La battaglia di Alessandro Talotti contro il cancro: “Ringrazio i medici per la dedizione”
L’ex saltatore in alto azzurro e la sfida alla malattia. La sua lettera a cuore aperto
“Fino ad ora ho tenuto per me e per i miei amici più stretti la mia triste storia. La storia che ho scoperto essere quella di tanti altri”. Alessandro Talotti, talentuoso ex saltatore azzurro da 2,32 nell’alto, due volte alle Olimpiadi (Atene 2004 e Pechino 2008), ha raccontato al Messaggero Veneto la battaglia contro il cancro che sta affrontando da alcune settimane.
Quella che pubblichiamo è la lettera scritta dal 39enne friulano, che nello scorso quadriennio (2012-2016) è stato anche consigliere FIDAL. Tutto il mondo dell’atletica azzurra si stringe intorno ad Alessandro in questa nuova sfida.
“Oggi ho iniziato il mio secondo ciclo di chemioterapia. Tutta la mia triste avventura è iniziata i primi di marzo con un’operazione all’intestino, proprio in concomitanza dell’insorgere dell’emergenza covid-19. Ho avuto modo di pensare molto in queste settimane. Alla mia situazione, al mondo che guardavo da una finestra correre ai ripari. Agli italiani che stanno riorganizzando le loro vite tra scuola e lavoro all’interno delle quattro mura domestiche. C’è chi la vive bene, chi la prende peggio. C’è chi parla di “guerra”, salvo poi postare una foto della griglia pronta con le migliori prelibatezze sopra. Ho pensato molto a chi soffre in questa situazione di quarantena e isolamento. A chi soffriva già prima. Per la salute, per i pochi soldi, o ancor peggio per i pochi affetti. Ho pensato alle donne maltrattate, alle situazioni di violenza domestica in cui purtroppo in molti vivevano anche prima del Covid-19, e che con l’isolamento si sono aggravate.
Ho perso un caro amico dell’atletica, Donato Sabia a causa del virus. Pensavo a lui e al dolore di tutti quei familiari che hanno perso un proprio caro che se ne è andato in silenzio, senza un ultimo abbraccio. Penso ai carcerati e alle forze dell’ordine che vivono questo momento nuovo anche per loro. Forze dell’ordine che hanno il compito di far rispettare le leggi, senza giudicare se siano giuste o sbagliate, e di mantenere la sicurezza in un mondo che rischia di esplodere per le strade e nelle città, figuriamoci nelle carceri. Fino ad ora ho tenuto per me e per i miei amici più stretti la mia triste storia. La storia che ho scoperto essere quella di tanti altri. Non ero mai stato in ospedale neanche per una appendicite. Sì, qualche analisi del sangue e qualche visita a parenti in convalescenza. Ora che da settimane sono dentro e fuori dagli ospedali quasi ogni giorno, mi accorgo di quante persone stiano facendo il mio stesso percorso e immagino a quante prima e purtroppo anche in futuro saranno costrette ad affrontarlo.
Allora perché oggi scrivo di questo. Se non sono né il primo né l’ultimo. A cosa serve scrivere la mia testimonianza? Penso sia utile riportare e rendere pubblico il mio pensiero perché possa essere di aiuto a tutti coloro che oggi stanno affrontando la loro sfida. Sia essa la semplice e noiosa quarantena, ma anche a chi, oltre alla quarantena, rischia di vivere un malessere vedendo il bicchiere mezzo vuoto. Desidero dire loro che dopo l’operazione che mi aveva da un lato salvato la vita da una pericolosissima occlusione intestinale, ma dall’altro piegato a una serie di costrizioni come tubi e tubicini che facevano di me una specie di centralina idraulica, dove tra carichi e scarichi automatici non avevo ben capito quale fosse il mio ruolo nella digestione di tutti liquidi nutrienti che mi stavano fornendo.
Ecco vorrei dire a coloro che vedono tutto nero che anche bere un bicchiere d’acqua con una fettina di limone è stato per me un sogno che si realizzava quando, tolto i tubi e le flebo, mi hanno detto che potevo tornare a sorseggiare l’acqua in modo normale e non mi avrebbe provocato nessun dolore o fastidio. I miei amici più cari lo sanno già questo aneddoto dell’acqua perché gliel’ho raccontato subito, ma vorrei che lo sapessero tutti perché tornare ad apprezzare le piccole cose è fondamentale in questi momenti. E io ogni giorno sogno quel bicchiere d’acqua. Durante tutto il giorno sorseggio l’acqua e mi sembra sempre la cosa più buona che ci sia. È così, quando si torna a desiderare il “normale”.
Intendevo scrivere queste poche righe della mia avventura anche per ringraziare pubblicamente i medici, gli infermieri e tutti gli operatori degli ospedali e cliniche dove sono stato per la loro dedizione, passione, professionalità, organizzazione. Il servizio sanitario pubblico che ho avuto modo di conoscere non mi ha fatto mai mancare nulla: sicurezza, puntualità, gentilezza, umanità, pulizia e efficienza nei servizi. Sembra quasi voglia dirvi di provare, ma questa mia esperienza non la auguro veramente a nessuno al mondo. Nonostante ciò le cose purtroppo accadono. E accadono non quando lo vuoi tu. La vita cambia dall’oggi al domani e tu non puoi fare altro che affrontarla. E allora dopo lo sconforto iniziale, cerchi di lottare assieme a chi ti sta vicino per fronteggiare lo sconosciuto male che sta prendendo piede dentro di te. Gli alleati sono i medici che ti prendono sotto la loro ala. Con fiducia e rispetto li segui e inizi il tuo percorso. E quando trovi un sistema sanitario nazionale così buono, io sono dell’idea che lo dobbiamo gridare al mondo con orgoglio.
È per questo che scrivo oggi! Oggi che siamo tutti uniti a difendere e a chiamare “eroi” quelli che sono in prima linea a combattere il virus come è giusto che sia, con queste righe voglio ricordare che c’è un mondo di eccellenza in qualità e serietà anche nelle seconde linee della sanità, quelle che non finiscono nei tg, ma che stanno continuando a svolgere un ruolo fondamentale come continueranno a fare anche dopo l’emergenza. Ci tenevo a scrivere queste cose perché siamo spesso troppo bravi a disprezzare quello che abbiamo. La sanità va nei tg solo se qualcuno fa un errore, basta così poco per parlar male di tutti gli ospedali. Io avevo sinceramente paura di cosa avrei trovato. E invece posso solo dire bene! Torniamo a essere più orgogliosi del nostro Paese e viviamo quello che di meglio esiste e che tutti ci invidiano, senza pensare che gli altri sono sempre più bravi di noi.
Dico un ultimo e unico pensiero sul covid-19. Non ho mai scritto nulla riguardo il virus. Ho letto molte battute, utili a sdrammatizzare, ma non ho mai contribuito a divulgarle. Il mio unico pensiero sul covid-19 è che questa, come tutte le crisi nasconda un’opportunità. Le opportunità sono di diverso tipo. Personali e sociali. A livello personale c’è l’occasione di modificare alcune delle nostre abitudini soprattutto lavorative ma non solo. L’opportunità sociale è invece quella di comprendere a livello dei grandi rappresentanti delle nazioni che il virus non conosce confini, trattati, convenzioni. Se il mondo vuole sconfiggere questo virus deve ragionare come Umanità. E non come Italiani o tedeschi o francesi o come indiani o nigeriani o come americani e messicani. Lo sconfiggeremo questo virus, ma lo sconfiggeremo tutti insieme come popoli uniti, dove i Paesi più ricchi aiuteranno i più poveri, dove i paesi più sviluppati aiuteranno quelli sottosviluppati. E dal dialogo che rimarrà una volta sconfitto il virus, nascerà un mondo migliore. Più equo, più unito, più giusto”.
(fonte@fidal.it)(foto@Colombo/Fidal)