C’è ancora da lottare. I fiori, le mimose, portiamoli sulle tombe delle vittime.
Sono una donna, ma l’8 marzo non posso “festeggiare” la ricorrenza, la cosiddetta festa della donna, un giorno nato sulle ceneri di una tragedia, come reazione alla condizione di inferiorità in cui la società aveva messo quello che si definisce – e già questo la dice lunga – “sesso debole”.
Chiedo: cosa c’è da festeggiare? Una conquista frutto di sacrifici? Il raggiungimento di una società che nelle differenza percepisce il valore dell’uguaglianza ? La condizione finalmente “civile” del vivere insieme?
Non festeggio perché viviamo in un Pianeta dove ogni poche ore si registra un femminicidio; dove le ragazzine vengono violentate in branco.
Non festeggio in un mondo dove l’educazione sentimentale – sentimentale, non sessuale – non esiste.
Non festeggio dove, al di là delle dichiarazioni pubbliche nelle quali sembra che tutti gli strumenti legislativi e giudiziari siano a portata di mano, rimaniamo ostaggi dell’uomo che non accetta la fine di un rapporto. Certo, le leggi esistono, ma la vita è altro: le donne denunciano sempre, ma il più delle volte non vengono neanche credute. I giudici archiviano con una certa velocità i processi per maltrattamenti in famiglia. Gli uomini violenti non vengono puniti.
E non stiamo parlando di singole denunce fatte in fase di separazione, dove alcune donne approfittano del momento per mettere in difficoltà il partner, danneggiando così altre migliaia di donne che invece le violenze le subiscono realmente.
Parliamo delle vittime che, come in un perverso gioco dell’oca, una volta passate tutte le caselle che la legge impone (denunce reiterate per anni alla magistratura, referti medici, segnalazioni alle forze dell’ordine) tornano al punto di partenza. Con il carnefice sotto casa, se non addirittura in casa. Sole, impaurite, senza più strade da seguire. Condannate a subire, quando non a morire.
Il femminicidio è la punta dell’iceberg di una società che non tutela la donna; anzi, peggio, non la considera. Una società talmente maschilista da aver influenzato anche il linguaggio femminile, dove gli epiteti offensivi nei confronti delle donne partono il più delle volte dalle stesse donne.
Una società dove una donna ancora oggi prende uno stipendio inferiore a un uomo, dove non esistono leggi che custodiscano e agevolino il compito più difficile del mondo: essere madre. Un mondo che ci vede spose a 8 anni, che ci costringe all’infibulazione.
Davvero non so in che modo si possa “festeggiare” questa ricorrenza. Non c’è da festeggiare, c’è ancora da lottare. I fiori, le mimose, portiamoli sulle tombe delle vittime.