Maternità, ancora tante le donne discriminate sul lavoro

4 marzo 2015 | 06:00
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Maternità, ancora tante le donne discriminate sul lavoro

Una donna su quattro si licenzia entro i primi due anni di vita del proprio bambino

Il Faro on line – “Vieni discriminata sul lavoro perché sei donna? Rivolgiti a noi, possiamo aiutarti”. Questo è uno dei cartelli affissi alle pareti degli uffici dell’Ispettorato del lavoro di Roma, luogo in cui la convalida delle dimissioni volontarie a seguito di una gravidanza è ancora la motivazione predominante di affluenza. Sembra strano e alquanto anacronistico parlare di astensione dal lavoro per maternità nel 2015, eppure solo lo scorso anno i dati Istat parlavano chiaro: una donna su quattro, nel nostro paese, perde il lavoro entro i primi due anni di vita del nascituro. La legge Fornero fu messa in pratica per tutelare le donne impiegate che erano soggette allo scomodo problema delle famose dimissioni in bianco. Infatti, fino a qualche anno fa, anche se non è raro riscontrare ancora qualche situazione similare in ambienti non in regola, la donna aveva l’obbligo di firmare un foglio in bianco dove preventivamente “per qualsiasi evenienza” esprimeva la propria volontà ad astenersi definitivamente dal lavoro, dimissioni rigirate, poi, solitamente al momento di una gravidanza indesiderata dai titolari dell’azienda.

Fatta la legge, però, trovato l’inganno. Nonostante il divieto di procedere a tale pratica, infatti, il tasso di licenziamenti volontari non è diminuito, al contrario si è intensificato negli anni fino a raggiungere i dati allarmanti del 2012 in cui l’Istat dichiarava l’impiego stabile del solo 46% delle donne italiane. Come mai? Intervistate, le donne lamentano una carenza di aiuto da parte delle Istituzioni, pochi posti disponibili nei nidi comunali, costi molto alti in quelli privati e difficoltà generali nell’ambiente lavorativo. Molte sono state le lavoratrici che hanno subito rivendicazioni sul posto di lavoro,  seguito della gravidanza, molte quelle che si sono viste, semplicemente, non rinnovare il contratto a tempo determinato. A differenziare il problema italiano da quello europeo, inoltre, ci sarebbe anche la visione ancora troppo ristretta che la società avrebbe della coppia, assoggettando la maggior parte del carico domestico, maternità compresa, alla donna. Sono pochissimi i padri che usufruiscono del periodo di astensione momentanea dal lavoro per prendersi cura del nuovo nato, sia nei primi tre mesi di vita del bambino, sia per i successivi sei previsti dal congedo parentale, normativa giunta in Italia solo nel 2000, in netto ritardo rispetto ad altri paesi dell’Unione europea.

Ma il disagio non finisce e non inizia solo con la gravidanza. Numerosi sono ancora, infatti, gli episodi di discriminazione sessuale tra le mura degli uffici. Donne costrette a ricoprire ruoli di più basso livello rispetto ai propri studi o gradi di esperienza, salari differenti dai propri colleghi a parità di servizi, riduzioni arbitrarie di orari lavorativi, mobbing… In attesa dei prossimi dati Istat aggiornati, di quelli della Cgil che solo nelle Marche, lo scorso anno, denunciava 573 madri dimissionarie per il 2013, ci chiediamo dove sia tutta questa parità dei sessi tanto promulgata dalle istituzioni. Ci si trova a gioire per le esigue quote rosa raggiunte in Parlamento, mentre nella vita di tutti i giorni la situazione lavorativa non è variata per nulla. Che ancora esista una visione prettamente maschilista in Italia?      

Federica D’Ascani