Servizio pubblico e interesse privato: le contraddizioni di vecchi e nuovi liberisti
Certe privatizzazioni sono inspiegabili socialmente e politicamente non solo in Abruzzo, Marche, Lazio e Umbria, ma a tutti gli italiani
Servizio pubblico e interesse privato: le contraddizioni di vecchi e nuovi liberisti
Che lo straordinario maltempo abbia causato straordinarie interruzioni di energia elettrica nelle zone innevate e terremotate di Abruzzo, Marche, Lazio e Umbria non c’è dubbio alcuno. Nessun dubbio anche sull’impegno dei tecnici dell’Enel per ripristinare le erogazioni.
Una riflessione va fatta un po’ più ampia e cioè se una struttura di servizio pubblico essenziale debba essere considerata una qualunque impresa che opera sul mercato libero e la sua organizzazione interna (entità e qualificazione del personale, appalti, dislocazione dei centri di pronto intervento ed altro) debba seguire innanzi tutto canoni di efficienza tipici dell’impresa che vuole conseguire utili e utili e apprezzamenti della borsa.
Nel 1962 due statisti di primo livello, il socialista Riccardo Lombardi e il repubblicano Ugo La Malfa, elaborarono una proposta di applicazione dell’art. 43 della Costituzione, che stabilisce “A fini di utilità generale la legge può riservare originariamente o trasferire, mediante espropriazione e salvo indennizzo, allo Stato, ad enti pubblici o a comunità di lavoratori o di utenti determinate imprese o categorie di imprese, che si riferiscano a servizi pubblici essenziali o a fonti di energia o a situazioni di monopolio ed abbiano carattere di preminente interesse generale.”
Il Governo Fanfani, accettò e nazionalizzò le imprese elettriche; nacque l’Enel. I socialisti non avrebbero costituito il governo organico di centro-sinistra senza una vera riforma di struttura da fare prima. A quel tempo non esisteva una rete elettrica concepita come rete di servizio pubblico per l’Italia.
Nella classificazione dei clienti delle imprese elettriche – allora – vi era anche la categoria delle “case sparse”; erano utenze non in condominio e non in centro abitato cittadino. Gli utenti delle “case sparse” dovevano pagare i costi per la rete (pali, linee, isolatori) se volevano la corrente elettrica; se no al buio.
Il contrario del servizio pubblico. La modernizzazione fu il riconoscimento a tutti gli italiani di essere trattati tutti come cittadini, titolari di un servizio pubblico essenziale.
Il Governo Prodi, Ministro dell’Industria Bersani, nominò nel 1996 quale Amministratore delegato dell’Enel Franco Tatò, di nessuna sensibilità sul servizio pubblico ma soprannominato Kaiser Franz per la fama di tagliatore di teste acquisita negli incarichi precedentemente svolti.
Tatò si vantò di aver ridotto l’organico di trentamila persone, di aver fatto quotare in borsa l’Enel e portato molti utili. Iniziò una politica di appalti e subappalti, a cominciare dalla lettura dei contatori e ai pronti interventi. Gli appalti erano stati eliminati nel 1969 dal centro-sinistra, con la legge 1369, ma ora il mercato li rivoleva e venivano concessi.
Ecco, se la concezione che si ha nella gestione di un servizio pubblico essenziale è quella che quel servizio deve dare utili, si risparmia anche per attività e finalità per le quali non si dovrebbe risparmiare. Sarebbe un’impresa difficile per Prodi, Bersani, Tatò e per tutti i liberisti andare a spiegare che l’Enel fa utili, va bene in borsa ma non ha una riserva di tecnici e di mezzi per fronteggiare le emergenze dovute alla neve.
Certe privatizzazioni sono inspiegabili socialmente e politicamente non solo in Abruzzo, Marche, Lazio e Umbria, ma a tutti gli italiani.