“Basta narcisismo, vittimismo e pessimismo: alimentano la carestia della speranza”
Nella basilica vaticana la Messa di Pentecoste presieduta da Papa Francesco. A partecipare al rito una cinquantina di fedeli
di FABIO BERETTA
Città del Vaticano – “Ci troviamo nella carestia della speranza e abbiamo bisogno di apprezzare il dono della vita, il dono che ciascuno di noi è. Perciò abbiamo bisogno dello Spirito Santo, dono di Dio che ci guarisce dal narcisismo, dal vittimismo e dal pessimismo”.
Nel giorno in cui la Chiesa celebra la Solennità di Pentecoste, Papa Francesco presiede la Messa nella basilica vaticana, all’Altare della Cattedra. E proprio sotto la “Gloria” di San Pietro realizzata da Bernini, vista deserta nei giorni della Pasqua, tornano a radunarsi anche i fedeli. Una cinquantina in tutto, con indosso la mascherina e ben distanziati uno dall’altro.
Unità, annuncio e dono sono i tre concetti attorno ai quali ruota l’omelia del Pontefice. Prendendo spunto dalle letture del giorno, Bergoglio fa notare come “lo Spirito Santo è quell’uno che mette insieme i diversi”. Tra gli stessi apostoli c’erano pescatori ma anche esattori delle tasse. “Gesù – spiega il Papa – non li aveva uniformati facendone dei modellini in serie. Aveva lasciato le loro diversità e ora li unisce ungendoli di Spirito Santo”.
“A Pentecoste gli Apostoli comprendono la forza unificatrice dello Spirito. La vedono coi loro occhi quando tutti, pur parlando lingue diverse, formano un solo popolo: il popolo di Dio, plasmato dallo Spirito, che tesse l’unità con le nostre diversità, che dà armonia perché è armonia”, aggiunge Francesco.
Ma se guardiamo alla Chiesa di oggi, “Che cosa ci unisce, su che cosa si fonda la nostra unità?”. “Anche tra noi – sottolinea il Papa – ci sono diversità, ad esempio di opinioni, di scelte, di sensibilità. Si potrebbe pensare che a unirci siano le stesse cose che crediamo e gli stessi comportamenti che pratichiamo. Ma c’è molto di più: il nostro principio di unità è lo Spirito Santo”.
Infatti, lo Spirito Santo “ci ricorda che anzitutto siamo figli amati di Dio. Viene a noi per dirci che abbiamo un solo Signore, Gesù, e un solo Padre, e che per questo siamo fratelli e sorelle!”. “Ripartiamo da qui – l’auspicio del Papa -, guardiamo la Chiesa come fa lo Spirito, non come fa il mondo”.
Il mondo ci vede di destra e di sinistra; lo Spirito ci vede del Padre e di Gesù. II mondo vede conservatori e progressisti; lo Spirito vede figli di Dio. Lo sguardo mondano vede strutture da rendere più efficienti; lo sguardo spirituale vede fratelli e sorelle mendicanti di misericordia. Lo Spirito ci ama e conosce il posto di ognuno nel tutto: per Lui non siamo coriandoli portati dal vento, ma tessere insostituibili del suo mosaico.
Bergoglio torna poi al giorno di Pentecoste per mettere in luce la prima opera della Chiesa, ovvero l’annuncio. “Eppure – fa notare – vediamo che gli Apostoli non preparano una strategia, non hanno un piano pastorale. Lo Spirito non vuole che il ricordo del Maestro sia coltivato in gruppi chiusi, in cenacoli dove si prende gusto a ‘fare il nido’. Egli apre, rilancia, spinge al di là del già detto e del già fatto, oltre i recinti di una fede timida e guardinga”.
Nel mondo, senza un assetto compatto e una strategia calcolata si va a rotoli. Nella Chiesa, invece, lo Spirito garantisce l’unità a chi annuncia. E gli Apostoli vanno: impreparati, si mettono in gioco, escono. Un solo desiderio li anima: donare quello che hanno ricevuto.
Ecco qual è il segreto dell’unità della Chiesa: il dono. “È importante credere che Dio è dono, che non si comporta prendendo, ma donando. Perché è importante? Perché da come intendiamo Dio dipende il nostro modo di essere credenti”.
Secondo Bergoglio, infatti, “se abbiamo in mente un Dio che prende e si impone, anche noi vorremo prendere e imporci: occupare spazi, reclamare rilevanza, cercare potere. Ma se abbiamo nel cuore Dio che è dono, tutto cambia. Se ci rendiamo conto che quello che siamo è dono suo, dono gratuito e immeritato, allora anche noi vorremo fare della vita un dono”.
“E amando umilmente, servendo gratuitamente e con gioia, offriremo al mondo la vera immagine di Dio. Lo Spirito, memoria vivente della Chiesa, ci ricorda che siamo nati da un dono e che cresciamo donandoci; non conservandoci, ma donandoci”, aggiunge.
Infine, il Pontefice mette in guardia da “tre nemici del dono, sempre accovacciati alla porta del cuore: il narcisismo, il vittimismo e il pessimismo”.
E spiega: “In questa pandemia, quanto fa male il narcisismo, il ripiegarsi sui propri bisogni, indifferenti a quelli altrui, il non ammettere le proprie fragilità e i propri sbagli. Ma anche il secondo nemico, il vittimismo, è pericoloso. Il vittimista si lamenta ogni giorno del prossimo. Nel dramma che viviamo, quant’è brutto il vittimismo! Pensare che nessuno ci comprenda e provi quello che proviamo noi”.
Nel pessimismo invece “la litania quotidiana è: ‘Non va bene nulla, la società, la politica, la Chiesa…’. Il pessimista se la prende col mondo. Ora, nel grande sforzo di ricominciare, quanto è dannoso il pessimismo, il vedere tutto nero, il ripetere che nulla tornerà più come prima! Pensando così, quello che sicuramente non torna è la speranza”.
“Ci troviamo nella carestia della speranza e abbiamo bisogno di apprezzare il dono della vita, il dono che ciascuno di noi è. Perciò abbiamo bisogno dello Spirito Santo, dono di Dio che ci guarisce dal narcisismo, dal vittimismo e dal pessimismo”, conclude il Papa. Che chiude la sua omelia con un’invocazione allo Spirito Santo:
Spirito Santo, memoria di Dio, ravviva in noi il ricordo del dono ricevuto. Liberaci dalle paralisi dell’egoismo e accendi in noi il desiderio di servire, di fare del bene. Perché peggio di questa crisi, c’è solo il dramma di sprecarla, chiudendoci in noi stessi. Vieni, Spirito Santo: Tu che sei armonia, rendici costruttori di unità; Tu che sempre ti doni, dacci il coraggio di uscire da noi stessi, di amarci e aiutarci, per diventare un’unica famiglia. Amen.
(Il Faro online) – Foto © Vatican Media