Messa dell’Epifania, il Papa: “Dio non sale alla ribalta del mondo per manifestarsi”
Nella basilica di San Pietro la Santa Messa nella solennità dell’Epifania. Il Pontefice: “Non siamo noi il sole dell’umanità. Siamo la luna, che, pur con le sue ombre, riflette la luce vera, il Signore”
Città del Vaticano – “Dio non sale alla ribalta del mondo per manifestarsi“. La sua luce “illumina, ma non abbaglia”; “risplende nell’amore umile. Quante volte poi, come Chiesa, abbiamo provato a brillare di luce propria! Ma non siamo noi il sole dell’umanità. Siamo la luna, che, pur con le sue ombre, riflette la luce vera, il Signore: Egli è la luce del mondo. Lui, non noi“.
Papa Francesco presiede nella basilica vaticana la Santa Messa nella Solennità dell’Epifania. In una San Pietro addobbata a festa e gremita di fedeli da ogni parte del mondo, che hanno iniziano ad affollare i cancelli del colonnato già dalle prime luci dell’alba, non curanti del freddo, il Pontefice incentra la sua omelia sul tema della luce, sottolineando la differenza tra quella ingannatrice del mondo e quella umile e gentile di Dio.
Il significato dell’Epifania
Il Papa esordisce ricordando il significato della festa odierna: la parola Epifania “indica la manifestazione del Signore, il quale, come dice san Paolo, si rivela a tutte le genti, rappresentate oggi dai magi”.
Si svela così la bellissima realtà di Dio venuto per tutti: ogni nazione, lingua e popolazione è da Lui accolta e amata. Simbolo di questo è la luce, che tutto raggiunge e illumina.
Ma se Dio “si manifesta per tutti”, quello che desta stupore è il modo in cui lo fa. “Nel Vangelo – prosegue il Papa – è narrato un via-vai attorno al palazzo di Erode”. I magi “lo troveranno non dove pensavano: non nel palazzo regale di Gerusalemme, ma in un’umile dimora a Betlemme”.
Lo stesso paradosso emergeva a Natale, quando il Vangelo parlava del censimento di tutta la terra ai tempi dell’imperatore Augusto e del governatore Quirinio. Ma nessuno dei potenti di allora si rese conto che il Re della storia nasceva al loro tempo.
Quando il Vangelo racconta la manifestazione pubblica di Gesù attorno ai trent’anni, “precorso da Giovanni il Battista, il testo sacro offre un’altra solenne presentazione del contesto, elencando tutti i ‘grandi’ di allora, potere secolare e spirituale: Tiberio Cesare, Ponzio Pilato, Erode, Filippo, Lisania, i sommi sacerdoti Anna e Caifa”. Eppure, fa notare Francesco, “la Parola di Dio venne su Giovanni nel deserto“.
Dunque su nessuno dei grandi, ma su un uomo che si era ritirato nel deserto. Ecco la sorpresa: Dio non sale alla ribalta del mondo per manifestarsi.
La vera luce
Ascoltando quella lista di personaggi illustri, fa notare il Santo Padre, “potrebbe venire la tentazione di ‘girare le luci’ su di loro“.
Potremmo pensare: sarebbe stato meglio se la stella di Gesù fosse apparsa a Roma sul colle Palatino, dal quale Augusto regnava sul mondo; tutto l’impero sarebbe diventato subito cristiano. Oppure, se avesse illuminato il palazzo di Erode, questi avrebbe potuto fare del bene, anziché del male.
“Ma la luce di Dio – ammonisce il Papa – non va da chi splende di luce propria.Dio si propone, non si impone; illumina, ma non abbaglia. È sempre grande la tentazione di confondere la luce di Dio con le luci del mondo”.
Quante volte abbiamo inseguito i seducenti bagliori del potere e della ribalta, convinti di rendere un buon servizio al Vangelo! Ma così abbiamo girato le luci dalla parte sbagliata, perché Dio non era lì. La sua luce gentile risplende nell’amore umile. Quante volte poi, come Chiesa, abbiamo provato a brillare di luce propria! Ma non siamo noi il sole dell’umanità. Siamo la luna, che, pur con le sue ombre, riflette la luce vera, il Signore: Egli è la luce del mondo. Lui, non noi.
Un incontro che cambia la vita
“La luce di Dio va da chi la accoglie“, aggiunge Bergoglio. Cita poi Isai, che nella prima lettura “ci ricorda che la luce divina non impedisce alle tenebre e alle nebbie fitte di ricoprire la terra, ma risplende in chi è disposto a riceverla“. “Perciò il profeta rivolge un invito, che interpella ciascuno: ‘Àlzati, rivestiti di luce'”, prosegue.
Occorre alzarsi, cioè levarsi dalla propria sedentarietà e disporsi a camminare. Altrimenti si rimane fermi, come gli scribi consultati da Erode, i quali sapevano bene dov’era nato il Messia, ma non si mossero. E poi bisogna rivestirsi di Dio che è la luce, ogni giorno, finché Gesù diventi il nostro abito quotidiano.
“Ma per indossare l’abito di Dio – fa notare Francesco -, che è semplice come la luce, bisogna prima dismettere i vestiti pomposi. Altrimenti si fa come Erode, che alla luce divina preferiva le luci terrene del successo e del potere”. I magi, al contrario, “realizzano la profezia, si alzano per essere rivestiti di luce. Essi soli vedono la stella in cielo: non gli scribi, non Erode, nessuno a Gerusalemme”.
Per trovare Gesù c’è da impostare un itinerario diverso, c’è da prendere una via alternativa, la sua, la via dell’amore umile. E c’è da mantenerla.
Infatti, il Vangelo odierno conclude dicendo che i magi, dopo aver incontrato Gesù, “per un’altra strada fecero ritorno al loro paese“.
Un’altra strada, diversa da quella di Erode. Una via alternativa al mondo, come quella percorsa da quanti a Natale stanno con Gesù: Maria e Giuseppe, i pastori. Essi, come i Magi, hanno lasciato le loro dimore e sono diventati pellegrini sulle vie di Dio. Perché solo chi lascia i propri attaccamenti mondani per mettersi in cammino trova il mistero di Dio.
Questo, prosegue il Papa, “vale anche per noi. Non basta sapere dove Gesù è nato, come gli scribi, se non raggiungiamo quel dove. Non basta sapere che Gesù è nato, come Erode, se non lo incontriamo”.
Quando il suo dove diventa il nostro dove, il suo quando il nostro quando, la sua persona la nostra vita, allora le profezie si compiono in noi. Allora Gesù nasce dentro e diventa Dio vivo per me.
Il Pontefice invita poi ad imitare i magi: “Essi non discutono, ma camminano; non rimangono a guardare, ma entrano nella casa di Gesù; non si mettono al centro, ma si prostrano a Lui, che è il centro; non si fissano nei loro piani, ma si dispongono a prendere altre strade“.
Doni per il Signore
Nei gesti dei magi, sottolinea il Papa, “c’è un contatto stretto col Signore, un’apertura radicale a Lui, un coinvolgimento totale in Lui”.
Utilizzano il linguaggio dell’amore, la stessa lingua che Gesù, ancora infante, già parla. Infatti i magi vanno dal Signore non per ricevere, ma per donare. Ci chiediamo: a Natale abbiamo portato qualche dono a Gesù, per la sua festa, o ci siamo scambiati regali solo tra di noi?
E se nel giorno di Natale “siamo andati dal Signore a mani vuote, oggi possiamo rimediare”. L’evangelista Matteo, infatti, riporta “una piccola lista-regali: oro, incenso e mirra“. Doni simbolici che Papa Francesco spiega così:
L’oro, ritenuto l’elemento più prezioso, ricorda che a Dio va dato il primo posto. Va adorato. Ma per farlo bisogna privare sé stessi del primo posto e credersi bisognosi, non autosufficienti.
Ecco allora l’incenso, a simboleggiare la relazione col Signore, la preghiera, che come profumo sale a Dio. Ma, come l’incenso per profumare deve bruciare, così per la preghiera occorre “bruciare” un po’ di tempo, spenderlo per il Signore. E farlo davvero, non solo a parole.
A proposito di fatti, ecco la mirra, unguento che verrà utilizzato per avvolgere con amore il corpo di Gesù deposto dalla croce (cfr Gv 19,39). Il Signore gradisce che ci prendiamo cura dei corpi provati dalla sofferenza, della sua carne più debole, di chi è rimasto indietro, di chi può solo ricevere senza dare nulla di materiale in cambio. È preziosa agli occhi di Dio la misericordia verso chi non ha da restituire, la gratuità!
Infine, un ulteriore invito a “fare un bel regalo al nostro Re, venuto per tutti non sui palcoscenici fastosi del mondo, ma nella povertà luminosa di Betlemme. Se lo faremo, la sua luce risplenderà su di noi“.
(Il Faro online)