Al via il Sinodo sull’Amazzonia, il Papa: “Non confondiamo l’evangelizzazione con il colonialismo”

6 ottobre 2019 | 12:24
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Al via il Sinodo sull’Amazzonia, il Papa: “Non confondiamo l’evangelizzazione con il colonialismo”

Il monito di Papa Francesco ai padri sinodali: “La fede non va imposta ma testimoniata, anche con la vita, anche con il martirio”

di FABIO BERETTA

Città del Vaticano – La fede, dono di Dio, va testimoniata, se necessario fino all’estremo sacrificio della vita. “Eppure quante volte il dono di Dio non è stato offerto ma imposto, quante volte c’è stata colonizzazione anziché evangelizzazione! Dio ci preservi dall’avidità dei nuovi colonialismi”.

E’ con questo monito, pronunciato da Papa Francesco, che ha inizio il Sinodo straordinario dei Vescovi dedicato alla Regione Panamazzonica. Per tre settimane, quasi duecento presuli provenienti dal Sud America, riuniti intorno al Pontefice, rifletteranno sulla missione della Chiesa in Amazzonia, sull’evangelizzazione e “sulla promozione di una ecologia integrale”.

Nella basilica di San Pietro, dove Papa Bergoglio presiede la messa d’apertura dell’Assemblea Sinodale, il Santo Padre ricorda come anche il ministero affidato ai vescovi sia un dono: “Non abbiamo firmato un accordo, non abbiamo ricevuto un contratto di lavoro in mano, ma mani sul capo, per essere a nostra volta mani alzate che intercedono presso il Signore e mani protese verso i fratelli. Abbiamo ricevuto un dono per essere doni”.

Tanti fratelli e sorelle in Amazzonia portano croci pesanti e attendono la consolazione liberante del Vangelo, la carezza d’amore della Chiesa. Per loro, con loro, camminiamo insieme. #SinodoAmazonicohttps://t.co/YclW3QY3AH

— Papa Francesco (@Pontifex_it) October 6, 2019

E avverte: “Un dono non si compra, non si scambia, non si vende: si riceve e si regala. Se ce ne appropriamo, se mettiamo noi al centro e non lasciamo al centro il dono, da Pastori diventiamo funzionari: facciamo del dono una funzione e sparisce la gratuità, e così finiamo per servire noi stessi e servirci della Chiesa. La nostra vita, invece, per il dono ricevuto, è per servire”.

Servi inutili

Prendendo spunto dal brano evangelico odierno, Francesco chiede ai padri sinodali di essere come “i servi inutili del Vangelo: “un’espressione che può voler dire anche ‘servi senza utile’. Significa che non ci diamo da fare per raggiungere un utile, un guadagno nostro, ma perché gratuitamente abbiamo ricevuto e gratuitamente diamo. La nostra gioia sarà tutta nel servire perché siamo stati serviti da Dio, che si è fatto nostro servo”.

Ma per essere fedeli a questa chiamata, fa notare il Pontefice, “San Paolo ci ricorda che il dono va ravvivato“. Questo dono, infatti, “è un fuoco, è amore bruciante a Dio e ai fratelli”, che tuttavia “non si alimenta da solo, muore se non è tenuto in vita“.

Se tutto rimane com’è, se a scandire i nostri giorni è il “si è sempre fatto così”, il dono svanisce, soffocato dalle ceneri dei timori e dalla preoccupazione di difendere lo status quo.

Cita quindi il numero 95 dell’esortazione apostolica “Verbum Domini” di Papa Benedetto XVI, ricordando che “la Chiesa sempre è in cammino, sempre in uscita, mai chiusa in sé stessa. Gesù non è venuto a portare la brezza della sera, ma il fuoco sulla terra“.

Lo spirito di prudenza

Il Papa riflette poi sul senso della prudenza: “Qualcuno pensa che la prudenza è la virtù ‘dogana’, che ferma tutto per non sbagliare. No, la prudenza è virtù cristiana, è virtù di vita, anzi, la virtù del governo”.

La prudenza non è indecisione, non è un atteggiamento difensivo. È la virtù del Pastore, che, per servire con saggezza, sa discernere, sensibile alla novità dello Spirito. Allora ravvivare il dono nel fuoco dello Spirito è il contrario di lasciar andare avanti le cose senza far nulla.

In questa prospettiva, “essere fedeli alla novità dello Spirito è una grazia che dobbiamo chiedere nella preghiera. Egli, che fa nuove tutte le cose, ci doni la sua prudenza audace; ispiri il nostro Sinodo a rinnovare i cammini per la Chiesa in Amazzonia, perché non si spenga il fuoco della missione”.

“Dio ci preservi dall’avidità dei nuovi colonialismi”

Torna poi sulla figura del fuoco di Dio, un fuoco che “brucia ma non consuma”, “non fuoco che divampa e divora”. E, con un pensiero al passato dell’Amazzonia, aggiunge: “Quando senza amore e senza rispetto si divorano popoli e culture, non è il fuoco di Dio, ma del mondo. Eppure quante volte il dono di Dio non è stato offerto ma imposto, quante volte c’è stata colonizzazione anziché evangelizzazione! Dio ci preservi dall’avidità dei nuovi colonialismi”.

Il fuoco appiccato da interessi che distruggono, come quello che recentemente ha devastato l’Amazzonia, non è quello del Vangelo. Il fuoco di Dio è calore che attira e raccoglie in unità. Si alimenta con la condivisione, non coi guadagni. Il fuoco divoratore, invece, divampa quando si vogliono portare avanti solo le proprie idee, fare il proprio gruppo, bruciare le diversità per omologare tutti e tutto.

Ricorda poi le parole di San Paolo apostolo, che nella seconda lettera a Timoteo “chiede di testimoniare il Vangelo, di soffrire per il Vangelo, in una parola di vivere per il Vangelo. L’annuncio del Vangelo è il criterio principe per la vita della Chiesa: è la sua missione, la sua identità”.

Annunciare il Vangelo è vivere l’offerta, è testimoniare fino in fondo, è farsi tutto per tutti, è amare fino al martirio.

Poi, a braccio aggiunge: “Ringrazio Dio perché nel Collegio Cardinalizio ci sono alcuni fratelli Cardinali martiri, che hanno saggiato, nella vita, la croce del martirio. Infatti, sottolinea l’Apostolo, si serve il Vangelo non con la potenza del mondo, ma con la sola forza di Dio: restando sempre nell’amore umile, credendo che l’unico modo per possedere davvero la vita è perderla per amore”.

Infine, il pensiero del Pontefice va all’Amazzonia, dove “tanti fratelli e sorelle portano croci pesanti e attendono la consolazione liberante del Vangelo, la carezza d’amore della Chiesa. Tanti fratelli e sorelle in Amazzonia hanno speso la loro vita”.

“Permettetemi di ripetere le parole del nostro amato Cardinale Hummes: quando arriva in quelle piccole città dell’Amazzonia, va nei cimiteri a cercare la tomba dei missionari – conclude a braccio il Pontefice -. Un gesto della Chiesa per coloro che hanno speso la vita in Amazzonia. E poi, con un po’ di furbizia, dice al Papa: ‘Non si dimentichi di loro. Meritano di essere canonizzati’. Per loro, per questi che stanno dando la vita adesso, per quelli che hanno speso la propria vita, con loro, camminiamo insieme”.

(Il Faro online)