Leggere, ascoltare…dimenticare

22 febbraio 2015 | 00:15
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Leggere, ascoltare…dimenticare

L’intero scibile umano a portata di click. Tre grandi pensatori a confronto sul tema del sapere “mordi e fuggi”

Il Faro on line – Istantanea da un altro millennio, quando i velocipedi a motore si accendevano pedalando, per telefonare occorreva fermarsi e i dischi – è scientificamente provato – si acquistavano. Siamo verso la fine del “secondo Mille”, in una zona qualsiasi dell’emisfero Occidentale e il reperto archeologico ci mostra individui intenti a fotocopiare pagine di libri, duplicare audiocassette e imbucare missive. Ritrovamenti ancora più risalenti testimoniano l’esistenza di una civiltà in cui la gerarchia delle fonti dell’informazione vedeva sul gradino più alto del podio, a pari merito, il terzetto parroco- farmacista –maresciallo, al secondo posto la scatola a transistor per le notizie “da lontano” e, medaglia di bronzo, il quotidiano locale. In quell’era, nei crocchi da bar (che si chiamavano quasi sempre “Bar Sport”) l’espressione “l’ho letto sul giornale” aveva il potere di chiudere qualsiasi controversia incandescente. Tanto oscura la causa dell’estinzione dei dinosauri, quanto preciso e documentato l’evento che portò alla scomparsa di questi nostri antenati: l’asteroide fu battezzato dapprima ”Internèt” spostando l’accento sulla prima vocale man mano che si realizzò che non era termine francofono. Sembra un passato remoto, era l’altro ieri. Una manciata di anni sono un soffio nella storia millenaria del progresso umano.

Dopo l’impatto con l’asteroide nulla è stato più come prima. Quasi a scusarsi dello scompiglio, l’Incursore aveva portato con sé un poderoso omaggio fatto di…tutto quello che oggi è realtà. Si è presentato a cena non con un libro ma con tutti i libri. Non con un disco ma con tutti i dischi e i film e i giochi e i giornali che non avremmo neanche osato immaginare. Si, tutto. Ma tutto è troppo. Recentemente, in un bell’intervento sul Corriere della Sera, Aldo Nove ha scritto: “Spotify è favoloso. E così ogni servizio simile. L’idea che si possa avere a disposizione tutta la musica esistente è vertiginosa. Però. C’è un però. Tutto è troppo. Le possibilità infinite diventano un intralcio alla scelta. Avere tutto diventa un concetto subdolo, perché è un avere tutto e niente. Infatti ciò che è concessa all’infinito è una fruizione a tempo. Un infinito verticale, con data di scadenza. Poi se interrompo il servizio, quell’infinito diventa nulla. Non vorrei sembrare reazionario o antiquato, ma desiderare un disco, andare in un negozio ad acquistarlo, portarselo a casa, ascoltarlo per la prima volta, riutilizzarlo, aveva un fascino ancestrale, potentissimo. Il Fascino delle cose, della loro materialità. Forse, oggi, siamo arrivati alla quadratura del cerchio. Possiamo fruire di tutto. Non possedendo più niente”.

L’osservazione di Nove si pone sul solco tracciato nel 2001 dall’economista e saggista americano Jeremy Rifkin nel libro “L’ era dell’accesso. La rivoluzione della new economy”. Rifkin analizzava, in quest’opera per sua natura ormai datata, il passaggio dal possesso di beni e servizi al loro semplice accesso. Dal possessore-consumatore all’utente, quasi senza accorgercene. Nel volume erano profetizzate le strutture organizzative dell’economia delle reti e i meccanismi dell’informazione caratteristici dell’era digitale, con i rischi e le opportunità che si prospettavano per lo sviluppo della società e l’emancipazione dell’uomo nel ventunesimo secolo. Da un lato il potere dei nuovi tiranni del progresso, i più grandi e importanti provider internazionali, destinati a gestire l’eccesso a ogni attività e a controllare la vita di ciascuno di noi in una società dove si accresce il divario tra chi è connesso  e chi non lo è; dall’altro la possibilità di una maggiore diffusione della conoscenza, della democrazia e del benessere.

Pochi anni dopo, nel 2005, il sociologo polacco Zygmunt Bauman con il saggio “Vita liquida” squarcia il velo ricamato con cui alcuni si illudevano di imbellettare questa “civiltà del benessere”. Stress, consumismo ossessivo, paura sociale e individuale, città alienanti, legami fragili e mutevoli: il mondo in cui viviamo – per Bauman – sfoggia una fisionomia sempre più effimera e incerta. È liquido. È liquido il sapere e la cultura. Liquide e incerte sono le nostre conoscenze, le aspettative e le conquiste. La vita liquida, come la società liquida, non è in grado di conservare la propria forma o di tenersi in rotta a lungo. Sospinta dall’orrore della scadenza, la società liquida deve modernizzarsi o soccombere. E chi la abita deve correre con tutte le proprie forze per restare nella stessa posizione. La posta in gioco di questa gara contro il tempo è la salvezza (temporanea) dall’esclusione.

Il novero degli studiosi e dei filosofi contemporanei  alle prese con la decodificazione di questi tempi virtuali è lungo. Seppur declinato in urgenze e prospettive diverse, il messaggio, quasi un appello che assume i toni del  consiglio di un vecchio zio è: “Torniamo al gusto del bello, con la lentezza degli uomini!”. Le note delle melodie albergano in noi il tempo di un clic. Divoriamo romanzi dimenticando di assaporarne le atmosfere, i richiami, le sensazioni. Clicchiamo compulsivamente sulle notizie da tutto il mondo senza soffermarci a coglierne i collegamenti,  gli antefatti e le conseguenze. Siamo invitati ad un meraviglioso bouffet ma ci arriviamo già sazi, quasi nauseati. Fermiamoci. Nella sua biografia, una Donna straordinaria per intelletto, passione e rettitudine, raccontava dei chilometri percorsi sotto la neve, da bambina, per raggiungere la biblioteca comunale e ottenere un libro in prestito. Tornata a casa quel libro era letto al freddo e al lume di una candela da una mente vivace e avida di conoscenza. Quel libro era sacrificio e impegno: un mattone eterno nel suo edificio del sapere. Quel libro ha portato a lei il Premio Nobel. A noi ha regalato Rita Levi Montalcini.

Damiano Vozzolo