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Amelie Nothomb, “La letteratura non è il bene”: una vita di romanzi a Velletri Libris

21 luglio 2020 | 07:50
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Amelie Nothomb, “La letteratura non è il bene”: una vita di romanzi a Velletri Libris

Nel Chiostro rinnovato della Casa delle Culture e della Musica di Velletri, una grande scrittrice di fama internazionale presenta il suo ultimo romanzo, “Sete”

di LINDA SOGARO

Lo scaffale dei Libri – Velletri, 18 Luglio 2020. È il suo primo viaggio post-Covid e sceglie come meta l’Italia: ancora una volta, la scrittrice belga Amelie Nothomb, rinnova il suo amore per il nostro Paese. Tradotta in 45 Stati del mondo, stando ai dati della sua casa editrice francese, e con più di 2 milioni di copie vendute, l’autrice pubblica quest’anno il suo ventisettesimo romanzo, “Sete“, edito in Italia da Voland edizioni: una vertiginosa e personalissima visione degli ultimi giorni della vita di Cristo, scritti in prima persona. Una creazione che approfondisce l’umanità e il valore del corporeo, in una prosa originalissima e che in alcuni passaggi sfiora la poesia.

L’incontro fa parte della rassegna letteraria “Velletri Libris”, ideata e realizzata dalla libreria Mondadori Bookstore Velletri-Lariano e Genzano, in collaborazione con la Fondarc e la Fondazione De Cultura. Relatori dell’incontro sono lo scrittore Angelo Di Liberto eDaniela Di Sora, della casa editrice Voland, che traduce per il pubblico le risposte della scrittrice, seduta al centro tra i due nell’elegante cornice del chiostro della Casa delle Culture, impreziosito dal vento di una sera d’estate ai Castelli romani.

Aggraziata, irriverente, vestita rigorosamente di nero e con un vistoso cappello di paglia, Amelie Nothomb spiega al pubblico il significato simbolico della “sete”, come un bisogno universale che nel suo ultimo romanzo viene associato alla spiritualità del corpo di Cristo: “Non c’è nessun altra sensazione che faccia coincidere corpo e spirito nella verticalità.” La totalità di un bisogno imprescindibile come quello di dissetarsi, viene quindi eletto come metafora e cifra interpretativa del vissuto corporeo di Gesù durante la passione; non manca tuttavia una narrazione percettiva della paura della solitudine, dell’amarezza per il tradimento, lo strazio della sofferenza fisica. “Per scriverlo”, ci racconta l’autrice, “Sono andata a crocifiggermi tutte le mattine”.

C’è chi annuisce ammirato, chi si guarda intorno, chi addirittura si alza e se ne va. Sicuramente, quest’ultimo lavoro nothombiano in particolare, è stato oggetto di diverse discussioni: il suo Cristo è prima di tutto un personaggio letterario, un uomo che ama Maddalena, che soffre le pene del corpo senza escludere la mancanza dell’amore fisico, in una rilettura dei Vangeli che l’autrice stessa non esita a definire pubblicamente “apocrifa”. In generale, l’autrice ha più volte spiegato, anche in passato: “La letteratura non è il bene, l’amore non è il bene“, frase che, con tutta grazia, serve a sottolineare ancora una volta la sua eterea non-appartenza a nessuno schema pre-impostato, di nessuna natura.

Tra le numerose e partecipate domande da parte del pubblico, che hanno occupato un’abbondante mezz’ora, non può mancare una riflessione condivisa sul periodo di isolamento sociale. Alla richiesta di quale sarà l’eredità del Covid sul mondo della produzione letteraria e sull’editoria, Amelie Nothomb risponde: “I momenti della storia legati alle epidemie e alle pandemie, hanno sempre giovato alla letteratura. La peste di Firenze ha portato al Decamerone, la peste di Londra ha infiammato le opere di Shakespeare: vedo in questo periodo una grande occasione per la fioritura letteraria“.

Il giardino esterno al chiostro è rimasto fino alla fine gremito di persone che non sono riuscite a prenotarsi per l’evento, a causa delle restrizioni dovute al distanziamento sociale. Un firma copie lunghissimo che si è perso a vista d’occhio nel porticato del chiostro, e un tutto esaurito delle copie in vendita all’evento.

“Il male le è talmente estraneo che neppure lo riconosce quando lo incontra. Le invidio questa ignoranza. A me il male non è estraneo. Per poterlo identificare negli altri, è indispensabile che io ne sia provvisto. Non me ne lamento. Se non portassi dentro di me questa traccia oscura, non avrei mai potuto innamorarmi. L’amore non tocca mai le creature estranee al male. Non che ci sia qualcosa di male nell’amore, ma per conoscerlo dobbiamo contenere abissi in grado di accogliere la profondità della sua vertigine”.

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