Ostia: “Aiutatemi, ho tutti i sintomi da covid-19 ma la Asl non mi cura”
Un uomo di 38 anni da 15 giorni attende il tampone e la tac dopo che la madre e un suo conoscente hanno avuto la covid-19. A Roma un paziente ha dovuto fare ricorso all’avvocato per ottenere le cure
Ostia – Vive segregato in casa da 15 giorni con la madre, anche lei malata di covid-19, e da allora chiede invano che la sua condizione sintomatica venga trattata come dovuto in questi casi.
E’ disperato l’appello di S.A. di 38 anni, assistente di volo, malato in casa della madre, a Ostia, senza l’assistenza sanitaria dovuta nei casi sintomatici sospetti di covid-19. L’uomo, che è stato a contatto con la madre a sua volta infettata da una persona ricoverata l’8 marzo per covid-19, vive nel terrore e non riesce ad ottenere un aiuto concreto dalla Asl Roma 3 e dall’Ares 118. Questo il suo racconto drammatico. “Mia madre, che è stata male con i classici sintomi della covid-19, l’8 marzo ha avuto un contatto con una persona che è risultata positiva e ricoverata – racconta il 38enne – Si è ammalata mia madre e dal 15 marzo anche io ho tutti i sintomi classici e tipici di questa maledetta patologia: ho febbre, tosse, mancanza d’aria, congiuntivite, problemi gastrointestinali e la totale assenza di olfatto e palato. Dopo vari tentativi sono riuscito a entrare in contatto con un medico della Asl al quale ho chiesto di poter essere sottoposto a tampone ma non mi è stato fatto. Dopo una settimana nulla si è mosso. Allora ho chiamato il 118 e mi hanno disincentivato: mi hanno detto di evitare di essere trasportato in ospedale salvo che non fosse estremamente grave per risparmiarmi il rischio di contagiarmi”.
“Venerdì scorso, finalmente vengo contattato dalla Asl – prosegue il racconto l’uomo – Mi dicono che sarebbero venuti sabato 28 a fare il tampone. Non è successo. Il medico della Asl che sento al telefono è estremamente cortese e disponibile ma, a quanto pare, conferma che non può fare nulla più di quanto sta facendo”.
“Vi prego aiutatemi – conclude S.A. – Tutte le testimonianze concordano che le condizioni si possono aggravare repentinamente e questo non ti fa star sereno, ho paura. Non sto ricorrendo a nessun farmaco. Vorrei fare una tac per capire in che stato sono i miei polmoni ma senza un tampone non me la possono fare”.
La drammatica vicenda di S.A. ricorda quella di un paziente di Roma malato di covid-19 ignorato dalle autorità sanitarie fino a quando non è intervenuto il suo legale, l’avvocato Michela Scafetta. L’uomo il 9 marzo ha manifestato i sintomi e subito contatta l’avvocato che gli suggerisce al terzo giorno di rivolgersi al suo medico di famiglia, il quale attiva la Asl che si fa viva solo dopo quattro giorni, dopo nove giorni di tosse e di febbre ininterrotta: gli viene chiesto se respira bene. L’uomo, allora, si rivolge ad un pneumologo mentre l’avvocato invia una Pec alla Asl che non verrà mai riscontrata per l’assenza degli operatori.
Per telefono il medico di famiglia insegna alla moglie ad auscultare i polmoni del malato con un fonendoscopio: sembra che non ci siano complicazioni. Dopo 12 giorni di febbre un sintomo preoccupante: l’uomo tossisce sangue. A quel punto, grazie ad un amico medico, l’uomo va in ospedale e riesce a farsi fare una tac che conferma la polmonite interstiziale. Viene ricoverato alla Spallanzani. Dopo 15 giorni la Asl si ricorda di lui ma non vuole fare il tampone alla moglie e alla figlia perché “respirano bene”. L’avvocato minaccia denunce e arrivano i tamponi: la moglie è positiva.
Non solo, dopo le cure allo Spallanzani, l’uomo viene dimesso e affidato ad un centro di “riabilitazione” in attesa del tampone di conferma della guarigione. Qui si vede contingentata l’acqua, non c’è acqua calda sanitaria e l’uomo non può fare la doccia. Dopo sei giorni di ricovero nella struttura nessuno della Asl va a fare il tampone e l’avvocato denuncia i responsabili di questa vicenda.