Il Papa: “Un cristiano non può sentirsi ‘a posto’ davanti al grido dei poveri”
Il messaggio del Pontefice per la IV Giornata Mondiale dei Poveri, Bergoglio: “Il tempo da dedicare alla preghiera non può mai diventare un alibi per trascurare il prossimo in difficoltà”
di FABIO BERETTA
Città del Vaticano – “Non possiamo sentirci ‘a posto’ quando un membro della famiglia umana è relegato nelle retrovie e diventa un’ombra. Il grido silenzioso dei tanti poveri deve trovare il popolo di Dio in prima linea, sempre e dovunque, per dare loro voce, per difenderli e solidarizzare con essi davanti a tanta ipocrisia e tante promesse disattese, e per invitarli a partecipare alla vita della comunità”.
E’ questo il monito che Papa Francesco lancia a tutti i credenti nel messaggio per la IV Giornata Mondiale dei Poveri, giornata istituita dallo stesso Pontefice argentino e che quest’anno si celebrerà domenica 15 novembre. Intitolato “Tendi la tua mano al povero”, frase ispirata a un passo del libro biblico del Siracide, e suddiviso in dieci punti, il documento pubblicato oggi è un continuo appello a praticare la carità con gesti concreti e non solo con le preghiere.
Infatti, spiega il Santo Padre, “per celebrare un culto che sia gradito al Signore, è necessario riconoscere che ogni persona, anche quella più indigente e disprezzata, porta impressa in sé l’immagine di Dio. Da tale attenzione deriva il dono della benedizione divina, attirata dalla generosità praticata nei confronti del povero”. “Pertanto – sottolinea Francesco -, il tempo da dedicare alla preghiera non può mai diventare un alibi per trascurare il prossimo in difficoltà. È vero il contrario: la benedizione del Signore scende su di noi e la preghiera raggiunge il suo scopo quando sono accompagnate dal servizio ai poveri”.
La generosità che sostiene il debole, consola l’afflitto, lenisce le sofferenze, restituisce dignità a chi ne è privato, è condizione di una vita pienamente umana. La scelta di dedicare attenzione ai poveri, ai loro tanti e diversi bisogni, non può essere condizionata dal tempo a disposizione o da interessi privati, né da progetti pastorali o sociali disincarnati. Non si può soffocare la forza della grazia di Dio per la tendenza narcisistica di mettere sempre sé stessi al primo posto.
In sintesi: “non si tratta di spendere tante parole, ma piuttosto di impegnare concretamente la vita, mossi dalla carità divina“. Ma “come possiamo contribuire ad eliminare o almeno alleviare l’emarginazione e la sofferenza” dei poveri?
La Chiesa, sottolinea Bergoglio, “non ha soluzioni complessive da proporre, ma offre, con la grazia di Cristo, la sua testimonianza e gesti di condivisione”. Non solo: “si sente” anche “in dovere di ricordare a tutti il grande valore del bene comune” che altro non “è per il popolo cristiano un impegno di vita, che si attua nel tentativo di non dimenticare nessuno di coloro la cui umanità è violata nei bisogni fondamentali“.
Mani tese verso gli ultimi…
“Tendere la mano – scrive Francesco nel messaggio – fa scoprire, prima di tutto a chi lo fa, che dentro di noi esiste la capacità di compiere gesti che danno senso alla vita”. Oggi però, “la fretta” ci “trascina in un vortice di indifferenza, al punto che non si sa più riconoscere il tanto bene che quotidianamente viene compiuto nel silenzio e con grande generosità”.
Le cattive notizie abbondano sulle pagine dei giornali, nei siti internet e sugli schermi televisivi, tanto da far pensare che il male regni sovrano. Non è così. Certo, non mancano la cattiveria e la violenza, il sopruso e la corruzione, ma la vita è intessuta di atti di rispetto e di generosità che non solo compensano il male, ma spingono ad andare oltre e ad essere pieni di speranza.
Un’esempio lampante è avvenuto durante il lockdown. In questi mesi, dove tutto il pianeta è stato “come sopraffatto da un virus che ha portato dolore e morte, sconforto e smarrimento, quante mani tese abbiamo potuto vedere!”. Francesco ricorda “la mano tesa del medico che si preoccupa di ogni paziente cercando di trovare il rimedio giusto. La mano tesa dell’infermiera e dell’infermiere che, ben oltre i loro orari di lavoro, rimangono ad accudire i malati. La mano tesa di chi lavora nell’amministrazione e procura i mezzi per salvare quante più vite possibile. La mano tesa del farmacista esposto a tante richieste in un rischioso contatto con la gente. La mano tesa del sacerdote che benedice con lo strazio nel cuore. La mano tesa del volontario che soccorre chi vive per strada e quanti, pur avendo un tetto, non hanno da mangiare. La mano tesa di uomini e donne che lavorano per offrire servizi essenziali e sicurezza. E altre mani tese potremmo ancora descrivere fino a comporre una litania di opere di bene. Tutte queste mani hanno sfidato il contagio e la paura pur di dare sostegno e consolazione“.
…e mani chiuse in tasca
Per contrasto, “tendi la mano al povero” fa risaltare anche “l’atteggiamento di quanti tengono le mani in tasca e non si lasciano commuovere dalla povertà, di cui spesso sono anch’essi complici. L’indifferenza e il cinismo sono il loro cibo quotidiano”.
E così, se da una parte ci sono “i santi della porta accanto” che tendono le mani versi i più deboli, dall’altra troviamo “mani tese per sfiorare velocemente la tastiera di un computer e spostare somme di denaro da una parte all’altra del mondo, decretando la ricchezza di ristrette oligarchie e la miseria di moltitudini o il fallimento di intere nazioni. Ci sono mani tese ad accumulare denaro con la vendita di armi che altre mani, anche di bambini, useranno per seminare morte e povertà. Ci sono mani tese che nell’ombra scambiano dosi di morte per arricchirsi e vivere nel lusso e nella sregolatezza effimera. Ci sono mani tese che sottobanco scambiano favori illegali per un guadagno facile e corrotto. E ci sono anche mani tese che nel perbenismo ipocrita stabiliscono leggi che loro stessi non osservano“.
Da qui un altro importante monito a tutti gli uomini e le donne di buona volontà: “Non potremo essere contenti fino a quando queste mani che seminano morte non saranno trasformate in strumenti di giustizia e di pace per il mondo intero”.
Donare: l’imperativo del credente
In questa prospettiva, “tendi la mano al povero”, diventa “un invito alla responsabilità come impegno diretto di chiunque si sente partecipe della stessa sorte. È un incitamento a farsi carico dei pesi dei più deboli, come ricorda San Paolo”, che insegna come “la libertà che ci è stata donata con la morte e risurrezione di Gesù Cristo è per ciascuno di noi una responsabilità per mettersi al servizio degli altri, soprattutto dei più deboli. Non si tratta di un’esortazione facoltativa, ma di una condizione dell’autenticità della fede che professiamo”.
In conclusione, Bergoglio riflette su un’altra frase del libro del Siracide, che recita: “In tutte le tue azioni, ricordati della tua fine”. Di queste parole esistono due interpretazioni: la prima”fa emergere che abbiamo bisogno di tenere sempre presente la fine della nostra esistenza”; la seconda, invece, “evidenzia lo scopo verso cui ognuno tende. Ebbene, il fine di ogni nostra azione non può essere altro che l’amore. È questo lo scopo verso cui siamo incamminati e nulla ci deve distogliere da esso”.
Un amore che “è condivisione, dedizione e servizio, ma comincia dalla scoperta di essere noi per primi amati e risvegliati all’amore. Questo fine appare nel momento in cui il bambino si incontra con il sorriso della mamma e si sente amato per il fatto stesso di esistere. Anche un sorriso che condividiamo con il povero è sorgente di amore e permette di vivere nella gioia“. Infine, una preghiera alla Vergine Maria, affinché “trasformi la mano tesa in un abbraccio di condivisione e di fraternità ritrovata”.
(Il Faro online) Foto © Vatican Media