Papa Francesco ai giornalisti: liberatevi dall’audience
Il monito del Pontefice ai reporter: “La comunicazione ha bisogno di parole vere in mezzo a tante parole vuote. E in questo avete una grande responsabilità”
di FABIO BERETTA
Città del Vaticano – “Il giornalista è chiamato a ricostruire la memoria dei fatti, a lavorare per la coesione sociale, a dire la verità ad ogni costo: c’è anche una parresia – cioè un coraggio – del giornalista, sempre rispettosa, mai arrogante. Questo significa anche essere liberi di fronte all’audience: parlare con lo stile evangelico: ‘sì, sì’, ‘no, no’, perché il di più viene dal maligno. La comunicazione ha bisogno di parole vere in mezzo a tante parole vuote. E in questo avete una grande responsabilità”.
E’ il monito che Papa Francesco lancia ai giornalisti dell’Unione Cattolica Stampa Italiana, ricevuti in udienza questa mattina nella Sala Clementina del Palazzo Apostolico, in Vaticano.
Il Pontefice esorta i reporter “ad essere voce della coscienza di un giornalismo capace di distinguere il bene dal male, le scelte umane da quelle disumane. Perché oggi c’è una mescolanza che non si distingue, e voi dovete aiutare in questo”.
Il giornalista – che è il cronista della storia – è chiamato a ricostruire la memoria dei fatti, a lavorare per la coesione sociale, a dire la verità ad ogni costo: c’è anche una parresia – cioè un coraggio – del giornalista, sempre rispettosa, mai arrogante.
E sottolinea: Questo significa anche essere liberi di fronte all’audience: parlare con lo stile evangelico: ‘sì, sì’, ‘no, no’, perché il di più viene dal maligno. La comunicazione ha bisogno di parole vere in mezzo a tante parole vuote. E in questo avete una grande responsabilità: le vostre parole raccontano il mondo e lo modellano, i vostri racconti possono generare spazi di libertà o di schiavitù, di responsabilità o di dipendenza dal potere”.
Quante volte il giornalista vuole andare su questa strada, ma ha dietro di sé un editore che gli dice: “no, questo non si pubblica, questo sì, questo no”, e si passa tutta quella verità nell’alambicco delle convenienze finanziarie dell’editore, e finisce per comunicare quello che non è vero, che non è bello e che non è buono.
E aggiunge: “Da molti vostri predecessori avete imparato che solo con l’uso di parole di pace, di giustizia e di solidarietà, rese credibili da una testimonianza coerente, si possono costruire società più giuste e solidali. Purtroppo però vale anche il contrario. Possiate dare il vostro contributo per smascherare le parole false e distruttive”.
Il Papa passa quindi a elencare quello che dovrebbe essere il compito principale di un giornalista nell’era del web, ovvero “identificare le fonti credibili, contestualizzarle, interpretarle e gerarchizzarle“. Da qui l’invito a “rovesciare l’ordine delle notizie: “Porto spesso questo esempio: una persona muore assiderata per la strada, e non fa notizia; la Borsa ribassa di due punti, e tutte le agenzie ne parlano. Qualcosa non funziona”.
Per il Pontefice il giornalista deve “dar voce a chi non ce l’ha“, ma soprattutto deve “raccontare le ‘buone notizie’ che generano amicizia sociale”. E precisa: “Non raccontare favole, ma buone notizie reali; di costruire comunità di pensiero e di vita capaci di leggere i segni dei tempi”.
Il Papa ricorda quindi Manuel Lozano Garrido, il primo giornalista laico proclamato beato nel 2010. “Egli visse ai tempi della guerra civile spagnola, quando essere cristiani significava rischiare la vita. Nonostante la malattia che lo costrinse a vivere ventotto anni sulla sedia a rotelle – fa notare Bergoglio -, non cessò di amare la sua professione. Nel suo ‘decalogo del giornalista’ raccomanda di ‘pagare con la moneta della franchezza’, di ‘lavorare il pane dell’informazione pulita con il sale dello stile e il lievito dell’eternità’ e di non servire ‘né pasticceria né piatti piccanti, piuttosto il buon boccone della vita pulita e speranzosa’. Davvero un bell’esempio da seguire!”
Il mestiere di comunicatore secondo Papa Francesco
Prima dei giornalisti, il Papa riceve in udienza i partecipanti all’Assemblea Plenaria del Dicastero per la Comunicazione della Santa Sede, ai quali ricorda che “si comunica con l’anima e con il corpo; si comunica con la mente, con il cuore, con le mani; si comunica con tutto”.
Il vero comunicatore dà tutto, dà tutto sé stesso – come diciamo nella mia terra: “mette tutta la carne al fuoco”, tutta, non risparmia per sé. Ed è vero che la comunicazione più grande è l’amore: nell’amore c’è la pienezza della comunicazione: amore a Dio e tra noi.
Nel suo discorso, pronunciato completamente a braccio, il Papa traccia le linee guida di quella che dovrebbe essere la comunicazione della Santa Sede: “Una delle cose che voi non dovete fare è la pubblicità, è solo pubblicità. Non dovete fare come fanno le imprese umane che cercano di avere più gente… In una parola tecnica: non dovete fare proselitismo. Io vorrei che la nostra comunicazione sia cristiana e non un fattore di proselitismo. Non è cristiano, fare proselitismo”.
Se voi volete comunicare soltanto una verità senza la bontà e la bellezza, fermatevi, non fatelo. Se voi volete comunicare una verità più o meno, ma senza coinvolgervi, senza testimoniare con la propria vita, con la propria carne quella verità, fermatevi, non fatelo. C’è sempre la firma della testimonianza in ognuna delle cose che noi facciamo. Cristiani vuol dire testimoni, “martiri”. È questa la dimensione “martiriale” della nostra vocazione: essere testimoni. Questa è la prima cosa che vorrei dirvi.
Il Papa mette poi in guardia dalla “mondanità”, una tentazione che spesso richiama la tentazione della rassegnazione. “Siamo pochi: ma non pochi come quelli che si difendono perché siamo pochi e il nemico è più grande; pochi come il lievito, pochi come il sale: questa è la vocazione cristiana! Non bisogna avere vergogna di essere pochi”.
La rassegnazione alla sconfitta culturale – permettetemi di chiamarla così – viene dal cattivo spirito, non viene da Dio. Non è spirito cristiano, la lamentela della rassegnazione. Questa è la seconda cosa che vorrei dirvi: non avere paura. Siamo pochi? Sì, ma con la voglia di “missionare”, di far vedere agli altri chi siamo. Con la testimonianza. Ancora una volta ripeto quella frase di San Francesco ai suoi frati, quando li mandava a predicare: “Predicate il Vangelo, e se fosse necessario, anche con le parole”. Cioè la testimonianza al primo posto.
Infine, il Papa fa notare come oggi tutti gli uomini cadono “nella cultura degli aggettivi e degli avverbi“, dimenticando “la forza dei sostantivi”.
Il comunicatore deve far capire il peso della realtà dei sostantivi che riflettono la realtà delle persone. E questa è una missione del comunicare: comunicare con la realtà, senza edulcorare con gli aggettivi o con gli avverbi. “Questa è una cosa cristiana”: perché dire autenticamente cristiana? È cristiana! Il solo fatto del sostantivo “cristiano”, “sono di Cristo”, è forte: è un aggettivo sostantivato, sì, ma è un sostantivo.
E ammonisce: “Questa cultura dell’aggettivo è entrata nella Chiesa e noi, tutti fratelli, dimentichiamo di essere fratelli per dire che questo è ‘così’, quello è ‘nell’altro modo’. La vostra comunicazione sia austera ma bella: la bellezza non è dell’arte rococò, la bellezza non ha bisogno di queste cose; la bellezza si manifesta dallo stesso sostantivo, senza fragole sulla torta! Credo che questo dobbiamo impararlo”.
E conclude: “Comunicare con la testimonianza, comunicare coinvolgendosi nella comunicazione, comunicare con i sostantivi delle cose, comunicare da martiri, cioè da testimoni di Cristo, da martiri. Imparare il linguaggio dei martiri, che è il linguaggio degli Apostoli. Come comunicavano gli Apostoli? Leggiamo quel gioiello che è il Libro degli Atti degli Apostoli, e vedremo come si comunicava in quel tempo e come è la comunicazione cristiana”.
(Il Faro online) – Foto © Vatican Media