Storia del ritrovamento del cranio di grotta Guattari
Il Faro on line – La scoperta del sito avvenne per caso nel 1939, mentre alcuni lavoratori estraevano pietre sulla proprieta’ del signor Guattari. Un’antica frana aveva infatti bloccato l’ingresso della grotta.In fondo alla grotta, in un antro terminale poi denominato ‘Antro dell’Uomo’, assieme a quello che fu interpretato come un approssimativo cerchio di pietre, il proprietario scoprì un cranio evolutivamente attribuibile a Homo neanderthalensis, ben conservato, mentre in superficie furono ritrovate due mandibole, conosciute come Circeo II e III. Il cranio si presentava quasi completo tranne la perdita di porzioni ossee pertinenti l’area orbitale destra e parte del margine del forame occipitale, il punto in cui il cranio si articola con la colonna vertebrale. Vennero immediatamente condotti degli scavi dal prof. A.C. Blanc e L. Cardini.
Studi e interpretazioni
I primi studi sul cranio vennero effettuati dal prof. Blanc, il quale, esaminando attentamente le ferite che il cranio riportava, in particolar modo il forame occipitale allargato, giunse alla conclusione che erano stati altri uomini di Neandertal ad effettuare quest’operazione di allargamento per poter estrarre il cervello e mangiarlo, a scopo rituale: il fatto di averlo trovato al centro di una corona di pietre sembrava confermare la sua ipotesi.
L’interpretazione di Blanc venne però smentita nel 1989, esattamente cinquant’anni dopo il ritrovamento, quando si riunirono al Circeo, in un convegno, studiosi provenienti da ogni parte del mondo. Questi ultimi sottolinearono che sul cranio non erano stati trovati segni di utensili con i quali si sarebbe potuto compiere, da parte di altri uomini, l’allargamento del forame del cranio stesso: gli unici segni trovati erano quelli di denti di iena. Tutti furono così concordi su questa nuova tesi: la grotta ‘Guattari’ fu, intorno a circa 50.000 anni fa, la tana di una iena, e lo dimostrano le numerose ossa fossili ritrovate al suo interno, resti dei suoi pasti.
L’animale ha trasportato nella sua tana il cadavere dell’uomo, o forse solo la testa, e ha allargato il foro occipitale per estrarne il cervello. Prova di ciò sono anche studi compiuti in Africa sul comportamento delle iene le quali, quando si imbattono in animali morti, portano via ossa e crani per spolparseli nelle loro tane e si limitano solamente a mordere la carne che vi è attaccata, senza spezzarne le ossa. Cosa che invece gli uomini avrebbero sicuramente fatto, se avessero voluto mangiare il contenuto del cranio. L’ipotesi del cannibalismo venne così ufficialmente smentita.
L’intera vicenda in versione romanzesca è stata riportata dallo scrittore locale Antonio Pennacchi, nel suo libro ‘Le iene del Circeo’, nel quale vengono riproposte le prime ipotesi della ricostruzione dello studioso Blanc, legando il cranio nuovamente a un rituale (più che di cannibalismo), misterico da parte dei neanderthaliani.
Grazie alle nuove sinergie avviate tra il Servizio di Antropologia della Soprintendenza per i Beni Archeologici del Lazio Ente Istituzionale preposto alla tutela, sia del sito che dei reperti, la Soprintendenza Speciale del Museo Pigorini e l’Istituto italiano di Paleontologia Umana, storico custode dei reperti, è stato avviato un nuovo percorso di ricerca che vedrà protagonisti altri Enti Istituzionali italiani e internazionali al fine di valorizzare al meglio queste importanti testimonianze evolutive alla luce delle più recenti dotazioni scientifiche.[ossia?] Ad oggi i reperti scheletrici sono custoditi presso il Museo Pigorini (cranio) e il Servizio di Antropologia S.b.a.l. (le due mandibole).
Durante il convegno nel 1989 vennero inoltre presentati i risultati degli allora studi circa la tafonomia e le datazioni assolute effettuate sui resti rinvenuti all’interno della grotta. I risultati furono così riassunti: da 100.000 ad 80.000 anni fa (livello 7): la cavità è completamente invasa dal mare 75.000 anni fa (livello 5): a seguito dell’ultima glaciazione Würm, il mare inizia a regredire e la grotta, svuotata dall’acqua, viene occupata dall’Uomo di Neandertal 55.000 anni fa (livello 1): la presenza dei cacciatori neandertaliani si riduce progressivamente, probabilmente a seguito della parziale occlusione dell’ingresso della grotta ad opera di una frana.
50.000 anni fa: la grotta, oramai abbandonata dagli uomini, diviene tana di iene, che utilizzano la cavità per accumulare resti di cibo per i cuccioli. Successivamente un’altra frana ostruisce, questa volta completamente, l’ingresso della grotta, che rimane così inviolata per cinquantamila anni, fino al 1939, quando viene di nuovo portata alla luce.