L’agricoltura familiare secondo Slow Food

18 settembre 2014 | 18:09
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L’agricoltura familiare secondo Slow Food

Secondo la definizione che ne dà la Fao, l’agricoltura familiare si basa sul lavoro dei membri della famiglia. Oggi al mondo si contano circa 500 milioni di aziende agricole familiari, che corrispondono al 98% delle proprietà coltivabili. Ma cosa vuol dire nel concreto agricoltura familiare? E attraverso quali progetti Slow Food interpreta nel mondo questo concetto? Anticipiamo qui alcune storie tra le tante che si possono scoprire ascoltando la voce dei protagonisti del Salone del Gusto e Terra Madre 2014.

10.000 Orti in Africa
Burkina Faso
Coltivare un orto può sembrare un gesto irrilevante in un continente sterminato come l’Africa, attanagliato da continue crisi e orientato forzatamente verso un’agricoltura intensiva. Ma se gli orti diventano 10.000 e se stimolano lo sviluppo di reti di contadini, agronomi, studenti e cuochi, allora possono indicare la strada verso un futuro attento ai bisogni delle comunità locali. In Burkina Faso ne sono stati avviati oltre 60, grazie al sostegno di diversi soggetti. Nella capitale, Ouagadougou, uno di questi coinvolge 50 donne, riunite nell’associazione La Saisonniere. Ce ne parla al Salone del Gusto e Terra Madre 2014 Sophie Salamata Selgho, ex insegnante in pensione, che ha creato l’orto insieme all’agronomo Moussa Ouedraougo. L’associazione è nata per consentire alle donne di imparare a leggere e scrivere, ma accanto all’aula per le lezioni, sono nate molte attività, tra cui un orto di circa mezzo ettaro. Ogni donna coltiva la propria parcella, rispettando le rotazioni e fertilizzando il suolo con il compost. Tra le piante, si trovano il gombo, il fagiolo dell’occhio, la patata dolce e alberi come la moringa, la papaya e il néré. Questi prodotti servono per il consumo familiare, sono venduti in uno spaccio o ai mercati vicini e sono impiegati in un piccolo ristorante allestito accanto all’orto: due o tre tavoli semplicissimi, dove si possono assaggiare pomodorini ripieni, patate dolci e salsicce di montone o verdure cotte di vario genere.

Indigenous Terra Madre
India
Per la piccola comunità di Khweng, nello stato di Meghalaya, l’approssimarsi dell’autunno porta con sé un’aria di gioia e festa. I campi sono pieni di riso pronto per essere raccolto e le acque si animano dei movimenti dei pesci di risaia. È il tempo in cui ogni famiglia celebra la fertilità della propria terra. Qui infatti si producono più di 10 varietà di riso, frutta e verdura e sono circa 15 le specie di pesci disponibili tutto l’anno. Durante la stagione del raccolto, a Khweng la pesca diventa un’attività comunitaria. Gli abitanti tirano su dall’acqua ceste di bambù dove si sono raccolte decine di piccoli pesci, gamberi e granchi. All’operazione partecipano anche i più piccoli che, insieme al divertimento del bagno e all’eccitazione della presa, pregustano già il sapore della cena. Nel corso del tempo, il villaggio Khweng si è costruito un’identità specifica, modellata dalle sue pratiche di pesca. Il ritmo lento si adatta quasi naturalmente a quello che la natura dona volontariamente. Non si sa cosa sia la sovrapesca e su un qualsiasi istinto di avidità prevalgono la gioia e l’umiltà. I Khweng sono poveri ma autosufficienti dal punto di vista alimentare, un  esempio di come le conoscenze dei popoli indigeni e delle comunità rurali segnino il cammino del futuro sostenibile, in cui le risorse sono impiegate in armonia con la natura. Al contempo, però, sono anche le comunità maggiormente esposte alle conseguenze della cattiva gestione delle risorse del pianeta. Il Fondo internazionale per lo sviluppo agricolo (Ifad) e Slow Food lavorano insieme dal 2009 per promuovere e tutelare questo modello di agricoltura.

Mercati della Terra
Messico
Emma Villanueva Buendìa e Abel Rodrìguez Rivera sono i leader della loro comunità, oltre che gli imprenditori che gestiscono Casa Tlalmamatla, azienda agricola e artigianale di Città del Messico che valorizza i prodotti della milpa, sistema di coltivazione tipico del mesoamerica, e del loro orto a conduzione familiare. Emma e Abel sono tra i produttori del Mercado el 100, da settembre 2013 incluso nella rete dei Mercati della Terra di Slow Food. Insieme a loro altre 25 realtà locali situate a una distanza massima di 100 miglia dal Distretto Federale, che propongono con regolarità e senza intermediari i loro prodotti, coltivati e trasformati con tecniche tradizionali e sostenibili. Tra le specialità di Casa Tlalmamatla ci sono tortillas, tlacoyos e tamales confezionati con i mais autoctoni, almeno 10 varietà di fagioli, 3 di avocado, frutti tropicali da raccolta e selvatici, e altro ancora. Per le aziende biologiche di Città del Messico non è facile cercare opportunità commerciali remunerative, nonostante l’interesse da parte dei consumatori. I grandi negozi specializzati, ad esempio, chiedono che si faccia loro credito, vogliono prezzi competitivi e propongono condizioni di pagamento che per i piccoli contadini non sono vantaggiose. Al Mercado el 100, invece, le attività di agricoltura familiare trovano ben altre opportunità e si attua un tipo di commercio giusto, una linea diretta con i consumatori e basata sulla fiducia. Chiaramente, dare ai produttori la possibilità di parlare, significa anche poterne conoscere i prodotti, comprendendo tutto il lavoro che sta dietro a ogni singola tortilla e i passaggi, semplici o complicati, che ha attraversato prima di finire sui banchi del mercato.

Benessere animale
Francia
Nei Paesi Baschi, l’allevamento dei maiali è diffuso fin dai tempi dei Celti. Un tempo le razze autoctone più diffuse erano tre: la baztanesa e il chato vitoriano sono estinte mentre rimane la euskal txerria. L’innata docilità di questa razza permette di allevare piccoli branchi all’aria aperta, nutrendoli esclusivamente con ghiande, castagne e felci. La carne, di colore rosso scuro, è speziata, tenera e gustosa e, grazie alla presenza di acidi grassi e di antiossidanti nel tessuto adiposo, dovuti all’erba fresca, è ottima per la trasformazione in prosciutti e altri trasformati tipici. Nonostante i suoi 800 anni di storia, l’allevamento tradizionale del suino basco è andato in crisi all’inizio degli anni Ottanta. Non restavano che pochissimi custodi di questa razza emblematica sparsi nei Pirenei: allevatori fortemente legati alla cultura e al territorio che, in Francia, unirono i loro sforzi a partire dalla Valle des Aldudes. Negli anni scorsi gli allevatori dei Paesi Baschi francesi si sono riuniti in un consorzio che sta per ottenere la Dop. Il Presidio, che debutta quest’anno al Salone del Gusto e Terra Madre, sostiene il lavoro di tutela della biodiversità svolto dai piccoli allevatori, salvaguardando questa razza attraverso la valorizzazione degli eccellenti trasformati tradizionali prodotti ancora artigianalmente senza conservanti o additivi. Tra questi, Xole Aire, quarantenne, insegnante per oltre 10 anni, da 5 ha preso le redini della fattoria di famiglia, nonostante la netta opposizione dei suoi stessi genitori e nonni, secondo i quali le difficoltà di un mondo duro e maschilista l’avrebbero convinta a desistere subito. E invece Xole non solo ha ripreso l’allevamento di razze locali sia di suini che di vacche, ma con altri sei produttori ha fondato l’associazione Belaun, che gestisce collettivamente le attività di trasformazione e vendita diretta dei salumi pur differenziando ricette ed etichette. A rappresentare lei e gli altri produttori a Torino c’è Christian Aguerre, allevatore e ristoratore di Itxassou.

L’associazione
Stati Uniti
Addentrandosi nella campagna di Fairbury, Illinois, ci si lascia alle spalle il monotono paesaggio di campi coltivati a mais e soia per imbattersi nel terreno coltivato da quasi due secoli e otto generazioni dagli Spence. Venti anni fa Marty e Kris Travis, con il loro figlio Will, rilevarono la Spence Farm per adempiere a una promessa fatta alla nonna di Marty. Lei voleva salvare la terra dall’agricoltura industriale, che ne aveva ormai preso il controllo. Marty ricorda: «Praticando l’agricoltura industriale anche noi stavamo erodendo la diversità. Il nostro imperativo era la sopravvivenza, mentre per la fattoria era fondamentale la ricerca di sostenibilità: fu così che cambiammo rotta». I primi alleati alimentari da Chicago non si fecero aspettare a lungo: gli chef furono in prima battuta catturati dal sapore dei cibi catalogati nell’Arca del Gusto, come il mais bianco Tuscarora e il maiale della Guinea. Presto Spence Farm non riuscì più a soddisfare la crescente domanda di cibo vero da parte degli chef e così Marty intuì la possibilità di realizzare il sogno di sua nonna, importando ciò che mancava dalle fattorie dei vicini. Così facendo riuscì a riunirli nell’alleanza The Stewards of the Land (gli assistenti della terra), uno degli ormai 240 centri alimentari che, in tutto lo Stato, creano connessioni tra le piccole fattorie e i consumatori. Questi centri stanno dando origine a comunità di co-produttori, costruendo una valida alternativa al sistema alimentare industriale. Donna O’Shaughnessy e suo marito Keith Parish – allevatori del maiale dal bariglio rosso, prodotto già a bordo dell’Arca del Gusto – sono stati tra i primi ad aderire al progetto. Il compito degli “assistenti” è stato quello di mettere i produttori in contatto con gli chef che potevano comprendere il valore del loro lavoro. L’alleanza lavora nelle scuole locali per insegnare i metodi di coltivazione sostenibili e l’amore per il cibo vero e collabora con i Convivium di Slow Food.

I racconti sono tratti dall’Almanacco Slow Food 2014, in distribuzione nei giorni della manifestazione torinese.