Il Papa ‘Unire la gloria alla Croce: così Cristo ci riscatta dai vuoti di amore’
Nella festa dei Santi Apostoli Pietro e Paolo il Pontefice consegna i palli a 28 arcivescovi metropoliti: “Gloria e croce in Gesù Cristo vanno insieme e non si possono separare”
Città del Vaticano – Cristo “porta l’amore e la misericordia del Padre fino alle estreme conseguenze”; un amore “misericordioso” che “richiede di andare in tutti gli angoli della vita per raggiungere tutti”, a qualsiasi prezzo: “il ‘buon nome’, le comodità, la posizione… il martirio”.
Nella Solennità dei Santi Apostoli Pietro e Paolo, Papa Francesco presiede la Santa Messa con la benedizione dei Palli, presi dalla “Confessione dell’Apostolo Pietro” (il monumento che si trova sotto il baldacchino del Bernini) e destinati agli Arcivescovi Metropoliti, ben ventotto, nominati dal Santo Padre nel corso dell’anno.
In una piazza addobbata a festa e baciata da un caldo sole estivo, al rito sono presenti i quattordici neocardinali creati ieri nel corso del Concistoro, e, come da tradizione, in occasione della festa dei Patroni della Città di Roma, sul sagrato della basilica vaticano è presente anche una Delegazione del Patriarcato Ecumenico di Costantinopoli, inviata da Sua Beatitudine Bartolomeo e guidata da Sua Eminenza Job, Arcivescovo di Telmessos, accompagnato da Sua Grazia Theodoretos, Vescovo di Nazianzos, e dal Rev.do Alexander Koutsis, Diacono Patriarcale.
Nella sua omelia, il Pontefice, prendendo spunto dalle letture odierne, ricorda la professione di fede fatta da San Pietro davanti a Gesù, che lo riconosce come il Cristo, ovvero l’ “unto di Dio”, e i momenti successivi, quando il Principe degli Apostoli, davanti all’annuncio della passione, si lascia tentare dai “sussurri” del maligno.
E ammonisce: “Gloria e croce in Gesù Cristo vanno insieme e non si possono separare; perché quando si abbandona la croce, anche se entriamo nello splendore abbagliante della gloria, ci inganneremo, perché quella non sarà la gloria di Dio, ma la beffa dell’avversario”.
La fede degli Apostoli
Papa Bergoglio fa notare come tutto il Vangelo “vuole rispondere alla domanda che albergava nel cuore del Popolo d’Israele e che anche oggi non cessa di abitare tanti volti assetati di vita: ‘Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?'”.
Un interrogativo “che Gesù riprende e pone ai suoi discepoli: ‘Ma voi, chi dite che io sia?'”. A rispondere è Pietro, che attribuisce a Gesù il titolo più grande con cui poteva chiamarlo: “Tu sei il Messia”.
“Mi piace sapere che è stato il Padre ad ispirare questa risposta a Pietro, che vedeva come Gesù ‘ungeva’ il suo popolo – commenta il Pontefice -. Gesù, l’Unto che, di villaggio in villaggio, cammina con l’unico desiderio di salvare e sollevare chi era considerato perduto”.
E spiega: “In tale unzione ogni peccatore, ogni sconfitto, malato, pagano ha potuto sentirsi membro amato della famiglia di Dio. Con i suoi gesti, Gesù gli diceva in modo personale: tu mi appartieni”.
Anche noi, oggi, come Pietro, sottolinea il Papa, “possiamo confessare con le nostre labbra e il nostro cuore” “l’esperienza concreta della nostra vita: siamo stati risuscitati, curati, rinnovati, colmati di speranza” da Cristo.
Pronti al martirio
Il Santo Padre pone poi l’accento sul seguito di questo passo del Vangelo in cui Pietro confessa la fede. “L’Unto di Dio porta l’amore e la misericordia del Padre fino alle estreme conseguenze (cfr. Mt 16,21). Questo amore misericordioso richiede di andare in tutti gli angoli della vita per raggiungere tutti, anche se questo costasse il ‘buon nome’, le comodità, la posizione… il martirio”.
Davanti a questo inatteso annuncio, Pietro reagisce “e si trasforma immediatamente in pietra d’inciampo sulla strada del Messia”. L’Apostolo crede “di difendere i diritti di Dio”, ma senza accorgersi, si trasforma “in suo nemico”.
Per il Pontefice, “contemplare la vita di Pietro e la sua confessione significa anche imparare a conoscere le tentazioni che accompagneranno la vita del discepolo”.
“Come Chiesa – spiega il Papa -, saremo sempre tentati da quei ‘sussurri’ del maligno che saranno pietra d’inciampo per la missione”. Li chiama “sussurri” “perché il demonio seduce sempre di nascosto, facendo sì che non si riconosca la sua intenzione”.
Ogni povertà materiale e spirituale, ogni discriminazione di fratelli e sorelle è sempre conseguenza del rifiuto di Dio e del suo amore.
— Papa Francesco (@Pontifex_it) 29 giugno 2018
La gloria e la Croce
Al contrario, sottolinea il Pontefice, “partecipare all’unzione di Cristo è partecipare alla sua gloria, che è la sua Croce”. E aggiunge: “Gloria e croce in Gesù Cristo vanno insieme e non si possono separare; perché quando si abbandona la croce, anche se entriamo nello splendore abbagliante della gloria, ci inganneremo, perché quella non sarà la gloria di Dio, ma la beffa dell’avversario”.
“Non di rado sentiamo la tentazione di essere cristiani mantenendo una prudente distanza dalle piaghe del Signore”. Invece “Gesù tocca tocca la miseria umana, invitando noi a stare con Lui e a toccare la carne sofferente degli altri”.
In altre parole, “confessare la fede con le nostre labbra e il nostro cuore richiede di identificare i ‘sussurri’ del maligno”, di “imparare a discernere e scoprire quelle ‘coperture’ personali e comunitarie che ci mantengono a distanza dal vivo del dramma umano”, e che “ci impediscono di entrare in contatto con l’esistenza concreta degli altri e, in definitiva, di conoscere la forza rivoluzionaria della tenerezza di Dio”.
Il riscatto dai vuoti d’amore
“Non separando la gloria dalla croce, Gesù vuole riscattare i suoi discepoli, la sua Chiesa, da trionfalismi vuoti: vuoti di amore, vuoti di servizio, vuoti di compassione, vuoti di popolo”.
Non solo. Per il Pontefice, Cristo vuole riscattare la sua Chiesa “da una immaginazione senza limiti che non sa mettere radici nella vita del Popolo fedele o, che sarebbe peggio, crede che il servizio al Signore le chieda di sbarazzarsi delle strade polverose della storia”.
In definitiva, “contemplare e seguire Cristo esige di lasciare che il cuore si apra al Padre e a tutti coloro coi quali Egli stesso ha voluto identificarsi, e questo nella certezza di sapere che non abbandona il suo popolo”.
Infine, esorta: “Confessiamo con le nostre labbra e col nostro cuore: Gesù Cristo è il Signore (cfr Fil 2,11). Questo è il nostro cantus firmus che tutti i giorni siamo invitati a intonare”.
L’Angelus
Terminata la celebrazione, a mezzogiorno il Papa si affaccia dalla finestra del suo studio nel Palazzo Apostolico per la tradizionale preghiera dell’Angelus.
Ai tanti pellegrini che affollano la piazza, il Francesco ripercorre ulteriormente il brano evangelico proclamato durante la Messa.
Gesù pone agli apostoli due domande, attraverso le quali, spiega il Pontefice, “sembra dire che una cosa è seguire l’opinione corrente, e un’altra è incontrare Lui e aprirsi al suo mistero: lì si scopre la verità”.
“L’opinione comune contiene una risposta vera ma parziale; Pietro, e con lui la Chiesa di ieri, di oggi e di sempre, risponde, per grazia di Dio, la verità: ‘Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente'”.
“Nel corso dei secoli, il mondo ha definito Gesù in diversi modi: un grande profeta della giustizia e dell’amore; un sapiente maestro di vita; un rivoluzionario; un sognatore dei sogni di Dio… e così via. Tante cose belle”, prosegue il Santo Padre.
Ma “nella babele di queste e di altre ipotesi si staglia ancora oggi, semplice e netta, la confessione di Simone detto Pietro, uomo umile e pieno di fede”.
“Gesù è il Figlio di Dio: perciò è perennemente vivo Lui come è eternamente vivo il Padre suo. E’ questa la novità che la grazia accende nel cuore di chi si apre al mistero di Gesù: la certezza non matematica, ma ancora più forte, interiore, di aver incontrato la Sorgente della Vita, la Vita stessa fatta carne, visibile e tangibile in mezzo a noi”.
La risposta di Gesù, fa notare il Pontefice, è piena di luce: “Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le porte degli inferi non prevarranno contro di essa”.
“È la prima volta che Gesù pronuncia la parola ‘Chiesa’: e lo fa esprimendo tutto l’amore verso di essa, che definisce ‘la mia Chiesa’. E’ la nuova comunità dell’Alleanza, non più basata sulla discendenza e sulla Legge, ma sulla fede in Lui, Gesù, Volto di Dio”.
Infine, la supplica alla Vergine Maria, affinché il Signore “conceda alla Chiesa, a Roma e nel mondo intero, di essere sempre fedele al Vangelo, al cui servizio i santi Pietro e Paolo hanno consacrato la loro vita”.
Quindi, il tradizionale e immancabile saluto: “Auguro a tutti buona festa. E, per favore, non dimenticate di pregare per me. Buon pranzo e arrivederci!”.
Foto © Vatican Media