“Le rivoluzioni violate” di Giuliana Sgrena

4 novembre 2014 | 00:20
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“Le rivoluzioni violate” di Giuliana Sgrena

La scrittrice ha riportato episodi della sua esperienza durante i lunghi soggiorni nei Paesi Arabi (Algeria, Egitto, Tunisia, Arabia Saudita, Libia, Siria)

Il Faro on line – “Le rivoluzioni violate” è il titolo del nuovo libro della giornalista e scrittrice Giuliana Sgrena presentato venerdi 31 ottobre presso il circolo del PD Italo Alesi di Fiumicino, nell’ambito dell’iniziativa volta ad approfondire i temi della Primavera Araba. L’assemblea, presieduta dal Segretario del circolo Jonathan De Scisco, ha visto un acceso dibattito sul tema dell’integrazione culturale, in particolare sul ruolo delle donne.

La scrittrice ha riportato episodi della sua esperienza durante i lunghi soggiorni nei Paesi Arabi (Algeria, Egitto, Tunisia, Arabia Saudita, Libia, Siria) durante i quali ha avuto modo di raccogliere racconti di vita delle donne delle comunità Islamiche, e non solo: ci ha condotti, con le sue parole, nel cuore della rivoluzione e della controrivoluzione, e citando le pagine del suo libro ha cercato di raccontare la vita della popolazione civile, principale vittima delle guerre. La particolare condizione di sottomissione che molte donne subiscono ancora per mezzo della sharia, non ha impedito alle giovani generazioni di donne di scendere in piazza, con o senza chador, ad invocare giustizia e parità: parità di genere.

”Di fatto” spiega la Sgrena “le rivoluzioni arabe sono laiche: i partiti religiosi arrivano sempre dopo la partenza o la morte dei dittatori e vincono le elezioni”. Il motivo?”una delle tante ragioni è quella di punire le donne che si sono prese ‘troppe’ libertà, in quanto protagoniste della rivoluzione e in prima fila per affermare i propri diritti”.

I numerosi interventi che hanno animato la discussione con la scrittrice, da parte di alcune “addette del settore”(mediatrici culturali, donne medici di consultori, presidentesse di associazioni per i diritti delle donne, etc.) e di cittadini e cittadine comuni, hanno posto l’accento sulle difficoltà di inserimento (integrazione?) di molte donne delle comunità straniere, in particolare per quelle di religione islamica, in un territorio vasto e difficile come quello di Fiumicino.

“Nella comunità araba, l’isolamento in casa per via della scarsa conoscenza della lingua, solo per citare uno dei problemi, può determinare la necessità di portare il velo, anche se non ne viene fatto obbligo: questo le fa sentire “integrate” almeno nella loro comunità e dà loro un senso di sicurezza”, spiega Badia Rami, mediatrice culturale di origine Marocchina nata in Italia, che presta la sua esperienza presso lo sportello antiviolenza di Ladispoli.

La discussione ha portato, inevitabilmente, a considerare la condizione delle donne: anche da noi, come spiegava un’assistente sociale, si stanno registrando episodi di violenza familiare sempre più frequenti, in casa di donne arabe e di donne di altre etnie, anche italiane, in particolare quando le mogli, o compagne, non lavorano.
Ciò che si evince dal dibattito è che la violenza sulle donne, purtroppo, è una pratica di matrice non patologica ma culturale. Chi si occupa di queste tematiche evidenzia la necessità di centri di aggregazione e ascolto per le donne vittime di uomini violenti e chiede politiche mirate ad affrontare il problema.

A tal proposito, è stato ricordato il progetto del Comune di Fiumicino su cui sta lavorando l’Assessorato ai Servizi Sociali, che prevede la costituzione di un Protocollo d’Intesa tra le Istituzioni territoriali (Comune, Asl, Polizia di Stato, Carabinieri, Polizia Locale, Associazioni) per contrastare la violenza di genere e creare la prima ”rete antiviolenza” del Comune.

Con l’occasione, il Segretario dell’Alesi, ha esortato l’Amministrazione, con l’Assessore Paolo Calicchio, che ha preso parte all’iniziativa del circolo, affinché si possa al più presto dare voce, orecchie, cure e giustizia alle donne, e ai loro figli, vittime di soprusi e violenze di Fiumicino e dei territori limitrofi.
L’amministrazione Comunale conta di aprire entro il 2015 il primo Centro Antiviolenza, voluto e gestito dai Servizi Sociali, individuando la struttura più idonea tra quelle afferenti il patrimonio regionale.