consumo dei furbi… 
Vincenzo Taurino

Vorrei ricordare che la doppia preferenza di genere, prevista per le elezioni comunali già dalla prossima tornata elettorale, risponde al principio della parità di genere, che ha il suo fondamento nella Costituzione Italiana, nell’art. 3 e ancora nell’art. 51 che recita: “Tutti i cittadini dell’uno e dell’altro sesso possono accedere agli uffici pubblici e alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza, secondo i requisiti stabiliti dalla legge. A tal fine la Repubblica promuove, con appositi provvedimenti le pari opportunità tra donne e uomini”. La doppia preferenza non può essere considerata quindi un “privilegio” per le donne, ma un riequilibrio della rappresentanza, necessaria soprattutto nel nostro Comune che vede solo 3 donne nel Consiglio Comunale, su un totale di 30 consiglieri e una sola donna in Giunta. E poi pensare che l’incompetenza sia di genere femminile mi sembra proprio troppo!
Stefania Quarti