‘Licenziamento ingiusto’, ping pong tra Federazione e Inps

31 maggio 2018 | 20:19
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‘Licenziamento ingiusto’, ping pong tra Federazione e Inps

Una lotta lunga tre anni, la storia infinita di un dipendente finito agli altari della cronaca prima per aver subito mobbing e ora per aver perso il posto di lavoro.

Roma – Il caso nella sua dinamica sembrerebbe piuttosto semplice, ma nel concreto ha invece assunto ormai da anni contorni paradossali. Con tanto di avvocati scesi in campo, ipotesi di reato penale, guerra di certificati.

Vittima è un dipendente della Federazione di Tennis Tavolo, già protagonista di articoli di giornale per un caso di presunto mobbing, che dopo un periodo di malattia, si è visto recapitare la lettera di licenziamento in tronco. Per quale motivo? La causale è che non avrebbe consegnato in tempo utile all’Inps gli originali dei certificati di malattia.

La cosa, di per sé, avrebbe potuto avere un fondamento – seppur anomalo, un licenziamento per un presunto semplice ritardo nel consegnare un certificato – ma stando alla missiva inoltrata dall’avvocato Marco Beccia alla Fitet, non tornano date, provvedimenti e documentazione.

Senza avventurarci in giudizi – sarà il Tribunale a farlo – ci limitiamo a segnare i “paletti” di questa contorta vicenda, che passa come detto per un’accusa di mobbing, una malattia conseguente, una visita fiscale, un carteggio documentale e un licenziamento. Sarebbe interessante andare a capire la genesi di questo dissapore iniziale, ma non è questa la sede; come sempre, saranno eventualmente le aule di Tribunale a sciogliere i nodi rimasti in sospeso.

Ad agosto e ottobre 2015 il dipendente della Fitet (ricordiamo che il tennis tavolo è disciplina olimpica e come tale la Federazione è sotto l’egida del Coni) certifica la propria condizione di malattia. La Federazione manda un controllo, e negli orari canonici non trova a casa il “malato”.

Peccato però, spiega l’avvocato, che la terapia (il malessere era di origina psicologica) prevedesse proprio l’uscita di casa in spazi aperti durante il giorno. La contestazione fatta dalla Fitet, dunque, si infrange sul muro delle giustificazioni legittime che lo stesso Inps, informato della natura della patologia, ammette.

Tutto chiarito dunque? Nemmeno per sogno. Il 26 maggio 2016 arriva un provvedimento di “riesame” della pratica, nel quale non si parla più della contestazione dell’assenza da casa, ma del mancato invio della documentazione originale della malattia stessa.

Anche qui, l’avvocato Beccia contesta: “Va rilevato – afferma – che in base alla circolare Inps n.136 del 2013, i certificati di malattia vanno inviati in originale entro un anno dalla data di rilascio da parte del medico curante”.

A questo punto basta mettersi con il calendario in mano: i certificati contestati portano la data del 3/7/2015 e del 2/10/2015; la documentazione di entrambi fu invita in originale il 28/5/2016, e regolarmente ricevuta il 30 maggio.

Com’è possibile che il 26 maggio vengano presi provvedimenti quando la scadenza di legge per l’invio dei certificati era del 4 luglio? E perché una volta ottenuta la certificazione, anche ammesso che quell’invio del 26 maggio sia stato un errore, non è stata immediatamente revocata quella lettera? E come va valutato il fatto che, sempre a norma di legge, quella contestazione disciplinare che ha portato al  licenziamento avrebbe potuto essere protocollata solo entro il 1 giugno 2016, pena la decadenza dell’iniziativa disciplinare?

Domande che, a breve, avranno una risposta nelle sedi giudiziali. Obiettivo numero uno, il reintegro del lavoratore ingiustamente – a detta del legale – licenziato.

Fin qui la testi dell’avvocato Marco Beccia. Il nostro quotidiano è ovviamente a disposizione dei legali della Federazione nell’eventualità volessero replicare e/o precisare. Ricordiamo comunque per dovere di cronaca, che le prove di qualsivoglia giudizio si forma no in tribunale, e che un’accusa non equivale a una sentenza.