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Fabrizio Donato: “20 anni fa il salto della carriera. La medaglia più bella a Torino 2009”

5 giugno 2020 | 16:56
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Fabrizio Donato: “20 anni fa il salto della carriera. La medaglia più bella a Torino 2009”

Racconta di sé il campione europeo di Helsinki 2012. L’atleta delle Fiamme Gialle nato a Latina si confessa, aspettando le Olimpiadi e il salto del pass del 2021..

Ostia – Sono tanti 20 anni. E da quel 7 giugno del 2000 il bronzo olimpico del triplo Fabrizio Donato ha tracciati salti e vie da seguire. Soprattutto per i giovani. Era una sera estiva a Milano. Alla gara Notturna, meeting di atletica leggera lombardo, il due volte campione europeo indoor delle Fiamme Gialle si imponeva sulla scena italiana e mondiale, pure.

Perché da quel giorno Fabrizio è diventato un simbolo. Di serietà, di sacrificio, di medaglie vinte, con costanza e allenamento. Segnò 17,60 in pedana. Un record personale quello, ancora imbattuto: “La gara più bella della mia vita”. Lo dice Donato. In una sua intervista sul sito ufficiale della Federazione Italiana Atletica Leggera (a cura di Nazareno Orlandi), il campione gialloverde racconta di quel lontano giugno del nuovo millennio. Si chiudeva il 20esimo secolo nel mondo e nei calendari e nel 21esimo entrante, ecco il talento di un campione che si faceva strada.

Dal 1995 alle Fiamme Gialle e residente a Ostia, dove Donato svolge allenamenti e vita, Fabrizio è cresciuto,  conquistando anche quella medaglia del terzo posto a Londra 2012, che ha in qualche modo incoronato una straordinaria carriera, ancora non terminata: “Voglio provare ad andare ai Giochi”. Lo ha sempre detto Fabrizio. Lo aveva fatto in una sua intervista a Il Faro on line(leggi qui) . Ma ancora le Olimpiadi non erano state rinviate e ancora il coronavirus non era esploso in Italia e nel mondo. Un cruccio il rinvio allora della competizione a Cinque Cerchi, ma il capitano della Nazionale di atletica non molla. E attenderà di saltare. Non lo farà nell’anno corrente, aspetterà il 2021. Probabilmente per prendersi il pass olimpico: “Se ho una cartuccia, voglio giocarmela l’anno prossimo”.

E’ un campione che non molla mai Fabrizio. La sua medaglia d’argento vinta agli Europei Indoor di atletica nel febbraio del 2017 è stata significativa. E applaudita. Non solo per la bellezza di quel salto lungo e fluido, ma anche per la caparbietà dimostrata. A 43 anni Donato si è preso il podio e sogna ancora di vincere. La passione per il triplo e per lo sport non finisce. Batte dentro al  cuore, nonostante anni e mesi  che passano. Finché c’è adrenalina, come lui stesso dichiara per la Fidal, si continua a guardare avanti.

Probabilmente farà l’allenatore da grande. Lo ha fatto già Fabrizio. Per Andrew Howe e per se stesso, proprio in occasione dell’Europeo di Belgrado del 2017. Ecco perché quella medaglia è stata una delle più belle, vinta. Ma non solo quella. Anche a Torino nel 2009, quando è arrivato il primo titolo continentale in sala, l’atleta delle Fiamme Gialle ha lasciato il cuore: “La prima medaglia internazionale della mia carriera, il giro d’onore davanti al pubblico italiano, con mia figlia Greta di 5 anni e mia moglie Patrizia in tribuna. È qualcosa che auguro a chiunque”. Ovviamente il bronzo di Londra ha un posto speciale, in bacheca e nella sua mente. Donato dichiara: “Condividere il tutto con Roberto Pericoli che dal 1995 è stato un padre, un fratello, un compagno di atletica, è qualcosa di indimenticabile”.

Ma i brividi li lascia per Milano, Fabrizio. Per quella sera di giugno in cui cominciò una bellissima carriera in pedana. Cinque Olimpiadi per lui e numerose medaglie conquistate. Sempre con la stessa tattica. Sacrificio, passione, umiltà e talento. E con il cuore di un campione parteciperà anche lui all’asta di beneficenza We Run Together (leggi qui)e anche lui da Papa Francesco, il giorno della presentazione in Vaticano (leggi qui). E i tifosi potranno passare con lui alcune ore, anche a cena: “Invito tutti a partecipare all’iniziativa di solidarietà”.

In aiuto degli ospedali di Bergamo e Brescia, Donato proverà a fare il salto triplo più bello, per portare l’Italia oltre il covid-19. Sul podio, insieme a lui.

Vent’anni dopo, cosa ti rimane addosso della serata di Milano?

Al di là delle medaglie, sicuramente è stata la gara più bella della mia vita perché mi ha proiettato nell’atletica dei grandi. Sono andato a controllare qualche tempo fa: a fine stagione quel 17,60 era ancora la seconda migliore misura al mondo. Io e Paolo Camossi (17,45), due tipi molto competitivi da sempre, in pochi minuti abbiamo riscritto la storia del triplo italiano, tra l’altro in un tempio della nostra atletica come l’Arena di Milano e battendo il tedesco campione del mondo Charles Friedek. Non avevo mai vinto nulla a livello giovanile e quella stagione, il 2000, fu un bivio importante dal lato tecnico e personale. La svolta fu cambiare il modo in cui usavo le braccia: da alternate a sincrone. Ci lavorammo tutto l’inverno con Roberto Pericoli, ispirati anche dal salto elegante di Jonathan Edwards, e già alla fine di maggio riuscii a superare i diciassette metri per la prima volta. Poi, quella serata…”.

Donato a 24 anni, Donato a 44. Cosa è cambiato e cosa resta uguale?

Filippo Tortu, Fabrizio Donato e Filippo Randazzo

È rimasta la stessa determinazione di emergere e di farlo a sorpresa, restando sempre un po’ nascosto, lavorando in silenzio. Prima, senza i social, era più semplice stare dietro le quinte, ora meno. Cambierei poco del Fabrizio di allora. Certo, per un ventenne un anno vale un anno, per un quarantenne ogni stagione sono 5, 6, 7 anni. Ma dove la natura mi sta togliendo, c’è l’esperienza che mi dona qualcosa in più. Chiamiamola saggezza. Ma è padronanza del corpo, coscienza delle capacità tecniche”.

Se c’è qualcuno che è stato penalizzato dal rinvio dei Giochi, forse sei proprio tu, che a Tokyo ci speravi e ci speri ancora. Come la vivi?

Mi sono sempre detto che voglio smettere senza rimpianti. Quale occasione migliore della stagione olimpica? Continuo ad avere questo stimolo, non sopporto i ‘se avessi provato, se avessi continuato’ che spesso sento in giro. Continuo a divertirmi, mi piace quello che faccio, la mia vita è piena di adrenalina. Sì, voglio provarci”.

Ti vedremo in pedana anche nel 2020?

(foto LaPresse – Olimpiadi Londra 2012 – finale salto triplo uomini)

No, saltare in gara quest’anno significherebbe intaccare qualcosa di già abbastanza compromesso. Se ho una cartuccia, voglio giocarmela l’anno prossimo, certo con l’incognita di un anno in più: a Tokyo sarei alle porte dei 45. In questo periodo ho cercato di mantenere tutti i distretti muscolari integri e la mia idea è tornare a sentirmi un atleta normale, trovare un bell’equilibrio e una condizione decente per ripartire verso fino agosto con la mia 26esima preparazione autunnale-invernale”.

Oro, argento, bronzo. Qual è il podio delle tue medaglie?

Al primo posto metto gli Europei indoor di Torino. La prima medaglia internazionale della mia carriera, il giro d’onore davanti al pubblico italiano, con mia figlia Greta di 5 anni e mia moglie Patrizia in tribuna. È qualcosa che auguro a chiunque. Poi il bronzo olimpico di Londra: condividere quel momento con Roberto Pericoli che dal 1995 è stato un padre, un fratello, un compagno, è qualcosa di indimenticabile. Ecco, tornassi indietro, probabilmente quell’anno non avrei gareggiato agli Assoluti di Bressanone dopo la vittoria agli Europei di Helsinki: uscì una super gara con Greco e Schembri ma il fastidio alla schiena me lo portai fino a Londra. E chissà senza quel dolore cosa sarebbe accaduto. La terza medaglia che metto sul podio è Belgrado 2017, l’argento agli Euroindoor a quarant’anni suonati e da ‘allenatore di me stesso’. Quanti altri ci sono riusciti?

Domanda inevitabile: immagini un futuro da allenatore?

Ancora non so rispondere. So che sono pronto ad affrontare la mia vita ‘da grande’. Mi piacerebbe provare a trasmettere il mio percorso, la mia avventura. Mi auguro di rimanere nel nostro mondo, questo sì. E in fondo tre esperienze da allenatore le ho già vissute: la prima con me stesso, poi con Andrew Howe (e mi ritengo fortunatissimo di averlo fatto), e ora con mia figlia Greta, in giardino, durante la quarantena. Posso dire di aver allenato un quarantenne, un trentenne e una quindicenne!”.

Di recente l’incontro con Papa Francesco in Vaticano. Che emozione è stata?

Unica. È stato toccante, è un uomo che dà la sensazione di vicinanza, di bontà. Invito tutti a partecipare all’iniziativa di solidarietà We Run Together… io ho messo in palio una cena a casa mia!

Da capitano che messaggio vuoi mandare all’atletica che riparte?

Che il rinvio delle Olimpiadi è un’occasione da sfruttare. Ripensando a quel 2000 del record, non mi sentivo pronto per Sydney, era successo tutto in fretta, e con un anno in più sarei stato all’altezza dei Giochi. Cosa consiglio? Tanta passione, tanta lealtà e tanta appartenenza alla maglia che indossiamo, la maglia azzurra. E tanto rispetto”.

Esiste già un nuovo Fabrizio Donato?

Per quanto riguarda il triplo, il mio mondo, i risultati dicono che di talenti giovanili ce ne sono, e anche di bravi allenatori. Spero che qualcuno, o anche più di qualcuno, possa prendere il mio testimone il prima possibile”.

(Il Faro on line)