Messa della Notte |
Papa & Vaticano
/

Messa della Notte di Natale, il Papa: “Dio è la cura per le paure dell’uomo”

24 dicembre 2018 | 22:09
Share0
Messa della Notte di Natale, il Papa: “Dio è la cura per le paure dell’uomo”

Nella basilica vaticana il Pontefice presiede la Messa della Notte di Natale: “A Betlemme scopriamo che la vita di Dio scorre nelle vene dell’umanità. Se la accogliamo, la storia cambia a partire da ciascuno di noi”

Città del Vaticano – “Non temete: sembra il ritornello di Dio in cerca dell’uomo. Perché l’uomo, dalle origini, ancora a causa del peccato, ha paura di Dio: ‘ho avuto paura e mi sono nascosto’ (Gen 3,10), dice Adamo dopo il peccato. Betlemme è il rimedio alla paura, perché nonostante i ‘no’ dell’uomo, lì Dio dice per sempre ‘sì’: per sempre sarà Dio-con-noi”.

Nella basilica vaticana, Papa Francesco presiede la Santa Messa della Notte di Natale. In una San Pietro addobbata a festa e gremita da migliaia di pellegrini, il Pontefice sviluppa la sua omelia a partire dalla città in cui nasce Cristo, ovvero Betlemme, analizzando due aspetti che riguardano il nome di questo luogo: “casa del pane” e “città di Davide”.

Nella prima parte, il Santo Padre, invita i fedeli a prendere Gesù come modello, che ha rinunciato a tutte le cose superflue della vita: “Dio si fa piccolo per essere nostro cibo. Nutrendoci di Lui, Pane di vita, possiamo rinascere nell’amore e spezzare la spirale dell’avidità e dell’ingordigia”, dice il Papa. “Davanti alla mangiatoia, capiamo che ad alimentare la vita non sono i beni, ma l’amore; non la voracità, ma la carità; non l’abbondanza da ostentare, ma la semplicità da custodire”, aggiunge.

Riflettendo sul significato di Betlemme come “città di Davide”, Bergoglio pone l’accento su un altro aspetto del Natale, quello dell’accoglienza: “Il Figlio di Davide nasce tra i pastori per dirci che mai più nessuno è solo; abbiamo un Pastore che vince le nostre paure e ci ama tutti, senza eccezioni”.

Betlemme, casa del pane

“Stanotte, anche noi saliamo a Betlemme per scoprirvi il mistero del Natale”, dice Francesco precisando il significato del nome della città che fa da sfondo alla nascita di Cristo: “Il nome significa casa del pane“.

Dio sa “che abbiamo bisogno di cibo per vivere”, ma allo stesso tempo, sottolinea il Papa, è consapevole “che i nutrimenti del mondo non saziano il cuore“. Nella Bibbia, “il peccato originale dell’umanità è associato proprio col prendere cibo“. Adamo ed Eva, infatti, presero e mangiarono il frutto dell’albero proibito.

L’uomo è diventato avido e vorace. Avere, riempirsi di cose pare a tanti il senso della vita. Un’insaziabile ingordigia attraversa la storia umana, fino ai paradossi di oggi, quando pochi banchettano lautamente e troppi non hanno pane per vivere.

“Betlemme è la svolta per cambiare il corso della storia. Lì Dio, nella casa del pane, nasce in una mangiatoia. Come a dirci: eccomi a voi, come vostro cibo. Non prende, offre da mangiare; non dà qualcosa, ma sé stesso”, prosegue il Pontefice.

A Betlemme scopriamo che Dio non è qualcuno che prende la vita, ma Colui che dona la vita. All’uomo, abituato dalle origini a prendere e mangiare, Gesù comincia a dire: “Prendete, mangiate. Questo è il mio corpo”.

In altre parole, “il corpicino del Bambino di Betlemme lancia un nuovo modello di vita: non divorare e accaparrare, ma condividere e donare. Dio si fa piccolo per essere nostro cibo“.

Solo “nutrendoci di Lui, Pane di vita, possiamo rinascere nell’amore e spezzare la spirale dell’avidità e dell’ingordigia”. Dunque, “Gesù riporta l’uomo a casa, perché diventi familiare del suo Dio e fratello del suo prossimo“. “Davanti alla mangiatoia, capiamo che ad alimentare la vita non sono i beni, ma l’amore; non la voracità, ma la carità; non l’abbondanza da ostentare, ma la semplicità da custodire“, sottolinea il Papa.

Il Signore sa che abbiamo bisogno ogni giorno di nutrirci. Perciò si è offerto a noi ogni giorno della sua vita, dalla mangiatoia di Betlemme al cenacolo di Gerusalemme. E oggi ancora sull’altare si fa Pane spezzato per noi: bussa alla nostra porta per entrare e cenare con noi. A Natale riceviamo in terra Gesù, Pane del cielo: è un cibo che non scade mai, ma ci fa assaporare già ora la vita eterna.

A Betlemme scopriamo che la vita di Dio scorre nelle vene dell’umanità. Se la accogliamo, la storia cambia a partire da ciascuno di noi”, aggiunge Papa Francesco.

E spiega: “Perché quando Gesù cambia il cuore, il centro della vita non è più il mio io affamato ed egoista, ma Lui, che nasce e vive per amore”.

Poi, immaginando la salita a Betlemme, rivolge una serie di quesiti: “Chiamati stanotte a salire a Betlemme, casa del pane, chiediamoci: qual è il cibo della mia vita, di cui non posso fare a meno? È il Signore o è altro? Poi, entrando nella grotta, scorgendo nella tenera povertà del Bambino una nuova fragranza di vita, quella della semplicità, chiediamoci: ho davvero bisogno di molte cose, di ricette complicate per vivere? Riesco a fare a meno di tanti contorni superflui, per scegliere una vita più semplice?“.

A Betlemme, accanto a Gesù, vediamo gente che ha camminato, come Maria, Giuseppe e i pastori. Gesù è il Pane del cammino. Non gradisce digestioni pigre, lunghe e sedentarie, ma chiede di alzarsi svelti da tavola per servire, come pani spezzati per gli altri. Chiediamoci: a Natale spezzo il mio pane con chi ne è privo?

Nessuno è più solo

Riflettendo poi sul concetto di “Betlemme città di Davide“, Francesco ricorda come in quel posto “Davide, da ragazzo, faceva il pastore e come tale fu scelto da Dio, per essere pastore e guida del suo popolo”.

Di contro, a Natale, nella medesima città, “ad accogliere Gesù ci sono proprio i pastori“. Quando l’angelo appare loro, dice il Vangelo, “essi furono presi da grande timore”, Ma l’emissario divino gli dice: “Non temete”. Un verbo che torna “tante volte nel Vangelo”.

“Sembra il ritornello di Dio in cerca dell’uomo. Perché l’uomo, dalle origini, ancora a causa del peccato, ha paura di Dio (cfr, Gen 3,10)”.

“Betlemme – spiega il Pontefice – è il rimedio alla paura, perché nonostante i ‘no’ dell’uomo, lì Dio dice per sempre ‘sì’: per sempre sarà Dio-con-noi. E perché la sua presenza non incuta timore, si fa tenero bambino“.

Non temete: non viene detto a dei santi, ma a dei pastori, gente semplice che al tempo non si distingueva certo per garbo e devozione. Il Figlio di Davide nasce tra i pastori per dirci che mai più nessuno è solo; abbiamo un Pastore che vince le nostre paure e ci ama tutti, senza eccezioni.

Non si può attendere Dio stando seduti

Il Santo Padre fa notare poi come i pastori siano i modelli da seguire per incontrare il Signore. “Essi vegliano nella notte: non dormono, ma fanno quello che Gesù più volte chiederà: vegliare (cfr Mt 25,13; Mc 13,35; Lc 21,36)”.

“Restano vigili – spiega -, attendono svegli nel buio; e Dio ‘li avvolse di luce’. Vale anche per noi. La nostra vita può essere un’attesa, che anche nelle notti dei problemi si affida al Signore e lo desidera; allora riceverà la sua luce”.

“Oppure una pretesa – prosegue Francesco -, dove contano solo le proprie forze e i propri mezzi; ma in questo caso il cuore rimane chiuso alla luce di Dio”.

Il Signore ama essere atteso e non lo si può attendere sul divano, dormendo. Infatti i pastori si muovono: “andarono senza indugio”, dice il testo. Non stanno fermi come chi si sente arrivato e non ha bisogno di nulla, ma vanno, lasciano il gregge incustodito, rischiano per Dio.

Non solo. I pastori, “dopo aver visto Gesù, pur non essendo esperti nel parlare, vanno ad annunciarlo” a tutta la città. “Attendere svegli, andare, rischiare, raccontare la bellezza: sono gesti di amore“, fa notare il Papa.

Il buon Pastore, che a Natale viene per dare la vita alle pecore, a Pasqua rivolgerà a Pietro e, attraverso di lui a tutti noi, la domanda finale: «Mi ami?» (Gv 21,15). Dalla risposta dipenderà il futuro del gregge. Stanotte siamo chiamati a rispondere, a dirgli anche noi: “Ti amo”. La risposta di ciascuno è essenziale per il gregge intero.

Infine, il Pontefice invita a seguire l’esempio dei pastori che salirono a Betlemme: “La strada, anche oggi, è in salita: va superata la vetta dell’egoismo, non bisogna scivolare nei burroni della mondanità e del consumismo. Voglio arrivare a Betlemme, Signore, perché è lì che mi attendi. E accorgermi che Tu, deposto in una mangiatoia, sei il pane della mia vita. Ho bisogno della fragranza tenera del tuo amore per essere, a mia volta, pane spezzato per il mondo“.

In conclusione, un’ulteriore supplica: “Prendimi sulle tue spalle, buon Pastore: da Te amato, potrò anch’io amare e prendere per mano i fratelli. Allora sarà Natale, quando potrò dirti: ‘Signore, tu sai tutto, tu sai che io ti amo’ (cfr Gv 21,17)”.

(Il Faro online)