Messa della Notte di Natale, il Papa: “Dio è la cura per le paure dell’uomo”
Nella basilica vaticana il Pontefice presiede la Messa della Notte di Natale: “A Betlemme scopriamo che la vita di Dio scorre nelle vene dell’umanità. Se la accogliamo, la storia cambia a partire da ciascuno di noi”
Città del Vaticano – “Non temete: sembra il ritornello di Dio in cerca dell’uomo. Perché l’uomo, dalle origini, ancora a causa del peccato, ha paura di Dio: ‘ho avuto paura e mi sono nascosto’ (Gen 3,10), dice Adamo dopo il peccato. Betlemme è il rimedio alla paura, perché nonostante i ‘no’ dell’uomo, lì Dio dice per sempre ‘sì’: per sempre sarà Dio-con-noi”.
Nella basilica vaticana, Papa Francesco presiede la Santa Messa della Notte di Natale. In una San Pietro addobbata a festa e gremita da migliaia di pellegrini, il Pontefice sviluppa la sua omelia a partire dalla città in cui nasce Cristo, ovvero Betlemme, analizzando due aspetti che riguardano il nome di questo luogo: “casa del pane” e “città di Davide”.
Nella prima parte, il Santo Padre, invita i fedeli a prendere Gesù come modello, che ha rinunciato a tutte le cose superflue della vita: “Dio si fa piccolo per essere nostro cibo. Nutrendoci di Lui, Pane di vita, possiamo rinascere nell’amore e spezzare la spirale dell’avidità e dell’ingordigia”, dice il Papa. “Davanti alla mangiatoia, capiamo che ad alimentare la vita non sono i beni, ma l’amore; non la voracità, ma la carità; non l’abbondanza da ostentare, ma la semplicità da custodire”, aggiunge.
Riflettendo sul significato di Betlemme come “città di Davide”, Bergoglio pone l’accento su un altro aspetto del Natale, quello dell’accoglienza: “Il Figlio di Davide nasce tra i pastori per dirci che mai più nessuno è solo; abbiamo un Pastore che vince le nostre paure e ci ama tutti, senza eccezioni”.
Betlemme, casa del pane
“Stanotte, anche noi saliamo a Betlemme per scoprirvi il mistero del Natale”, dice Francesco precisando il significato del nome della città che fa da sfondo alla nascita di Cristo: “Il nome significa casa del pane“.
Dio sa “che abbiamo bisogno di cibo per vivere”, ma allo stesso tempo, sottolinea il Papa, è consapevole “che i nutrimenti del mondo non saziano il cuore“. Nella Bibbia, “il peccato originale dell’umanità è associato proprio col prendere cibo“. Adamo ed Eva, infatti, presero e mangiarono il frutto dell’albero proibito.
L’uomo è diventato avido e vorace. Avere, riempirsi di cose pare a tanti il senso della vita. Un’insaziabile ingordigia attraversa la storia umana, fino ai paradossi di oggi, quando pochi banchettano lautamente e troppi non hanno pane per vivere.
“Betlemme è la svolta per cambiare il corso della storia. Lì Dio, nella casa del pane, nasce in una mangiatoia. Come a dirci: eccomi a voi, come vostro cibo. Non prende, offre da mangiare; non dà qualcosa, ma sé stesso”, prosegue il Pontefice.
A Betlemme scopriamo che Dio non è qualcuno che prende la vita, ma Colui che dona la vita. All’uomo, abituato dalle origini a prendere e mangiare, Gesù comincia a dire: “Prendete, mangiate. Questo è il mio corpo”.
In altre parole, “il corpicino del Bambino di Betlemme lancia un nuovo modello di vita: non divorare e accaparrare, ma condividere e donare. Dio si fa piccolo per essere nostro cibo“.
Solo “nutrendoci di Lui, Pane di vita, possiamo rinascere nell’amore e spezzare la spirale dell’avidità e dell’ingordigia”. Dunque, “Gesù riporta l’uomo a casa, perché diventi familiare del suo Dio e fratello del suo prossimo“. “Davanti alla mangiatoia, capiamo che ad alimentare la vita non sono i beni, ma l’amore; non la voracità, ma la carità; non l’abbondanza da ostentare, ma la semplicità da custodire“, sottolinea il Papa.
Il Signore sa che abbiamo bisogno ogni giorno di nutrirci. Perciò si è offerto a noi ogni giorno della sua vita, dalla mangiatoia di Betlemme al cenacolo di Gerusalemme. E oggi ancora sull’altare si fa Pane spezzato per noi: bussa alla nostra porta per entrare e cenare con noi. A Natale riceviamo in terra Gesù, Pane del cielo: è un cibo che non scade mai, ma ci fa assaporare già ora la vita eterna.
“A Betlemme scopriamo che la vita di Dio scorre nelle vene dell’umanità. Se la accogliamo, la storia cambia a partire da ciascuno di noi”, aggiunge Papa Francesco.
E spiega: “Perché quando Gesù cambia il cuore, il centro della vita non è più il mio io affamato ed egoista, ma Lui, che nasce e vive per amore”.
Poi, immaginando la salita a Betlemme, rivolge una serie di quesiti: “Chiamati stanotte a salire a Betlemme, casa del pane, chiediamoci: qual è il cibo della mia vita, di cui non posso fare a meno? È il Signore o è altro? Poi, entrando nella grotta, scorgendo nella tenera povertà del Bambino una nuova fragranza di vita, quella della semplicità, chiediamoci: ho davvero bisogno di molte cose, di ricette complicate per vivere? Riesco a fare a meno di tanti contorni superflui, per scegliere una vita più semplice?“.
A Betlemme, accanto a Gesù, vediamo gente che ha camminato, come Maria, Giuseppe e i pastori. Gesù è il Pane del cammino. Non gradisce digestioni pigre, lunghe e sedentarie, ma chiede di alzarsi svelti da tavola per servire, come pani spezzati per gli altri. Chiediamoci: a Natale spezzo il mio pane con chi ne è privo?
Nessuno è più solo
Riflettendo poi sul concetto di “Betlemme città di Davide“, Francesco ricorda come in quel posto “Davide, da ragazzo, faceva il pastore e come tale fu scelto da Dio, per essere pastore e guida del suo popolo”.
Di contro, a Natale, nella medesima città, “ad accogliere Gesù ci sono proprio i pastori“. Quando l’angelo appare loro, dice il Vangelo, “essi furono presi da grande timore”, Ma l’emissario divino gli dice: “Non temete”. Un verbo che torna “tante volte nel Vangelo”.
“Sembra il ritornello di Dio in cerca dell’uomo. Perché l’uomo, dalle origini, ancora a causa del peccato, ha paura di Dio (cfr, Gen 3,10)”.
“Betlemme – spiega il Pontefice – è il rimedio alla paura, perché nonostante i ‘no’ dell’uomo, lì Dio dice per sempre ‘sì’: per sempre sarà Dio-con-noi. E perché la sua presenza non incuta timore, si fa tenero bambino“.
Non temete: non viene detto a dei santi, ma a dei pastori, gente semplice che al tempo non si distingueva certo per garbo e devozione. Il Figlio di Davide nasce tra i pastori per dirci che mai più nessuno è solo; abbiamo un Pastore che vince le nostre paure e ci ama tutti, senza eccezioni.
Non si può attendere Dio stando seduti
Il Santo Padre fa notare poi come i pastori siano i modelli da seguire per incontrare il Signore. “Essi vegliano nella notte: non dormono, ma fanno quello che Gesù più volte chiederà: vegliare (cfr Mt 25,13; Mc 13,35; Lc 21,36)”.
“Restano vigili – spiega -, attendono svegli nel buio; e Dio ‘li avvolse di luce’. Vale anche per noi. La nostra vita può essere un’attesa, che anche nelle notti dei problemi si affida al Signore e lo desidera; allora riceverà la sua luce”.
“Oppure una pretesa – prosegue Francesco -, dove contano solo le proprie forze e i propri mezzi; ma in questo caso il cuore rimane chiuso alla luce di Dio”.
Il Signore ama essere atteso e non lo si può attendere sul divano, dormendo. Infatti i pastori si muovono: “andarono senza indugio”, dice il testo. Non stanno fermi come chi si sente arrivato e non ha bisogno di nulla, ma vanno, lasciano il gregge incustodito, rischiano per Dio.
Non solo. I pastori, “dopo aver visto Gesù, pur non essendo esperti nel parlare, vanno ad annunciarlo” a tutta la città. “Attendere svegli, andare, rischiare, raccontare la bellezza: sono gesti di amore“, fa notare il Papa.
Il buon Pastore, che a Natale viene per dare la vita alle pecore, a Pasqua rivolgerà a Pietro e, attraverso di lui a tutti noi, la domanda finale: «Mi ami?» (Gv 21,15). Dalla risposta dipenderà il futuro del gregge. Stanotte siamo chiamati a rispondere, a dirgli anche noi: “Ti amo”. La risposta di ciascuno è essenziale per il gregge intero.
Infine, il Pontefice invita a seguire l’esempio dei pastori che salirono a Betlemme: “La strada, anche oggi, è in salita: va superata la vetta dell’egoismo, non bisogna scivolare nei burroni della mondanità e del consumismo. Voglio arrivare a Betlemme, Signore, perché è lì che mi attendi. E accorgermi che Tu, deposto in una mangiatoia, sei il pane della mia vita. Ho bisogno della fragranza tenera del tuo amore per essere, a mia volta, pane spezzato per il mondo“.
In conclusione, un’ulteriore supplica: “Prendimi sulle tue spalle, buon Pastore: da Te amato, potrò anch’io amare e prendere per mano i fratelli. Allora sarà Natale, quando potrò dirti: ‘Signore, tu sai tutto, tu sai che io ti amo’ (cfr Gv 21,17)”.
(Il Faro online)