L'analisi

I grandi vini del Lazio: tutto quello che c’è da sapere e dove trovarli

22 settembre 2020 | 12:02
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I grandi vini del Lazio: tutto quello che c’è da sapere e dove trovarli

Alla scoperta della storia e del patrimonio enologico laziale e la sua lenta e costante ascesa nel mercato moderno.

di ILARIA CASTODEI

Ricco di storia e potenzialità,  caratterizzato da un territorio eterogeneo, incuneato tra il mar Tirreno, colline, pianure e vulcani spenti, il Lazio, è sicuramente una delle regioni italiane più vocate alla viticoltura. Come mai, dunque, i vini laziali sono stati fino a qualche anno fa così poco considerati e il loro effettivo valore non è conosciuto in Italia in proporzione alla ricchezza del suo patrimonio agricolo?

Premesso che la prima grande diffusione della vitis vinifera, la vite comune,  allo scopo di produrre il vino, fu effettuata proprio dagli antichi romani, la cui adorazione verso la bevanda era tale da associarlo addirittura ad una divinità religiosa, il dio romano Bacco, va detto che per secoli i contadini laziali hanno coltivato l’uva cosidetta “pantastica”, o uva pane, per creare l’omonimo vino, consumato quanto e più del pane.

La scarsa considerazione per il vino laziale

Fino agli inizi degli anni ‘70 i vini laziali godevano di una vasta diffusione dovuta anche ai fasti della dolce vita romana;  la storia riporta che fossero addirittura i vini italiani più esportati, soprattutto nelle Americhe. Ma proprio la grande bellezza storica  e culturale di Roma può aver oscurato nel tempo le altre ricchezze della regione fino ad accogliere una grande massa  di turisti sempre pronta a bere di tutto, anche il vino più scadente pur di farlo nella città eterna.

In virtù di ciò si è parlato sempre di una politica agricola e produttiva inadeguata da parte dei vignaioli laziali che pur operando in uno splendido e vocato territorio, abbiano optato per la via della quantità, che permetteva cospicui guadagni, rispetto a quella della qualità; la rincorsa folle al minor prezzo praticabile possibile per la vendita di sempre più prodotto ha portato ad un parallelo abbassamento del livello qualitativo; si è cercato infatti di introdurre uve che dessero rese per ettaro sempre più alte.

Sopraggiunse quindi una stasi nei confronti delle nuove tecnologie, che venivano pienamente abbracciate invece dalle altre regioni italiane  che nel frattempo ammodernavano non solo gli impianti ma anche la produzione di vini associando una maggior qualità a costi determinati. Queste motivazioni pare abbiano portato negli ultimi 40 anni ad un dirottamento verso il basso del trend qualitativo dei vini laziali registrando una scarsa considerazione da parte del mercato emergente che invece premiava sempre più il Piemonte, il Veneto , il Trentino, Toscana, Campania che si imponevano con vini molto più accattivanti e concorrenziali.

A tutto questo  si è aggiunta l’assenza totale di attività comunicativa e marketing da parte dei produttori laziali, che ha portato nel tempo anche la ristorazione romana  ad affidarsi  sempre più  ad operatori enologici extra regionali più attenti alle attività degustative e a quelle giornalistiche di settore.  In definitiva nel Lazio vi era una vera e propria mancanza di cultura d’impresa.

La svolta: la rivoluzione enologica laziale

Fortunatamente negli ultimi decenni, il mondo vitivinicolo ed enologico laziale, già con i primi produttori,  ha ben interpretato il bisogno di resettare questo sistema viziato sganciandosi da una produzione votata alla quantità e ripartire puntando sulla qualità e sul proprio territorio. Così sono nate le prime cantine, oramai rinomate,  che hanno dato la grande svolta all’attività della regione sfruttando la vocazione della terra e i suoi vitigni autoctoni.

Ed è proprio la coltivazione dei vitigni autoctoni che ha portato negli ultimi anni all’avvio di un movimento enologico finalmente degno di un territorio con un elevato potenziale così poco espresso in passato.

Sono stati istituiti diversi enti e organizzazioni con lo scopo di comunicare e di sviluppare tale potenzialità  innalzando la qualità dei vini laziali grazie al passaggio dalla vinificazione in botti, cemento e vetroresina, all’utilizzo di serbatoi in acciaio inox a temperatura controllata.

Il consorzio Vigne del Lazio,  l’Arsial – Agenzia regionale per lo sviluppo dell’agricoltura nel Lazio, varie Agenzie di stampa e comunicazione regionale hanno attivato da tempo una campagna di promozione del consumo in primis dei vini regionali (e poi successivamente degli altri). Sono state istituite  delle Strade del Vino, con l’idea di rendere più visibile il territorio: dalla  Strada dei vini delle terre Etrusche Romane a Cerveteri a  quella dei Castelli Romani alla strada del Cesanese di Piglio e Affile e via via tante altre. Il Lazio è straordinario proprio perché ha un territorio adatto alla produzione di vini di qualità in ognuna delle sue provincie.

E così la regione ha incontrato quella rivoluzione enologica che oggi la mette in pari con il resto d’Italia, puntando a delle caratteristiche distintive territoriali e quel meraviglioso connubio con la tradizione culinaria e ristorativa laziale che per tanto tempo ha sempre usufruito solo e soltanto del caro buon vecchio vino sfuso della casa.

Numeri e certificazioni del vino laziale

L’ampelografica laziale è particolarmente ampia e frammentata. Con i suoi 23000 ettari di superficie vitata, tra cui il 26% di montagna, 54% in collina, 20% pianura, questa regione vanta 6 denominazioni IGT, 26 DOC (27 con la interregionale DOC Orvieto) e 3 DOCG e una produzione che oramai supera i 1,500,000 ht. Oggi, la produzione di vini di qualità del Lazio, come già detto, sfrutta soprattutto il potenziale dei vitigni autoctoni ed è principalmente un territorio adatto a vitigni a bacca bianca (in foto: Malvasia puntinata)

La produzione, quindi, è caratterizzata per lo più da vini bianchi per un buon 80%, il più rinomato è senza dubbio il Frascati, ma non mancano vitigni a bacca nera che producono vini molto caratteristici e di ottima qualità: il vitigno autoctono più importante è  il Cesanese.

 I Vini e Vitigni laziali zona per zona

Zona dei Castelli Romani

Quella dei castelli romani è una zona perfetta, con terreni di origine vulcanici ricchi di mineralità  e capaci di regalare vini laziali di grande sapidità, per questo concentra nel suo territorio un gran numero di denominazioni. Qui si trovano principalmente i vitigni autoctoni a bacca bianca di  Malvasia di Candia, Malvasia Puntinata e Trebbiano dai quali viene prodotto il famoso DOCG Frascati Superiore, un vino fresco che esprime un grande potenziale in longevità; e poi il DOCG Cannellino di Frascati vino dolce ottenuto dalle stesse uve del secco e con l’utilizzo di “muffa nobile”. Sul versante delle uve rosse si trova l’autoctono Nero Buono di Cori, conosciuto anche come uva ‘colorante’, e come tale usata negli uvaggi per rinforzare il colore del vino. Da qualche tempo riscontra però l’interesse di vari produttori che lo vinificano anche in purezza.

La zona del Cesanese

Tra le cittadine di Affile, Piglio e Olevano Romano si trova la coltivazione dell’omonimo vitigno autoctono a bacca nera dal quale si producono alcuni vini DOCG e DOC tra cui i più rinomati DOCG Cesanese del Piglio  dalla buona acidità, alcol e tannino, caratteristico per le sue note di ciliegia, mora, humus, spezie e tabacco; DOC Cesanese di Affile, un vino color rosso rubino, dall’aroma armonico, delicato e morbido e DOC Cesanese di Olevano Romano (da Cesanese di Affile e Cesanese Comune).

La zona del Viterbese

Di origine vulcanica e ricca di tufo, questo territorio subisce nelle sue coltivazioni gli influssi dalle regioni confinanti e come tale presenta continuità con i territori contigui Toscana e Umbria. Non è un caso dunque, che vi si trovino coltivate uve Sangiovese, Trebbiano, Malvasia, e Grechetto, tutte alla base della DOC interregionale Orvieto. Poi il DOC Est! Est!! Est!!! di Montefiascone prodotto a partire da uve Roscetto (o Trebbiano Giallo), Trebbiano Toscano, Malvasia puntinata e Malvasia bianca lunga. Sempre in zona, nello specifico a Gradoli , è d’obbligo la menzione all’Aleatico di Gradoli DOC; vitigno autoctono a bacca rossa di antica origine greca, con una spiccata aromaticità.

Vitigni diffusi in ceppi isolati solo nella provincia di Viterbo sono il Bianco dritto,  così chiamato per il portamento della pianta, e il Cannaiola di Marta, che dà un vino di colore rubino con  gusto armonico, corposo e fruttato.

La zona costiera di Aprilia e dintorni

Trasferendosi lungo la costa laziale troviamo la zona di Aprilia, un tempo paludosa, poi bonificata; un terreno formato per lo più da depositi alluvionali e sabbia molto vocato alla  sperimentazione di coltivazioni di vitigni internazionali nativi di territori con uguale composizione di suolo come il Bordeaux, Chardonnay, Merlot e Cabernet Souvignon.  Ma si coltivano anche Sangiovese, Trebbiano e un vitigno autoctono, il Bellone (o Cacchione), dal quale scaturisce un vino molto particolare che spesso viene usato insieme al Trebbiano ed alla Malvasia per creare dell’ottimo vino da tavola. Andando oltre la costa, il Biancolella di Ponza IGT, vitigno autoctono che racchiude nel suo vino tutto l’aroma e profumo dell’isola pontina.

La zona di Terracina

Sulla parte meridionale della costiera della pianura pontina, è stato individuato  il Moscato di Terracina DOC, molto simile al Moscato bianco. Probabilmente si tratta di un adattamento locale di questo clone, che trae origine dal termine “muscum”, in latino muschio, di cui ne ricorda il profumo.

La zona di Cerveteri e degli antichi etruschi

Salendo lungo costa regionale, a Cerveteri , si ammirano le coltivazioni di Montepulciano, Sangiovese, Trebbiano, Malvasia, che vanno a creare il noto Cerveteri DOC;  ma soprattutto  qui è stato riscoperto un vitigno autoctono a bacca rossa, il Giacchè, che anticamente cresceva spontaneamente nella macchia mediterranea. Era già conosciuto ed apprezzato al tempo degli Etruschi venendo usato come uva da taglio, per dare più sostanza ai vini ottenuti da Sangiovese e Montepulciano.  Solo qui a Cerveteri viene vinificato in purezza creando un vino dal profilo organolettico caratteristico ed originale.

La zona del frosinate

Meritevole di nota per i vini laziali anche la zona ciociara con la sua  Passerina del Frusinate IGT,  un vitigno a bacca bianca, autoctono dell’Italia centrale, che in questa terra ha trovato l’optimum di crescita e produzione. Un vino agrumato, erbaceo e speziato.

Le altre DOC

Tra le altre produzioni di qualità della regione, vanno menzionate le DOC Colli della Sabina (prodotta lungo la riva destra del Tevere, tra le province di Rieti e di Roma), DOC Tarquinia, DOC Circeo (ottenuto dalle coltivazioni che si estendono sul territorio costiero che va da Latina a Terracina) e DOC Atina (prodotto nella valle di Comino, nel frusinate)

Altri vitigni a bacca bianca presenti nel Lazio sono il il Bombino (ottenese), il Pecorino, l’Ansonica e il Grechetto. Mentre tra le uve a bacca rossa il Ciliegiolo e anche il  Barbera.
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