“Dio risponde sempre ai suoi figli, anche se delinquenti, perché conosce solo l’amore”
Il Pontefice prosegue il ciclo di catechesi sul Padre Nostro e afferma: “Per pregare bene, bisogna arrivare ad avere un cuore di bambino”
Città del Vaticano – “È mai possibile che Tu, o Dio, conosca solo amore? Tu non conosci l’odio? Dov’è in Te la vendetta, la pretesa di giustizia, la rabbia per il tuo onore ferito? E Dio risponderebbe: Io conosco solo amore“.
Nell’Aula Paolo VI, Papa Francesco prosegue il ciclo di catechesi incentrato sul Padre Nostro, soffermandosi, ancora una volta, sul significato della prima parola che compone la preghiera insegnata da Gesù.
Il Pontefice parte dall’osservazione che, nel Nuovo Testamento, “la preghiera sembra voler arrivare all’essenziale, fino a concentrarsi in una sola parola: Abbà, Padre“. Cita più volte San Paolo e le sue lettere, fino a ribadire che in Dio convivono i ruoli di “padre” e di “madre”. Ed è per questo che per pregare bene, “bisogna arrivare ad avere un cuore di bambino”.
Per un cristiano, pregare è dire semplicemente “Abbà”, dire “Papà”, dire “Babbo”, dire “Padre” ma con la fiducia di un bambino.
Una parola non tradotta
Nel suo discorso, Papa Bergoglio fa notare come nella lettera ai Galati, l’invocazione “Abbà! Padre!” ritorna per due volte. Un’invocazione, sottolinea il Pontefice, “nella quale si condensa tutta la novità del Vangelo”.
Dopo aver conosciuto Gesù e ascoltato la sua predicazione, il cristiano non considera più Dio come un tiranno da temere, non ne ha più paura ma sente fiorire nel suo cuore la fiducia in Lui: può parlare con il Creatore chiamandolo “Padre”.
Ma c’è dell’altro. “L’espressione è talmente importante per i cristiani che spesso si è conservata intatta nella sua forma originaria: ‘Abbà'”.
E spiega: “È raro che nel Nuovo Testamento le espressioni aramaiche non vengano tradotte in greco. Dobbiamo immaginare che in queste parole aramaiche sia rimasta come ‘registrata’ la voce di Gesù stesso: hanno rispettato l’idioma di Gesù. Nella prima parola del ‘Padre nostro’ troviamo subito la radicale novità della preghiera cristiana“.
La tenerezza di un Padre…
Quello del “padre” non è semplicemente un simbolo “da legare al mistero di Dio”, al contrario “si tratta di avere, per così dire, tutto il mondo di Gesù travasato nel proprio cuore”.
Dire “Abbà” è qualcosa di molto più intimo, più commovente che semplicemente chiamare Dio “Padre”. Ecco perché qualcuno ha proposto di tradurre questa parola aramaica originaria “Abbà” con “Papà” o “Babbo”. Invece di dire “Padre nostro”, dire “Papà, Babbo”. Noi continuiamo a dire “Padre nostro”, ma con il cuore siamo invitati a dire “Papà”, ad avere un rapporto con Dio come quello di un bambino con il suo papà, che dice “papà” e dice “babbo”.
Queste sono espressioni che “evocano affetto, calore, qualcosa che ci proietta nel contesto dell’età infantile: l’immagine di un bambino completamente avvolto dall’abbraccio di un padre che prova infinita tenerezza per lui”.
…che è anche Madre
Il “Padre nostro”, aggiunge Francesco, “prende senso e colore se impariamo a pregarlo dopo aver letto la parabola del padre misericordioso, nel capitolo 15° di Luca (cfr Lc 15,11-32)”.
Il padre di quella parabola ha nei suoi modi di fare qualcosa che molto ricorda l’animo di una madre. Sono soprattutto le madri a scusare i figli, a coprirli, a non interrompere l’empatia nei loro confronti, a continuare a voler bene, anche quando questi non meriterebbero più niente.
In altre parole, “basta evocare questa sola espressione – Abbà – perché si sviluppi una preghiera cristiana”. “In questa invocazione c’è una forza che attira tutto il resto della preghiera“, aggiunge il Papa.
Dio ti cerca, anche se tu non lo cerchi. Dio ti ama, anche se tu ti sei dimenticato di Lui. Dio scorge in te una bellezza, anche se tu pensi di aver sperperato inutilmente tutti i tuoi talenti. Dio è non solo un padre, è come una madre che non smette mai di amare la sua creatura. D’altra parte, c’è una “gestazione” che dura per sempre, ben oltre i nove mesi di quella fisica; è una gestazione che genera un circuito infinito d’amore. Per un cristiano, pregare è dire semplicemente “Abbà”, dire “Papà”, dire “Babbo”, dire “Padre” ma con la fiducia di un bambino.
“Dio risponde sempre”
Può capire che ciascuno di noi cammini “su sentieri lontani da Dio, come è successo al figlio prodigo; oppure di precipitare in una solitudine che ci fa sentire abbandonati nel mondo – prosegue il Papa -; o, ancora, di sbagliare ed essere paralizzati da un senso di colpa“.
In quei momenti difficili, sottolinea Francesco, “possiamo trovare ancora la forza di pregare, ricominciando dalla parola ‘Padre’, ma detta con il senso tenero di un bambino. Lui non ci nasconderà il suo volto”.
E ammonisce: “Ricordate bene: forse qualcuno ha dentro di sé cose brutte, cose che non sa come risolvere, tanta amarezza per avere fatto questo e quest’altro… Lui non nasconderà il suo volto. Lui non si chiuderà nel silenzio. Tu digli ‘Padre’ e Lui ti risponderà.
Tu hai un padre. “Sì, ma io sono un delinquente…”. Ma hai un padre che ti ama! Digli “Padre”, incomincia a pregare così, e nel silenzio ci dirà che mai ci ha persi di vista. “Ma, Padre, io ho fatto questo…” – “Mai ti ho perso di vista, ho visto tutto. Ma sono rimasto sempre lì, vicino a te, fedele al mio amore per te”. Quella sarà la risposta. Non dimenticatevi mai di dire “Padre”.
L’appello per l’unità dei cristiani
Infine, ricordando la Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani, che inizierà venerdì 18 gennaio con la celebrazione dei vespri nella basilica di San Paolo Fuori le Mura, Papa Francesco invita a pregare “affinché tutti i cristiani tornino ad essere un’unica famiglia, coerenti con la volontà divina che vuole ‘che tutti siano una sola cosa’”.
E conclude: “L’ecumenismo non è una cosa opzionale. L’intenzione sarà quella di maturare una comune e concorde testimonianza nell’affermazione della vera giustizia e nel sostegno dei più deboli, mediante risposte concrete, appropriate ed efficaci”.
(Il Faro online) – Foto © Vatican Media