Premio Strega, 500 copie di malcontento 

5 marzo 2015 | 12:45
Share0
Premio Strega, 500 copie di malcontento 

Forum e social si indignano per il nuovo bando, in teoria a favore della piccola e media editoria. Ma che invece…

Il Faro on line – In un mondo in continua evoluzione come quello dell’editoria, che solo pochi mesi fa ha deciso di accettare l’asserzione che anche i libri digitali sono effettivamente libri, non possono non tenere il passo i concorsi più prestigiosi del territorio nazionale che del valore intrinseco della scrittura fanno vanto e bandiera. Questo è il caso del Premio Strega che, registrando già importanti segnali di innovazione negli anni scorsi per i tanto discussi premi assegnati a libri considerati da molti “immeritevoli”, torna nel 2015 con una veste nuova e una concezione differente nell’interpretazione del bando proposto e delle regole da seguire per poter partecipare al contest.
“Pluralità, bibliodiversità e accoglienza” sono le parole che riassumono lo spirito delle norme introdotte dal Comitato direttivo del Premio, che si è riunito lunedì 23 febbraio nell’elaborazione del nuovo regolamento messo a punto per salvaguardare non solo  l’ammodernamento letterario vigente, ma anche i piccoli e medi editori, che in tale mondo investono e sperimentano, e gli autori stranieri che scrivono nella nostra lingua, sempre più meta di curiosa reverenza. 

Strano constatare come vi sia una fuga di cervelli nella scienza e un’importazione sostanziale, da altri paesi, di cultura letteraria e sociale che dovrebbe far riflettere, se non altro per il tasso altamente esterofilo che l’Italia vive, a detta di molti, da sempre e in qualsiasi ambito, che sia esso culturale, sportivo o politico. In ogni caso il Premio Strega si evolve e lo fa nell’ottica di aiutare, principalmente, gli autori e gli editori fino a pochissimi anni fa esclusi dalla gara. Ma numerose sono state e continuano a essere le polemiche in merito proprio alle nuove dinamiche promulgate. Vediamo perché. 

Prima novità sostanziale del premio sarà la differenza di voto per decretare la Cinquina dei vincitori.  “I giurati del Premio – gli Amici della domenica, lo storico corpo elettorale di 400 donne e uomini di cultura, ai quali si aggiungono sessanta lettori forti che ruotano ogni anno e quindici gruppi di lettura costituiti da scuole, università e Istituti Italiani di Cultura all’Estero – nella prima votazione dovranno esprimere la loro preferenza per tre dei dodici libri in concorso, non più per uno solo. Grazie all’introduzione di questa regola, aumenterà il numero di voti necessario per accedere alla finale, delineando un giudizio più meditato e attendibile”.
Seconda novità, poi, sarà “una clausola di salvaguardia che favorisce la presenza nella Cinquina dei piccoli e medi editori, assumendo la bibliodiversità come valore in sé e riconoscendo l’opera di promozione degli autori emergenti e della letteratura di ricerca condotta da questo importante segmento di mercato (pari a circa il 40%). Se nella Cinquina non sarà compreso almeno un libro pubblicato da un editore medio-piccolo, si procederà all’inclusione di quel libro – o, in caso di ex aequo, quei libri – che avrà ottenuto il maggior numero di voti, determinando così una finale a sei o più candidati”. 
Terza, ma non ultima, l’apertura agli autori non italiani che scrivono nella nostra lingua e alle forme di narrativa non in prosa. In precedenza il regolamento ammetteva libri “di narrativa in prosa di autore italiano”, salvo occasionali eccezioni come quella del graphic novel unastoria di Gipi lo scorso anno o la partecipazione dell’autore albanese Ron Kubati nel 2008”.

Il caso che ha fatto parlare e che continua a destare rumors insistenti attorno al Premio, però, sarebbe rappresentato dalle novità sostanziali “su alcuni aspetti pratici del meccanismo di partecipazione, che richiedono un maggiore impegno ad autori e deditori.
In particolare, l’invio gratuito delle 500 copie cartacee necessarie alla giuria dovrà essere completato entro tempi tassativamente indicati, pena l’esclusione del libro dal concorso. L’obiettivo è quello di completare la spedizione entro il mese di aprile, consentendo ai giurati di avere più tempo per leggere i libri in vista della prima votazione a metà giugno”. Insomma, 500 copie di un romanzo non sono poche, specialmente se si è impossibilitati a inviarli in digitale, vigendo l’obbligo dell’edizione cartacea. Ciò che ci si chiede è, in un contesto simile dove la prima motivazione addotta al cambiamento è stata proprio l’evoluzione della letteratura, perché costringere un autore o un editore a spendere tanti soldi per una fornitura così congrua del lavoro in esame, quando sarebbe possibile abbattere qualsiasi costo con mezzi semplici utilizzati da chiunque nell’ambito della promozione normale di un testo? 

Sui social e nei forum è scoppiata una vera bomba di malcontento, tra frasi che vorrebbero i piccoli editori discriminati e gli autori self publish (vero fenomeno moderno) esclusi come sempre dall’olimpo degli scrittori considerati, a differenza degli Stati Uniti o altri paesi europei dove tale pratica è diventata ormai la normalità. E se è vero che molti a indignarsi sono proprio gli autori e gli editori di piccole o medie case editrici, esclusi a priori dalla gara (vuoi la crisi, vuoi la concreta impossibilità di raggiungere una tiratura di 500 copie solo per inviare il tutto a fondo perduto) molti altri sono stati gli autori “prezzolati”, costretti a fare i conti con gli stessi problemi. L’editoria, purtroppo, non è più il mondo roseo che tutti ancora, tra i non addetti ai lavori, credono. Come nel cinema, la crisi è giunta e gioca duro, ma forse meno dei signori che avrebbero il potere di cambiare le cose senza volerlo fare realmente. Che sia arrivato davvero il momento di dare un colpo di spugna e lasciar fare ai giovani volenterosi e desiderosi di applicare i sogni alla realtà? 

Federica D’Ascani