Il Papa: “Si può vivere una relazione falsa con Dio? Purtroppo c’è chi lo fa”
La preghiera del Pontefice per la tragedia del Pollino: “Mentre affido alla bontà misericordiosa di Dio quanti sono drammaticamente scomparsi, esprimo la mia spirituale vicinanza ai loro familiari, come anche ai feriti”
Città del Vaticano – “Ci si può domandare: è possibile prendere su di sé il nome di Dio in maniera ipocrita, come una formalità, a vuoto? La risposta è purtroppo positiva: sì, è possibile. Si può vivere una relazione falsa con Dio. E questa Parola del Decalogo è proprio l’invito a un rapporto con Dio senza ipocrisie, a una relazione in cui ci affidiamo a Lui con tutto quello che siamo“.
Papa Francesco prosegue il ciclo di catechesi dedicato al Decalogo della Legge, ponendo l’accento nel corso dell’Udienza Generale di quest’oggi sul comandamento “Non pronuncerai invano il nome del Signore, tuo Dio“.
“In fondo – spiega il Pontefice -, fino al giorno in cui non rischiamo l’esistenza con il Signore, toccando con mano che in Lui si trova la vita, facciamo solo teorie“.
“Giustamente leggiamo questa Parola come l’invito a non offendere il nome di Dio ed evitare di usarlo inopportunamente“, osserva Francesco: ma “l’espressione ‘invano’ è più chiara e vuol dire: ‘a vuoto, vanamente’. Fa riferimento a un involucro vuoto, a una forma priva di contenuto. È la caratteristica dell’ipocrisia, del formalismo e della menzogna: usare le parole, il nome di Dio, ma vuoto, senza verità“.
“Gesù lo diceva dei dottori della legge – ricorda il Santo Padre -: loro facevano le cose, ma non facevano quello che Dio voleva, parlavano di Dio, ma non facevano la volontà di Dio. Il consiglio di Gesù: fate quello che dicono ma non quello che fanno“.
Il Santo Padre passa poi a spiegare il significato del “nome” nella Bibbia, che indica “la verità intima delle cose e soprattutto delle persone”, e “rappresenta spesso la missione”. In altre parole, “conoscere veramente il nome di Dio porta alla trasformazione della propria vita”, come Mosè, o San Pietro, le cui storie cambiano dopo aver conosciuto il nome di Dio.
“Allora ‘prendere su di sé il nome di Dio’ vuol dire assumere su di noi la sua realtà, entrare in una relazione forte, stretta con Lui – sottolinea ancora Francesco -. Per noi cristiani, questo comandamento è il richiamo a ricordarci che siamo battezzati nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, come affermiamo ogni volta che facciamo su noi stessi il segno della croce, per vivere le nostre azioni quotidiane in comunione sentita e reale con Dio, cioè nel suo amore”.
Quindi, abbandonando il testo, a braccio torna a ribadire: “Insegnate ai bambini a fare il segno della croce“. “Avete visto come lo fanno i bambini? – chiede ai fedeli riuniti nella Sala Nervi – Fanno una cosa cosa e non sanno quello che è, non sanno fare il segno della croce“.
“Insegnare a fare – insistite Francesco – nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, il primo atto di fede del bambino”. “E’ un compito per voi, compito per insegnare ai bambini a fare il segno della croce – ribadisce -. Capito? Lo farete? Grazie”.
“Questo è il cristianesimo che tocca i cuori – aggiunge -. Perché i santi sono così capaci di toccare il cuore? Perché i santi non solo parlano, ma toccano il cuore. Perché nei santi vediamo quello che il nostro cuore profondamente desidera: autenticità, relazioni vere, radicalità. E questo si vede anche in quei ‘santi della porta accanto’ che sono, ad esempio, i genitori che danno ai figli l’esempio di una vita coerente, semplice, onesta e generosa”.
Secondo Francesco, “se si moltiplicano i cristiani che prendono su di sé il nome di Dio senza falsità – praticando così la prima domanda del Padre Nostro, ‘sia santificato il tuo nome’ – l’annuncio della Chiesa viene più ascoltato e risulta più credibile. Se la nostra vita concreta manifesta il nome di Dio, si vede quanto è bello il Battesimo e che grande dono è l’Eucaristia! quale sublime unione ci sia fra il nostro corpo e il Corpo di Cristo, Lui in noi e noi in Lui!”.
“Uniti – conclude il Papa a braccio -. Questa non è ipocrisia, questa è verità. Questo non è parlare o pregare come un pappagallo, questo è pregare con il cuore e amare il Signore”.
Nel salutare i pellegrini italiani che affollano l’Aula Paolo VI, il pensiero del Pontefice va alla tragedia, avvenuta nei giorni scorsi in Calabria nei pressi del torrente Raganello, dove hanno perso la vita escursionisti provenienti da varie Regioni d’Italia: “Mentre affido alla bontà misericordiosa di Dio quanti sono drammaticamente scomparsi, esprimo la mia spirituale vicinanza ai loro familiari, come anche ai feriti“.
Terminato il suo discorso, il Papa ripete ancora: “Torniamo ai compiti da fare a casa, insegnare al bambino a fare il segno della croce. Ben fatto. Lo farete? Grazie“.
(Il Faro online) – Foto © Vatican Media