Le barriere architettoniche sono ancora un limite all’istruzione uguale per tutti: perché e cosa fare.
In questi giorni si parla moltissimo del rientro in classe e di come si svolgeranno le lezioni in presenza, a partire da settembre, in concomitanza con un’emergenza sanitaria che non accenna a sparire del tutto e per la quale, anzi, sono previsti nuovi sviluppi. Ma la circolazione del Covid-19 non è affatto l’unico problema della scuola italiana, sia pubblica sia privata. L’accessibilità, ad esempio, è uno di questi: perché rendere la scuola accessibile ha costi, tempi, meccanismi burocratici spesso sottovalutati. Basta dare uno sguardo ai prezzi dei miniascensori, uno strumento utilissimo in caso di alunni con mobilità ridotta. Senza finanziamenti mirati, in misura sufficiente per sostenere lavori di riqualificazione importanti, una scuola pubblica – e tantomeno quella privata – non può garantire un servizio equo a tutti i bambini e i ragazzi, senza discriminazioni.
Molti infatti non lo sanno, ma per quanto appaia inconcepibile, in Italia almeno due scuole su tre non sono pienamente accessibili per le persone disabili: in pratica, soltanto meno della metà degli edifici scolastici italiani è adatta ad ospitare studenti, alunni, professori e personale a.t.a. (perché non solo di bambini e ragazzi disabili si tratta: anche il personale che lavora nelle scuole ha diritto ad avere un ambiente consono alle proprie necessità fisiche, qualunque esse siano) con handicap. Una situazione, questa, che non può essere giustificata in alcun modo, e che restituisce un quadro davvero desolante sullo stato dell’istruzione e dell’edilizia scolastica in Italia. Una situazione, inoltre, che è finalmente apparsa in tutta la sua drammaticità anche alle istituzioni pubbliche: non è un caso, ad esempio, che da quest’anno si possa decidere di destinare l’otto per mille nella propria dichiarazione dei redditi proprio all’edilizia scolastica (a scelta tra altre quattro destinazioni specifiche, tra cui “fame nel mondo”, “calamità naturali”, “assistenza ai rifugiati ed ai minori stranieri non accompagnati” e “conservazione dei beni culturali”).
Di certo, questo provvedimento non è sufficiente ad intervenire in modo drastico e duraturo sulle migliaia di edifici scolastici ancora non adeguati. Eppure, garantire la fruizione di tutti i servizi della scuola anche a coloro che, ad esempio, si muovono in sedia a rotelle dovrebbe costituire un diritto fondamentale, e per chi si occupa della destinazione di denaro e risorse dovrebbe apparire come un requisito minimo, alla base della civiltà. D’altra parte, i diritti della persona disabile sono chiaramente sanciti dalla legislatura italiana, con norme e leggi di varia competenza emanate da differenti organi istituzionali. Ma tra stabilire l’obiettivo e l’effettiva applicazione di tali direttive, si frappongono varie difficoltà di tipo burocratico ed economico, come ben sappiamo.
Perciò, rimane ancora parzialmente irrealizzato il Decreto del Presidente della Repubblica n. 503 del 1996, che impone a tutti gli edifici pubblici di dotarsi di sistemi e strumenti per garantire la completa fruibilità dello spazio, anche da parte di «persone con ridotta o impedita capacità motoria o sensoriale». Allo stesso modo, la Legge n. 104 del 5 febbraio 1992 ribadisce la necessità che le persone disabili non siano in alcun caso escluse dal godimento di servizi, prestazioni e opportunità, così come qualunque altro cittadino. Una condizione imprescindibile affinché si onori «il pieno rispetto della dignità umana e i diritti di libertà e di autonomia della persona handicappata», promuovendone «la piena integrazione nella famiglia, nella scuola, nel lavoro e nella società».
Proprio a partire da queste considerazioni, dalla promulgazione della Legge 104/92 le concessioni edilizie vengono rilasciate solo a condizione che si rispetti la normativa in vigore in materia di barriere architettoniche; allo stesso tempo, dovrebbero essere dichiarate inagibili o inabitabili le strutture che non soddisfano tali requisiti. Evidentemente, in pratica, le cose non stanno esattamente così: e d’altra parte sarebbe ugualmente ingiusto chiudere centinaia di scuole che non sono ancora pienamente accessibili, privando del diritto all’istruzione un numero esponenzialmente più grande di bambini e ragazzi. Ciò non toglie che restano inesauditi i diritti di moltissimi bambini – stando ai dati del 2018, sono più di 250 mila – con disabilità di vario genere.
È quindi giunto il momento di riaprire questo argomento e provvedere a dare forma concreta alla normativa già in vigore. Gli edifici scolastici hanno bisogno di posti auto riservati per i disabili, vialetti esterni riparati e facilmente percorribili in sedia a rotelle. Se è previsto un servizio di scuolabus, è necessario che tale servizio sia fruibile anche (e soprattutto) per i bambini disabili. Ogni stanza, ogni aula e ogni spazio ricreativo all’interno dell’edificio dovrebbe essere pienamente raggiungibile anche dagli studenti con ridotte capacità motorie o con disabilità sensoriali; non solo: tutte le funzioni di tali spazi dovrebbero essere declinate in modo equivalente anche per chi ha handicap motori e psicofisici.
Un occhio di riguardo andrebbe dedicato ai servizi igienici, con sanitari specifici e un’illuminazione adeguata atta a prevenire infortuni o situazioni di imbarazzo. Molte sono, inoltre, le attrezzature didattiche che possono essere utilizzate anche da bambini e ragazzi disabili, da valutare di caso in caso in base alle specifiche esigenze: banchi, lavagne, sedie, computer, materiale Braille, adeguamento degli spogliatoi delle palestre, tra i tanti.