
Se i partiti populisti raccolgono molti consensi, la colpa non è degli elettori ma di chi non è in grado di offrire loro valide alternative
Il termine populismo ha assunto da qualche anno una valore negativo. In realtà questa etichetta viene applicata in Italia e altrove a movimenti politici molto diversi tra di loro, come la Lega di Savini o il Movimento 5 Stelle, ma l’obiettivo è comune: demonizzare.
Il termine populista contiene in sè quasi sempre un giudizio di valore, ovviamente negativo: definire in questo modo un partito o un esponente politico equivale, per molti commentatori, a negargli rispettabilità, se non legittimità, politica. In realtà spesso dietro questo atteggiamento culturale c’è una spocchia intellettuale e una faziosità non inferiore a quella di certi populisti.
Infatti il populismo è una risposta alle paure della globalizzazione, alla sempre più evidente separatezza tra élite e resto della società e alla perdita di un reale radicamento popolare dei partiti tradizionali. Chi lo contrasta, invece di demonizzarlo o di trattarlo con sufficienza, dovrebbe cercare di comprenderne le ragioni, esercitandosi anche in una sana autocritica.
Partendo da un principio: se i partiti populisti raccolgono molti consensi, la colpa non è degli elettori ma di chi non è in grado di offrire loro valide alternative.
Mario Pulimanti