Strage di Bologna, 40 anni fa l’attentato che sconvolse l’Italia
Mattarella ribadisce “la sollecitazione a sviluppare ogni impegno per la verità, con ogni elemento che possa contribuire a raggiungere pienamente la verità”
Bologna – Un orologio fermo alle 10.25 del mattino testimonia l’orrore vissuto nella citta di Bologna, scossa da un’esplosione che uccise 85 persone. Da molti considerato uno dei più gravi attentati verificatisi negli anni di piombo, assieme alla strage di piazza Fontana del 12 dicembre 1969, alla strage di piazza della Loggia del 28 maggio 1974 e alla strage del treno Italicus del 4 agosto 1974, sulla “Strage di Bologna” aleggia ancora una fitta nebbia.
Come esecutori materiali furono individuati dalla magistratura alcuni militanti di estrema destra, appartenenti ai Nuclei Armati Rivoluzionari. Gli ipotetici mandanti sono rimasti tuttavia sconosciuti, ma furono rilevati collegamenti con la criminalità organizzata e i servizi segreti deviati.
Le indagini si indirizzarono quasi subito sulla pista neofascista, ma solo dopo un lungo iter giudiziario e numerosi depistaggi, per cui furono condannati Licio Gelli, Pietro Musumeci, Giuseppe Belmonte e Francesco Pazienza, la sentenza finale del 1995 condannò Valerio Fioravanti e Francesca Mambro “come appartenenti alla banda armata che ha organizzato e realizzato l’attentato di Bologna” e per aver “fatto parte del gruppo che sicuramente quell’atto aveva organizzato”, mentre nel 2007 si aggiunse anche la condanna di Luigi Ciavardini, minorenne all’epoca dei fatti e, nel 2020, quella di Gilberto Cavallini.
L’attentato
Il 2 agosto 1980 alle 10:25, nella sala d’aspetto di seconda classe della stazione di Bologna, piena di gente a di turisti, un ordigno a tempo, contenuto in una valigia abbandonata, venne fatto esplodere. La detonazione causò il crollo dell’ala ovest dell’edificio. Nelle indagini si appurò che la bomba era composta da 23 chili di esplosivo, una miscela di 5 chili di tritolo e T4 detta “Compound B”, potenziata da 18 chili di gelatinato (ovvero la nitroglicerina a uso civile).
L’esplosivo, di fabbricazione militare, era posto nella valigia sistemata a circa 50 centimetri d’altezza su un tavolino portabagagli sotto il muro portante dell’ala ovest, con lo scopo di aumentarne l’effetto: l’onda d’urto, insieme ai detriti provocati dallo scoppio, infatti, investì anche il treno Adria Express 13534 Ancona-Basilea, che al momento si trovava in sosta sul primo binario, distruggendo circa 30 metri di pensilina e il parcheggio dei taxi antistante l’edificio. L’esplosione causò la morte di 85 persone e il ferimento o la mutilazione di oltre 200.
Successivamente si attivarono i soccorsi e molti cittadini, insieme ai viaggiatori presenti, prestarono i primi soccorsi alle vittime e contribuirono a estrarre le persone sepolte dalle macerie e la corsia di destra dei viali di circonvallazione del centro storico di Bologna, su cui si trova la stazione, fu riservata alle ambulanze e ai mezzi di soccorso. Dato il grande numero di feriti, non essendo i mezzi sufficienti al loro trasporto verso gli ospedali cittadini, i vigili impiegarono anche autobus, auto private e taxi.
I medici e il personale ospedaliero fecero ritorno dalle ferie, così come i reparti, chiusi per le festività estive, furono riaperti per consentire il ricovero di tutti i pazienti. L’autobus 37 divenne, insieme all’orologio fermo alle 10:25, uno dei simboli della strage.
Il corpo di una delle vittime, la ventiquattrenne Maria Fresu, non venne mai ritrovato. Soltanto il 29 dicembre 1980 fu accertato che alcuni resti ritrovati sotto il treno diretto a Basilea appartenevano alla Fresu che evidentemente si trovava così vicina alla bomba che il suo corpo fu completamente disintegrato dall’esplosione.
Nei giorni successivi la centrale piazza Maggiore ospitò imponenti manifestazioni di sdegno e di protesta da parte della popolazione e non furono risparmiate accese critiche e proteste rivolte ai rappresentanti del governo, intervenuti il giorno dei funerali delle vittime celebrati il sei agosto nella Basilica di San Petronio.
Gli unici applausi furono riservati al Presidente della Repubblica Sandro Pertini, giunto con un elicottero a Bologna alle 17:30 del giorno della strage, che in lacrime affermò di fronte ai giornalisti: “Non ho parole, siamo di fronte all’impresa più criminale che sia avvenuta in Italia”.
Mattarella: “Esigenza di piena verità e giustizia”
“Vi sono poche parole da poter pronunziare, e sono: dolore, ricordo, verità”, ha detto il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, deponendo nei giorni scorsi una corona di fiori davanti alla lapide posta nel cuore della Stazione Centrale di Bologna che ricorda l’attentato.
“Il dolore per le vittime, per tante donne, uomini e bambini assassinati dalla violenza del terrore stragista. Ognuna di queste persone aveva una storia, una prospettiva di vita, un futuro che è stato rimosso, sottratto loro e cancellato. È stata sconvolta la vita di molti familiari delle vittime.
Questo ha indebolito il nostro Paese nella sua società, complessivamente, privandolo di storie di futuro dei suoi cittadini e di tante persone che erano qui in quel 2 agosto, come queste foto manifestano e ricordano”, ha proseguito il Capo dello Stato.
Che ha aggiunto: “Questo dolore non è estinguibile; è una ferita che non può rimarginarsi e che per questo motivo chiede ricordo. Il ricordo delle vittime, anzitutto, di quel che è avvenuto, per essere vigili, per evitare che si ripetano, che si ripeta qualunque avvisaglia di strategie del terrore come quella che allora fu messa in campo. Nel ricordo rientra anche rammentare la reazione di Bologna e dei bolognesi.
Una reazione immediata di soccorso per i feriti; una reazione civile, determinata, composta, con molta forza, a difesa della vita, della libertà, della democrazia contro lo stragismo e la strategia del terrore. Una reazione che è stata accompagnata da tutta Italia; una reazione che ha rafforzato la nostra democrazia e ha sconfitto lo stragismo e le sue strategie criminali”.
“Questo ricordo, naturalmente, sarebbe incompleto e inefficace se non accompagnato, come è stato fatto in questi anni costantemente dai familiari delle vittime e dall’Associazione che li rappresenta, dalla richiesta di verità piena.
E questo è il terzo elemento che vorrei sottolineare: l’esigenza di piena verità, l’esigenza di giustizia, di verità completa che è stata perseguita con determinata e meritoria ostinazione dall’azione giudiziaria, dalla sollecitazione dei cittadini, dei familiari delle vittime contro ogni tentativo di depistaggio e di occultamento”, ha sottolineato Mattarella.
“Questo richiede, naturalmente, che si faccia di tutto, con impegno completo e senza alcuna riserva, perché la verità venga raggiunta in pieno. Quindi la mia presenza qui, caro Presidente e rappresentanti dei familiari delle vittime, ha questo significato: partecipazione al dolore che rimane, per quanto avvenuto; solidarietà della Repubblica per questo dolore; ricordo, dovere del ricordo e della memoria, perché non si smarrisca mai la consapevolezza di quanto avvenuto e della sua gravità, e di quanto va impedito per il futuro; ribadire l’esortazione, la sollecitazione a sviluppare ogni impegno per la verità, con ogni elemento – documentale o non documentale – che possa contribuire a raggiungere pienamente la verità”, ha aggiunto.
“Dolore, ricordo e verità piena: sono queste le sollecitazioni che raccolgo e che esprimo per solidarietà nei vostri confronti e nei confronti di Bologna, della città ferita, che non dimentica questa ferita e che ha reagito in maniera esemplare a quel che è avvenuto – ha concludo Mattarella -. È questo il significato della corona di fiori davanti alla lapide e del nostro breve incontro in questo luogo che raccoglie la memoria di quanto avvenuto: partecipare al dolore, ripetere il dovere della memoria e ripetere e ribadire l’impegno per la verità”.
La denuncia del card. Zuppi: “Opacità e mandanti protetti”
Il cardinale Matteo Maria Zuppi, arcivescovo di Bologna, nei giorni scorsi ha celebrato nella cattedrale di San Pietro una messa in suffragio delle 81 vittime di Ustica e delle 85 della strage della stazione di Bologna. E, alla presenza del Capo dello Stato Sergio Mattarella, denuncia l’”ingiustizia acuta e insopportabile per l’assenza di verità”.
In un passaggio centrale dell’omelia, Zuppi ha osservato: “La memoria ci fa provare l’acuta e insopportabile ingiustizia della mancanza di verità, amara, perché memoria anche di delusioni, di ritardi, di opacità spesso senza volto e senza nome, di promesse non mantenute, di mandanti – che ci sono – protetti dall’ombra di quelle che sono vere e proprie complicità”. Da qui il monito affinché “chi sa, parli”, perché, per dirla con il porporato, si potrà sfuggire alla giustizia terrena “ma non si scappa dal giudizio di Dio”.
“Fare memoria ci riporta, anche a distanza di anni, a sentire le urla, il silenzio, l’angoscia, la speranza e lo sgomento della brutalità della morte. Pensando al dolore – ha continuato l’arcivescovo – proviamo fastidio per il chiacchiericcio insulso, per le perdite di tempo e scegliamo di mettere da parte quello che ci divide per cercare quello che unisce”.
“Le lacrime – ha detto Zuppi – chiedono di stare tutti dalla stessa parte, quella di chi piange. Riviviamo oggi lo strappo inaccettabile della morte, la durezza della scomparsa che non si smette di misurare anche a distanza di anni”.
L’arcivescovo di Bologna ricorda anche le vittime con i loro nomi: “Desidero ricordare i nomi, le persone, dei più piccoli e dei più anziani: Angela Fresu di tre anni e Luca Mauri di sei. Francesco Di Natale di un anno e Giuseppe Diodato, sempre di un anno. Antonio Montanari di 86 e Maria Idria Avati di 80. Paolo Licata di 73 e Marianna Siracusa di 61.
I nostri ricordi sono più fisici per la strage della Stazione di Bologna, le cui immagini – come gli occhi spalancati e pieni di orrore della donna portata via sulla barella – sono impresse nella memoria dei sopravvissuti e di tutti. Tutta Bologna si sentì coinvolta e in fondo fu l’intera città a salire sull’autobus 37 per fare tutto il possibile (diremmo l’impossibile!) per aiutare, per soccorrere i feriti, per comporre con pietà i poveri corpi, per consolare e aiutare i parenti increduli e smarriti di fronte a tanta cattiveria, per piangere con loro”.
“Il dolore – ha ricordato ancora il porporato – può unire, liberare energie di solidarietà, di ricerca di giustizia e di fraternità. Infatti è di tanta consolazione essere insieme oggi, uniti ai tanti che sono spiritualmente con noi. La presenza così autorevole, per il ruolo e per la persona, del Signor Presidente della Repubblica dona a questo ricordo un significato tutto particolare, una solennità emozionante e profonda.
Era atteso. Credo di esprimere a nome di tutti i parenti e di tutti noi un ringraziamento commosso a Lei, Signor Presidente, per questo gesto che completa le tante e importanti parole con cui in questi anni Lei ha sempre accompagnato la memoria di queste come di ogni strage.
Grazie, Signor Presidente. E con lei ringrazio i rappresentanti tutti delle istituzioni, che sono come le pareti portanti di questa nostra casa comune, per la quale vale la pena sacrificare la vita, difendendola con l’onestà e il lavoro”.
(Il Faro online)