Taglio dei parlamentari, “sì” o “no”? Il referendum costituzionale spiegato dall’esperto
A rispondere alle domande più frequenti sul referendum del 20 e 21 settembre è il giurista Cesare Mirabelli, ex presidente della Corte costituzionale
Roma – Il 20 e 21 settembre i cittadini italiani saranno chiamati a votare per il referendum costituzionale che prevede l’ormai famoso “taglio dei parlamentari” (leggi qui).
In caso di vittoria del “sì”, infatti, i membri del Parlamento italiano diminuirebbero dagli attuali 945 a 600: si tratta, dunque, di una scelta molto importante per il futuro della vita politica del Paese, e non tutti hanno già le idee chiare.
Il testo della legge costituzionale che prevede il taglio dei parlamentari, lo ricordiamo, è già stato approvato dal Senato della Repubblica nella seduta dell’11 luglio 2019 e dalla Camera dei deputati nella seduta dell’8 ottobre 2019. Il referendum costituzionale, che è il quarto nella storia della Repubblica Italiana, non prevede il raggiungimento di alcun quorum.
Il quesito
Approvate il testo della legge costituzionale concernente “Modifiche agli articoli 56, 57 e 59 della Costituzione in materia di riduzione del numero dei parlamentari”, approvato dal Parlamento e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana n.240 del 12 ottobre 2019?
E’ questa la domanda a cui, fra pochi giorni, gli aventi diritto saranno chiamati a rispondere. Ma cosa vuol dire? Qual è il contenuto degli articoli 56, 57 e 59 della Costituzione, e come potrebbero – se vincesse il “sì” – essere modificati dalla legge costituzionale?
L’articolo 56: il numero dei deputati
“La Camera dei deputati – recita l’articolo 56 della Costituzione italiana – è eletta a suffragio universale e diretto. Il numero dei deputati è di seicentotrenta, dodici dei quali eletti nella circoscrizione Estero. Sono eleggibili a deputati tutti gli elettori che nel giorno delle elezioni hanno compiuto i venticinque anni di età. La ripartizione dei seggi tra le circoscrizioni, fatto salvo il numero dei seggi assegnati alla circoscrizione Estero, si effettua dividendo il numero degli abitanti della Repubblica, quale risulta dall’ultimo censimento generale della popolazione, per seicentodiciotto e distribuendo i seggi in proporzione alla popolazione di ogni circoscrizione, sulla base dei quozienti interi e dei più alti resti”.
Se dovesse vincere il “sì”, i deputati passerebbero da 630 a 400, 8 (anziché 12) dei quali eletti nella circoscrizione Estero. La ripartizione di seggi tra le circoscrizioni, poi, verrebbe effettuata dividendo il numero degli abitanti della Repubblica per 392, anziché per 618.
L’articolo 57: il numero dei senatori
“Il Senato della Repubblica – si legge nell’articolo 57 della nostra Carta costituzionale – è eletto a base regionale, salvi i seggi assegnati alla circoscrizione Estero. Il numero dei senatori elettivi è di trecentoquindici, sei dei quali eletti nella circoscrizione Estero. Nessuna Regione può avere un numero di senatori inferiore a sette; il Molise ne ha due, la Valle d’Aosta uno. La ripartizione dei seggi tra le Regioni, fatto salvo il numero dei seggi assegnati alla circoscrizione Estero, previa applicazione delle disposizioni del precedente comma, si effettua in proporzione alla popolazione delle Regioni, quale risulta dall’ultimo censimento generale, sulla base dei quozienti interi e dei più alti resti”.
Se vincesse il “sì”, i senatori diminuirebbero da 315 a 200, 4 (anziché 6) dei quali eletti nella circoscrizione Estero. Le Provincie autonome di Trento e Bolzano verrebbero equiparate alle Regioni e nessuna Regione o Provincia autonoma potrebbe avere un numero di senatori inferiore a 3 (anziché 7).
L’articolo 59: il numero dei senatori a vita
“È senatore di diritto e a vita, salvo rinunzia, chi è stato Presidente della Repubblica – stabilisce l’articolo 29 della Costituzione -. Il Presidente della Repubblica può nominare senatori a vita cinque cittadini che hanno illustrato la Patria per altissimi meriti nel campo sociale, scientifico, artistico e letterario”.
In caso di vittoria del “sì”, il nuovo articolo 59 chiarirebbe il numero complessivo dei senatori in carica nominati dal Presidente della
Repubblica, che non potrebbe in alcun caso essere superiore a 5. L’attuale formulazione, infatti, è da molti considerata ambigua, in quanto non specifica se il limite di 5 nomine sia assoluto o per ciascun Presidente della Repubblica (quest’ultima fu l’interpretazione data da Francesco Cossiga e Sandro Pertini).
I chiarimenti del giurista Cesare Mirabelli
Non è semplice, però, capire come pochi numeri possano realmente cambiare le sorti del nostro Paese, e sono diverse le domande che gli italiani continuano a porsi. Per fugare (quasi) ogni dubbio, ci siamo rivolti al professor Cesare Mirabelli, giurista ed ex presidente della Corte costituzionale, che ha risposto ad alcune fra le domande più frequenti sull’argomento, riassumendo le ragioni dell’una e dell’altra fazione.
E’ vero che, riducendo il numero dei parlamentari, verranno considerevolmente abbattuti i costi della politica?
Il risparmio, rispetto al bilancio pubblico e delle due assemblee, è molto modesto. Non credo che questo debba essere il fulcro della questione. E’ giusto evitare gli sprechi, nel pubblico come nel privato, ma dobbiamo tenere a mente che il funzionamento delle istituzioni e della nostra democrazia ha e avrà sempre, inevitabilmente, un costo. In ogni caso, come dicevo, ritengo che questo non sia un argomento su cui poggiare un’eventuale modifica nel sistema di rappresentanza.
Davvero rischiamo di compromettere il principio della rappresentatività democratica?
Questa è un’estremizzazione delle valutazioni. Non è la rappresentatività degli eletti a venir meno, ma il loro numero. Oltretutto, è sempre bene ricordare che ciascun eletto rappresenta la nazione, non il collegio che l’ha eletto. Certo, il collegamento fra collegio e singoli parlamentari è importante, ma è già stato fortemente attenuato dall’attuale sistema elettorale a due liste. Sono molti, infatti, gli aspetti che potrebbero e dovrebbero essere rivisti: il sistema elettorale più diretto è quello uninominale ma, se maggioritario puro, rischia di marginalizzare o addirittura di eliminare le minoranze, che invece sono parte integrante della vita politica dell’Italia. In definitiva, bisogna escogitare un sistema che assicuri la funzionalità delle due assemblee elettive e che consenta di avere una maggioranza parlamentare.
Quali sono, dunque, le ragioni del “sì”?
Premetto che entrambe le posizioni, tanto quella del “sì” quanto quella del “no”, seguono degli itinerari che sono logici e perfettamente legittimi. Tra le ragioni del “sì” abbiamo, oltre al risparmio sulla spesa pubblica, una maggiore efficienza di Camera e Senato, che dovrebbe, in quest’ottica, migliorare la qualità della rappresentanza. In più, i sostenitori del “sì” credono che questa riforma potrebbe stimolarne, quasi a cascata, delle altre.
Quali, invece, quelle del “no”?
D’altra parte, per i sostenitori del “no” il risparmio è troppo esiguo e si rischia che la rappresentanza si attenui. Inoltre, la fazione del “no” sottolinea come la qualità e la funzionalità degli eletti non dipenda dal loro numero: al contrario, un taglio così netto del numero dei parlamentari potrebbe creare molte difficoltà alle due camere, e soprattutto al Senato, nello svolgimento del loro lavoro. Infine, sostengono che questa sia una riforma isolata, priva di un contesto che le dia un senso e che quindi, in sostanza, rischi di dissestare il sistema e basta.
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