#Fiumicino, un mare… di plastica, l’idea: un sistema di smaltimento nei porti, col bonus
Per i pescatori nelle reti solo 50% di prodotto ittico. Tutto il resto sono rifiuti che inquinano il Tirreno
#Fiumicino, un mare… di plastica, l’idea: un sistema di smaltimento nei porti, col bonus
Il Faro on line – Le acque dei mari di tutto il mondo, anche quelle che riteniamo più incontaminate, sono letteralmente invase dalla spazzatura. Un’immensa discarica a cielo aperto fatta di rifiuti per lo più plastici, con una percentuale di quasi il 90%. Quello che anni fa era solo un grido di allarme adesso è una triste realtà, forse difficile da credere, a guardare le immagini di certi paradisi tropicali, ma i dati parlano chiaro. Secondo gli studi, negli oceani ci sarebbero oltre 150 milioni di tonnellate di materie plastiche, cifra destinata ad aumentare, visto che ogni anno circa 8 tonnellate di spazzatura finisce ‘a mollo’.
Con il rischio che, senza un’inversione di rotta, tra venti anni il numero di bottigliette superi quello dei pesci. Un problema grave, che ci riguarda da vicino, soprattutto perché tra le acque più inquinate ci sono quelle del Mediterraneo e, tra queste, le nostre detengono tristi primati. Lo sanno bene i pescatori di Fiumicino, che da tempo sono vittime di questa situazione: nelle reti, oltre a orate, merluzzi e gamberetti, ormai si trova di tutto. E al paziente lavoro di divisione per specie del pescato si aggiunge adesso il mestiere di spazzini.
Una fatica vana però, visto che – allo stato attuale della situazione – a causa delle leggi vigenti e dell’assenza di sistemi di raccolta e di smaltimento nei porti, i pescatori sono costretti a rigettare in mare i rifiuti finiti accidentalmente nelle reti. Quella che si sta generando è una condizione ai limiti del paradosso: se da un lato si cerca di affrontare il problema del marine litter, con campagne di sensibilizzazione e strategie di prevenzione, dall’altra non si riescono a creare delle filiere efficaci, in grado di mettere a sistema l’azione di tutela ambientale che le flotte di pescherecci potrebbero, anche se involontariamente, esercitare. Magari con un bonus in soldi a seconda di quanta plastica si riesce a ricilare.
Eppure affrontare il problema dei rifiuti marini rientra anche tra le priorità della Marine Strategy della comunità europea, che prevede il raggiungimento del buono stato ecologico, per le acque marine di ogni stato membro, entro il 2020. E allora? Cosa stiamo aspettando?
Anche se una soluzione definitiva e su larga scala del problema è ben lungi da venire, qualche piccolo passo nella giusta direzione si sta cominciando a muovere sul fronte locale: venerdì scorso infatti si è tenuto presso la scuola Porto Romano un’iniziativa di sensibilizzazione per la riduzione dei rifiuti marini nel Tirreno settentrionale. Il progetto è ideato e realizzato dal Cirspe, Centro Italiano Ricerche e Studi per la Pesca e finanziato dalla Fondazione Costa Crociera, con il patrocinio del Comune di Fiumicino.
“Il tema è molto attuale – afferma la consigliera Erica Antonelli, che ha introdotto i lavori – e costituisce un forte problema ambientale che può mettere a repentaglio interi ecosistemi, sino ad entrare nella catena alimentare. Se, da una parte, iniziano a partire progetti europei volti a finanziare la ‘pulizia del mare’, dall’altra dobbiamo continuare a lavorare con azioni di sensibilizzazione dei cittadini e delle nuove generazioni sul rispetto delle risorse naturali e sulla corretta gestione dei rifiuti”.
Sempre sullo stesso fronte lo scorso anno l’iniziativa del Cirspe aveva coinvolto direttamente gli operatori della pesca, sia con un convegno conoscitivo interamente dedicato all’argomento, che attraverso un progetto pilota con cui circa 600 kg di rifiuti erano stati ripescati dal mare e riportati a terra proprio dai pescatori del “Libera” e di “Antonio Francesca Madre”, i pescherecci che avevano aderito all’iniziativa.
Quasi 16 metri cubi di immondizia recuperata in soli 10 giorni di lavoro: numeri che hanno reso subito lampante l’importanza e l’urgenza di azioni di questo tipo, ma che allo stesso tempo ne hanno evidenziato i costi. Perché la pulizia del mare richiede fondi che non possono essere reperiti attraverso la tassazione dell’utenza, come avviene con la Tari, né essere accollati alle casse comunali che non sono in grado di sostenerli.
“Per affrontare il problema dei rifiuti in mare – chiarisce ancora la Antonelli – le amministrazioni locali necessitano di fondi extra comunali, da destinare sia al supporto delle attività dei pescatori che da veri e propri «guardiani del mare» potrebbero, ogni giorno, riportare a terra una grande quantità di rifiuti, sia al corretto smaltimento degli stessi”, “Proprio per questo, accanto ad attività di sensibilizzazione, l’amministrazione sta elaborando, in collaborazione con altri enti e istituti di ricerca, un progetto Life per la riduzione dei rifiuti marini e costieri intitolato «Clean up coast», da presentare alla prossima finestra. Gli uffici, che ringrazio per l’impegno, ci stanno lavorando e speriamo di riuscire a vincere il bando per ottenere le risorse necessarie”.
“In merito alla tematica – conclude la consigliera – va infine ricordato l’impegno della Fondazione ‘Angelo Vassallo’, grazie alla quale la legge di stabilità 2015 ha introdotto norme a favore della pulizia del mare e dei fondali”.
I materiali degradati entrano nella catena alimentare. Nel piatto pesce e… rifiuti
Le ripercussioni che la discarica marina genera sull’ambiente, sull’economia e sulla fauna ittica, non riguardano solo la spazzatura di grandi dimensioni, ma anche i rifiuti che non riusciamo a vedere.
Se l’immondizia danneggia la flora e provoca il soffocamento degli animali marini le microplastiche – frammenti più piccoli che si generano per degradazione dei materiali ad opera degli elementi climatici – vengono ingerite direttamente o involontariamente dalla fauna e entrano nella nostra catena alimentare. Siamo a rischio di contaminazione ogni volta che mettiamo nel piatto tonno, pesce spada, sgombro, spigola, granchi, cozze.
E anche se non si sa ancora con certezza quali siano i rischi per la nostra salute, è molto probabile che le sostanze chimiche presenti in questi microframmenti abbiano effetti nocivi anche per l’organismo umano, perché tossiche o cancerogene. Una notizia che, se confermata dagli studi scientifici in atto, rischia davvero di farci passare l’appetito.
I dati della ricerca condotta da Goletta Verde. Tirreno, 26 rifiuti ogni kmq. Ma il 70% dell’immondizia affonda nel mare
Secondo i dati rilevati negli scorsi anni da Goletta Verde nei nostri mari si contano fino a 27 rifiuti galleggianti ogni chilometro quadrato (Kmq). Il record di mare più “denso” di spazzatura spetta al Mar Adriatico, un bacino che si distingue anche per la quantità di rifiuti plastici derivanti dalla pesca: il 20%, considerando reti e polistirolo galleggiante, frammenti o intere cassette che si usano per contenere il pescato, percentuale che viene superata solo dalle buste pari al 41% e dai frammenti di plastica al 22%. Il Mar Tirreno con una densità di rifiuti pari a 26% ogni kmq conta invece la più alta percentuale di rifiuti di plastica: il 91%. Da notare che di questa ben il 34% è costituito da bottiglie (bevande e detergenti) che superano la percentuale di buste di plastica (29%). Fanalino di coda il Mar Ionio che grazie alla sua posizione geografica conta “solo” 7 rifiuti ogni kmq di mare. La piaga dei rifiuti galleggianti inoltre costituisce solo una minima parte del problema. Si stima, infatti, che il 70% dei rifiuti che entrano nell’ecosistema marino affondino e restino sommersi nei fondali, dove continuano ad accumularsi e frammentarsi entrando così anche all’interno della catena alimentare.