Canonizzazioni, il Papa: “La preghiera è la medicina del cuore”

13 ottobre 2019 | 13:12
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Canonizzazioni, il Papa: “La preghiera è la medicina del cuore”

In piazza San Pietro il Pontefice eleva agli onori degli altari 5 beati, tra cui il cardinal Newman, Bergoglio: “Come i Santi chiediamo di essere luci gentili che tre le oscurità del mondo”

di FABIO BERETTA

Città del Vaticano – “La preghiera è la porta della fede, la preghiera è la medicina del cuore“. Lo sottolinea Papa Francesco, che davanti a 50mila fedeli che affollano piazza San Pietro, riscaldata da un tiepido sole autunnale, eleva agli onori degli altari il cardinale inglese Giovanni Enrico Newman, e quattro donne (di cui tre suore): Giuseppina Vannini, Maria Teresa Chiramel Mankidiyan, Dulce Lopes Pontes e Margarita Bays.

Ripercorrendo a grandi linee il brano evangelico di questa domenica, il Pontefice pone l’accento sul percorso di fede fatto dai lebbrosi guariti da Gesù. Un percorso diviso in tre tappe che ha come meta finale la salvezza.

Prima tappa è l’invocazione: i lebbrosi “non si lasciano paralizzare dalle esclusioni degli uomini e gridano a Dio, che non esclude nessuno. Ecco come si accorciano le distanze, come ci si rialza dalla solitudine: non chiudendosi in sé stessi e nei propri rimpianti, non pensando ai giudizi degli altri, ma invocando il Signore, perché il Signore ascolta il grido di chi è solo“.

Come quei lebbrosi, anche noi abbiamo bisogno di guarigione, tutti. Abbiamo bisogno di essere risanati dalla sfiducia in noi stessi, nella vita, nel futuro; da molte paure; dai vizi di cui siamo schiavi; da tante chiusure, dipendenze e attaccamenti: al gioco, ai soldi, alla televisione, al cellulare, al giudizio degli altri. Il Signore libera e guarisce il cuore, se lo invochiamo.

Il Pontefice fa notare come invocare, ovvero “chiamare per nome è segno di confidenza, e al Signore piace. La fede cresce così, con l’invocazione fiduciosa, portando a Gesù quel che siamo, a cuore aperto, senza nascondere le nostre miserie”. Da qui l’invito a pregare, poiché “la preghiera è la porta della fede, è la medicina del cuore”.

La seconda tappa è camminare. I lebbrosi, infatti, non vengono guariti quando “stanno fermi davanti a Gesù, ma dopo, andando a Gerusalemme, cioè mentre affrontano un cammino in salita”. E ammonisce: “È nel cammino della vita che si viene purificati, un cammino che è spesso in salita, perché conduce verso l’alto”.

La fede richiede un cammino, un’uscita, fa miracoli se usciamo dalle nostre certezze accomodanti, se lasciamo i nostri porti rassicuranti, i nostri nidi confortevoli. La fede aumenta col dono e cresce col rischio. La fede procede quando andiamo avanti equipaggiati di fiducia in Dio. La fede si fa strada attraverso passi umili e concreti.

Il Papa fa poi notare che per crescere nella fede è necessario “camminare insieme”, perché è compito del cristiano prendersi cura “di chi ha smesso di camminare, di chi ha perso la strada: siamo custodi dei fratelli lontani, tutti noi! Siamo intercessori per loro, siamo responsabili per loro, chiamati cioè a rispondere di loro, a prenderli a cuore. Vuoi crescere nella fede? Prenditi cura di un fratello lontano, di una sorella lontana“.

L’ultima tappa è ringraziare: dei dieci lebbrosi guariti da Gesù, solo uno torna indietro per ringraziarlo, e a lui Cristo dice: “La tua fede ti ha salvato”. “Questo ci dice – spiega il Papa – che il punto di arrivo non è la salute, non è lo stare bene, ma l’incontro con Gesù. La salvezza non è bere un bicchiere d’acqua per stare in forma, è andare alla sorgente, che è Gesù”.

Quando s’incontra Gesù nasce spontaneo il “grazie”, perché si scopre la cosa più importante della vita: non ricevere una grazia o risolvere un guaio, ma abbracciare il Signore della vita. E questa è la cosa più importante della vita: abbracciare il Signore della vita.

E ai fedeli presenti in piazza domanda: “Noi che abbiamo fede, viviamo le giornate come un peso da subire o come una lode da offrire? Rimaniamo centrati su noi stessi in attesa di chiedere la prossima grazia o troviamo la nostra gioia nel rendere grazie? Quando ringraziamo, il Padre si commuove e riversa su di noi lo Spirito Santo. Ringraziare non è questione di cortesia, di galateo, è questione di fede“.

Un cuore che ringrazia rimane giovane. Dire: “Grazie, Signore” al risveglio, durante la giornata, prima di coricarsi è l’antidoto all’invecchiamento del cuore, perché il cuore invecchia e si abitua male. Così anche in famiglia, tra sposi: ricordarsi di dire grazie. Grazie è la parola più semplice e benefica.

Infine, un pensiero ai nuovi santi: le tre suore ci mostrano come “la vita religiosa è un cammino d’amore nelle periferie esistenziali del mondo”. Santa Marguerite Bays, invece, era una sarta, “e ci rivela quant’è potente la preghiera semplice, la sopportazione paziente, la donazione silenziosa: attraverso queste cose il Signore ha fatto rivivere in lei, nella sua umiltà, lo splendore della Pasqua”.

“È la santità del quotidiano, di cui parla il santo Cardinale Newman, che disse: ‘Il cristiano possiede una pace profonda, silenziosa, nascosta, che il mondo non vede. Il cristiano è gioioso, tranquillo, buono, amabile, cortese, ingenuo, modesto; non accampa pretese, il suo comportamento è talmente lontano dall’ostentazione e dalla ricercatezza che a prima vista si può facilmente prenderlo per una persona ordinaria’”.

E conclude: “Chiediamo di essere così, ‘luci gentili’ tra le oscurità del mondo. Gesù, ‘resta con noi e noi cominceremo a brillare come Tu brilli, a brillare in modo da essere una luce per gli altri’. Amen”.

(Il Faro online) – Foto © Vatican Media