Veglia Pasquale, il Papa: “Non rassegnamoci alla psicologia del sepolcro, ritorniamo a Dio”
Nella basilica vaticana il Pontefice presiede la solenne Veglia Pasquale, amministrando i sacramenti dell’iniziazione cristiana a otto neofiti. Il Papa: “Pasqua ci insegna che il credente si ferma poco al cimitero, perché è chiamato a camminare incontro al Vivente”
Città del Vaticano – “Lamentandoci della vita, rendiamo la vita dipendente dalle lamentele e spiritualmente malata. Si insinua così una specie di psicologia del sepolcro: ogni cosa finisce lì, senza speranza di uscirne viva”. Ma “la storia umana non finisce davanti a una pietra sepolcrale“.
E’ un continuo invito alla speranza l’omelia pronunciata da Papa Francesco nel corso della solenne Veglia Pasquale, celebrata in una basilica vaticana alla presenza di migliaia di pellegrini provenienti da ogni parte del pianeta.
Un rito antico, composto di quattro parti, che la chiesa di San Pietro – addobbata a festa – contribuisce a rendere ancora più suggestivo. Davanti al baldacchino del Bernini, il Pontefice amministra i sacramenti dell’iniziazione cristiana (battesimo, comunione, cresima) a otto neofiti provenienti da: Italia, Albania, Ecuador, Indonesia e Perù.
Contro la “logica del sepolcro”
E mentre il campanone suona a festa, Papa Bergoglio riflette sulla domanda “sferzante” della Pasqua: “Perché cercate tra i morti colui che è vivo?”. Un interrogativo che l’angelo rivolge alle donne che, in lacrime, erano andate al sepolcro per portare aromi. Un percorso, quello verso la tomba, che le stesse donne ritengono “inutile”, “perché una grossa pietra sbarra l’ingresso del sepolcro”.
Un cammino che assomiglia al nostro, dove tutto “sembra che tutto vada a infrangersi contro una pietra”; “sembra che i passi compiuti non giungano mai alla meta”. Ma con la Pasqua scopriamo “che il nostro cammino non è vano, che non sbatte davanti a una pietra tombale”.
Una frase scuote le donne e cambia la storia: “Perché cercate tra i morti colui che è vivo?” (Lc 24,5); perché pensate che sia tutto inutile, che nessuno possa rimuovere le vostre pietre? Perché cedete alla rassegnazione e al fallimento? Pasqua è la festa della rimozione delle pietre.
“Dio – prosegue il Papa – rimuove le pietre più dure, contro cui vanno a schiantarsi speranze e aspettative: la morte, il peccato, la paura, la mondanità”.
E “anche quando ci perdiamo d’animo, quando siamo tentati di giudicare tutto sulla base dei nostri insuccessi“, Cristo “viene a ribaltare le nostre delusioni”. Quindi, rivolgendosi ai fedeli, domanda: “Chiediamoci anzitutto: qual è la mia pietra da rimuovere, come si chiama?”.
Spesso a ostruire la speranza è la pietra della sfiducia. Quando si fa spazio l’idea che tutto va male e che al peggio non c’è mai fine, rassegnati arriviamo a credere che la morte sia più forte della vita e diventiamo cinici e beffardi, portatori di malsano scoraggiamento. Pietra su pietra costruiamo dentro di noi un monumento all’insoddisfazione, il sepolcro della speranza.
In altre parole, “lamentandoci della vita, rendiamo la vita dipendente dalle lamentele e spiritualmente malata”. E così “si insinua così una specie di psicologia del sepolcro: ogni cosa finisce lì, senza speranza di uscirne viva“. Ma con la Pasqua tutto cambia. Dio, infatti, sottolinea Francesco, “non abita nella rassegnazione”. E incoraggia: “Non cercarlo dove non lo troverai mai. Non seppellire la speranza!“.
Con la Pasqua anche l’uomo si rialza
Tornando alle donne, il Papa fa notare come esse “restano allibite”; nel vedere “gli angeli rimangono “col volto chinato a terra. Non hanno il coraggio di alzare lo sguardo”.
Spesso, sottolinea il Pontefice, capita anche a noi: “preferiamo rimanere accovacciati nei nostri limiti, rintanarci nelle nostre paure“. E questo perché “nella chiusura e nella tristezza siamo noi i protagonisti, perché è più facile rimanere soli nelle stanze buie del cuore che aprirci al Signore”. Cita poi Emily Dickinson: “Non conosciamo mai la nostra altezza, finché non siamo chiamati ad alzarci”.
E spiega: “Il Signore ci chiama ad alzarci, a risorgere sulla sua Parola, a guardare in alto e credere che siamo fatti per il Cielo, non per la terra; per le altezze della vita, non per le bassezze della morte”.
In altre parole, “Dio ci chiede di guardare la vita come la guarda Lui, che vede sempre in ciascuno di noi un nucleo insopprimibile di bellezza. Nel peccato, vede figli da rialzare; nella morte, fratelli da risuscitare; nella desolazione, cuori da consolare”.
A Pasqua, sottolinea il Pontefice, Dio “ti mostra quanto la ama: al punto da attraversarla tutta, da provare l’angoscia, l’abbandono, la morte e gli inferi per uscirne vittorioso e dirti: ‘Non sei solo, confida in me!’. Gesù è specialista nel trasformare le nostre morti in vita”.
Con Cristo possiamo compiere anche noi la Pasqua, cioè il passaggio: passaggio dalla chiusura alla comunione, dalla desolazione alla consolazione, dalla paura alla fiducia. Non rimaniamo a guardare per terra impauriti, guardiamo a Gesù risorto: il suo sguardo ci infonde speranza, perché ci dice che siamo sempre amati e che nonostante tutto quello che possiamo combinare il suo amore non cambia.
Ritornare all’amore
Gli angeli, nel rivolgersi alle donne, aggiungono: “Ricordatevi come vi parlò quando era ancora in Galilea”. Avevano dimenticato “la speranza perché non ricordavano le parole di Gesù, la sua chiamata avvenuta in Galilea”.
Persa la memoria viva di Gesù, fa notare il Papa, “restano a guardare il sepolcro”. Ma “la fede ha bisogno di riandare in Galilea, di ravvivare il primo amore con Gesù, la sua chiamata: di ri-cordarlo, cioè, letteralmente, di ritornare col cuore a Lui“.
Ritornare a un amore vivo col Signore è essenziale, altrimenti si ha una fede da museo, non la fede pasquale. Ma Gesù non è un personaggio del passato, è una Persona vivente oggi; non si conosce sui libri di storia, s’incontra nella vita. Facciamo oggi memoria di quando Gesù ci ha chiamati, di quando ha vinto le nostre tenebre, resistenze, peccati, di come ci ha toccato il cuore con la sua Parola.
In questa prospettiva, la “Pasqua ci insegna che il credente si ferma poco al cimitero, perché è chiamato a camminare incontro al Vivente”.
Invita i fedeli a domandarsi: “nella vita, verso dove cammino?”. E conclude: “Diamo al Vivente il posto centrale nella vita. Chiediamo la grazia di non farci trasportare dalla corrente, dal mare dei problemi; di non infrangerci sulle pietre del peccato e sugli scogli della sfiducia e della paura. Cerchiamo Lui, in tutto e prima di tutto. Con Lui risorgeremo“.
(Il Faro online) – Foto © Vatican Media