Le Olimpiadi a Roma: lo Stadio dei Marmi e le sue 60 statue ad incorniciare il sogno
Anniversario speciale per lo sport italiano. L’impianto del Foro Italico ospitò le gare di hockey su prato. La nascita e la storia delle statue
Roma – E’ una giornata particolare oggi per lo sport italiano. Una di quelle date che inondano il cuore di nostalgia. Uno dei quei pensieri che fanno smettere di fare, di parlare, di respirare. Per chi nel 1960 c’era. Il 25 agosto di quell’anno si apriva la 17esima Olimpiade estiva della storia. Rinasceva l’Italia dopo la seconda guerra mondiale e le rovine di essa, insieme alla sua Capitale che si apriva al mondo, attraverso l’evento sportivo più suggestivo.
Sfilate di bandiere sul raccordo anulare, colori, tanti cantieri aperti per le strade e nelle piazze (poi trasformatasi nel Villaggio Olimpico e in quelle strutture utili, che ancora oggi esistono) e moltissimi atleti. Da tutto il mondo. Alle 16,30 del 25 agosto cominciava la cerimonia di apertura allo Stadio Olimpico e sfilavano gli atleti azzurri, insieme a quelli degli 84 paesi partecipanti.
C’è ancora dolore per quell’edizione del 2024 probabilmente sfumata alcuni anni fa. O almeno abbandonata l’idea di correre per le Olimpiadi, da parte delle istituzioni. E oggi si ricorda quella del 1960. Tutto il mondo era a Roma in quegli indimenticabili giorni di sport, di vittorie e di medaglie. L’oro olimpico di Livio Berruti sui 200 metri piani ha scritto la storia e segnato il futuro di tanti giovani dell’atletica sulla distanza del mezzo giro di pista, come Filippo Tortu, primatista italiano attuale dei 100 metri. E un impianto in particolare si erigeva tra i tanti capienti e pieni quei giorni, di folle e di tifo. Lo Stadio dei Marmi. Quel gioiello di luogo sportivo all’aperto che si appoggia all’ombra dello Stadio Olimpico. A pochi metri da esso, il più grande della Capitale, ecco lui. Costruito tra il 1928 e il 1932, progettato dall’architetto Del Debbio. Oggi denominato “Stadio Dei Marmi Pietro Mennea”. In ricordo del mito dell’atletica, che tantissime volte corse all’interno della pista fatta a sei corsie, sotto lo sguardo attento di 60 statue di gesso, riportanti atleti e uomini storici, donate dalle Province Italiane.
Dal 12 settembre del 2013 porta il nome della Freccia del Sud. Giorno in cui Pietro conquistò il record nei 200 metri alle Universiadi: 19”72 il primato, in Europa ancora imbattuto. E il 2013 fu l’anno in cui si commemorò la sua figura di campione azzurro, iniziando il ciclo annuale dei Mennea Day. Si svolse proprio allo Stadio dei Marmi, la prima edizione romana. Si distende largo e suggestivo all’interno del Parco del Foro Italico l’impianto più piccolo, ma unico al mondo. Lo Stadio dei Marmi accoglie oggi eventi sportivi di tante discipline, soprattutto allenamenti e manifestazioni collaterali al Golden Gala di atletica, che ogni anno si svolge a Roma.
Nella fine estate del 1960 l’impianto dei Marmi ospitò l’hockey su prato. Gironi di qualificazioni e poi le semifinali. Eredità successiva dei Giochi Estivi furono ancora quelle partite di hockey ospitate per le partite del campionato di Serie A. Fino alla metà degli anni ’70. E il tutto attorniato da quelle alte e imponenti statue raffiguranti le diverse discipline sportive.
Dalla Provincia di Roma fu donato Ercole, potente e lottatore che difende i deboli dal male, da Napoli giunse l’atleta che si massaggia “il nuotatore”. Il ginnasta fu donato allo Stadio dei Marmi dalla Provincia di Lecce, con la sua clava in mano ha visto albe, tramonti e campioni eccezionali nei decenni in cui eventi sportivi si sono susseguiti tra le mura dell’impianto. Trieste donò il saltatore dell’asta, Novara si occupò di riempire lo spazio intorno al campo con il maratoneta, il pugile che si fascia la mano è un regalo di Mantova. Il lanciatore del giavellotto arriva da Perugia, il famoso discobolo da Frosinone, da Enna ecco l’atleta al timone e quello a riposo da Gorizia. Il lanciatore del martello da Fiume, lo sciatore da Bolzano. Tutte bianche, tutte alte, tutte raffiguranti di sogni. E tanti atleti hanno desiderato di essere come quelle statue un giorno. Immortali e fermi, forti anche contro le intemperie, nei cuori degli appassionati. Mediante compenso di 10 mila lire gli artisti prescelti per la loro realizzazione, avvenuta negli proprio negli anni ’30, dovettero sovrintendere anche a successive fasi della loro lavorazione, in modo di una perfetta collocazione, che oggi è conosciuta e ammirata in tutto il mondo.
E il mondo si ricorda ancora di quella edizione dei Giochi Estivi romani. I valori dello sport e la Dolce Vita. La società civile che conosceva il suo “miracolo economico” e i romani che si innamoravano dei piedi scalzi di Abebe Bikila, vincitore della maratona, all’ombra dell’Arco di Costantino. Solo 60 anni fa. Resta la nostalgia, ma anche il sogno di rivederli quei Giochi a Roma. E per il cuore di un atleta tutto è possibile.