Paolo Pizzo: “L’argento a Rio la medaglia più bella. A chi lotta contro il cancro.. tirate fuori il coraggio”
Una lunga intervista al bicampione mondiale e vicecampione olimpico di spada. L’atleta dell’Aeronautica si racconta. Dal tumore avuto da ragazzino, fino ai titoli iridati vinti. E Tokyo? Se arrivasse sarebbe meraviglioso..
Roma – Una medaglia che ha chiuso un cerchio. Un alloro sognato e agognato e sudato in pedana che ha teso la mano alle difficoltà, ai demoni e ai fantasmi del passato. Per farci pace. Come si fa in pedana al termine delle ostilità agonistiche, nei confronti dell’avversario. Brilla quella “conquista” allora in bacheca e in casa sua. Come fosse un oro vero e proprio, anche se oro non è. L’argento messo al collo nella gara a squadre a Rio 2016 ha realizzato il sogno sportivo di Paolo Pizzo, mai stato assillato in verità, dalla vittoria olimpica. Anche se ovviamente, se fosse arrivata, la gioia provata sarebbe stata più grande. Ma la vera bellezza si è realizzata poi in un destino che lo ha portato fino in Brasile da uomo, dopo averlo messo alla prova e solo da tredicenne.
Le lacrime di gioia a Rio 2016 e il ringraziamento al Maestro Oleg
Il bicampione mondiale di spada ha vinto la sua battaglia più importante contro il nemico più cruento, quello che senza pietà mette alla prova e misura. E pesa il coraggio. Paolo ha vinto contro il cancro. Un tumore al cervello da adolescente lo ha fatto crescere probabilmente più in fretta, ma ha dato al cuore del ragazzino, già innamorato allora della scherma, quella determinazione per risalire la montagna nera verso la luce. E’ guarito il piccolo Pizzo, per raggiungere la cima della vita un giorno. In una estate del 2016 in Brasile. Insieme ad Enrico Garozzo, Andrea Santarelli e Marco Fichera. Il team azzurro della spada maschile è salito sul secondo gradino del podio alle Olimpiadi, realizzando per Paolo il sogno più bello e regalando al pianeta della scherma medaglie aggiuntive da onorare. Non importa allora se quell’oro non è arrivato alla fine, Pizzo l’ha desiderata quella medaglia olimpica con tutto se stesso e la poi coccolata. E anche pianta. Lo racconta nella sua intervista a Il Faro online. Apre il cuore il vicecampione olimpico della spada e il due volte vicecampione europeo. Dopo i festeggiamenti avuti con il suo team a Rio, Paolo si è chiuso in camera da solo, al Villaggio Olimpico, e ha ringraziato la vita. E non solo. Non poteva non pensarci.
Il suo Maestro di spada Oleg Pouzanov se n’era andato qualche mese prima e proprio per quella malattia che l’atleta dell’Aeronautica aveva conosciuto da adolescente. Ha stretto a sé l’argento vinto e ha buttato fuori il dolore. L’emozione forse più forte in quelle ore successive alla conquista. Ha ringraziato il suo Maestro, Paolo. Per la crescita sportiva e umana. Per gli insegnamenti ricevuti e per l’affetto. Da uomo a uomo. Le aveva tenute dentro, per tanto tempo quelle lacrime e a Rio, sotto il cielo tricolore del Brasile, il vincitore del Mondiale di Catania prima e di Lipsia poi nel 2017, a livello individuale, ha fatto pace con il suo passato. E in esso c’era tutto un vissuto, di una carriera costruita con il sudore e con i sacrifici dello sportivo. Una carriera di grandi vittorie e rivincite.
Doppia vittoria per Paolo. La guarigione dal cancro e l’oro mondiale nella spada
Una grandissima rivalsa per lui, nel 2011 a Catania. E’ lì che il mondo ha conosciuto la sua storia da guarito dal tumore. Lo ha raccontato lui stesso, liberando il dolore, sfogandosi e facendo giustizia alla sofferenza affrontata e facendosi il regalo più bello. Due doni. L’uno a distanza di pochi minuti dall’altro. E poi l’altro. Il primo è stato la medaglia mondialeconquistata da solo e il secondo invece, uno speciale racconto in conferenza stampa, narrato ancora da solo. Quello di avere scalato la cima del globo, dopo la paura più grande. Nessuno poteva farlo al suo posto. Lui che lo aveva vissuto in prima persona: “La cosa più bella a margine – racconta Pizzo – è stata quella di aver raccontato ai giornalisti, di essere passato attraverso una battaglia per la mia stessa vita, trainato dalla forza della mia famiglia tutta unita”. E i suoi genitori, la sorella e gli amici erano lì a tifare per lui, in una delle competizioni iridate più belle della scherma, svolte in Italia. Paolo ha vinto nella sua terra e ha festeggiato la sua medaglia d’oro da vincitore (come sportivo), in piazza a Catania. Strade, luoghi e vicoli che lui conosceva bene. Una vittoria in casa, con tutte le credenziali delle emozioni e dei brividi più intensi. E da vincitore lo ha fatto. Anche da uomo. Anche da persona adulta: “Un’emozione grandissima vincere da outsider – precisa – ancora oggi se ci penso, sembra un film”. Sicuramente una storia a lieto fine, in cui al termine del lungometraggio il “vissero felici e contenti” sta in primo piano.
Oggi Paolo è testimonial dell’Associazione Italiana Ricerca sul Cancro e si batte per chi lotta e per chi passa ore ed ore in laboratorio e senza grandi proclami: “Ogni giorno c’è chi lotta contro il cancro e le nuove neoplasie. Lo fa di nascosto senza grandi palcoscenici, ma ha bisogno del palcoscenico del supporto. La ricerca va sostenuta sempre”. E sembra un caso voluto che proprio nei giorni in cui l’Airc promuove la ricerca, Paolo abbia rilasciato una intervista per raccontarsi. E’ ancora il destino a giocare, forse. Una particolare coincidenza che unisce vita e sport. Vita e sogni. E forse, anche questo è un passo per chiudere il cerchio e ricordare che la vita stessa ha trionfato e chiede di essere costantemente difesa. Perché quella di Paolo ha trionfato anche da uomo. Un bellissimo matrimonio e una moglie chiesta in sposa durante un meeting sportivo. Lavinia Bonessio, ex atleta di scherma, ha detto sì a Paolo ed entrambi hanno avuto due splendide bimbe, oggi orgoglio e amore per il campione della spada azzurra, che è tornato in pedana.
Le difficoltà in pedana nell’era del Covid e l’importanza della pratica sportiva
Non è facile però allenarsi nei giorni della pandemia mondiale. Lo commenta Paolo. E lo fa con estrema intelligenza. Le difficoltà le vive, sia da padre che da atleta di interesse nazionale. La scuola è uno degli ambiti più delicati in questa era del Covid-19 del 2020 e l’asilo delle sue figlie è costantemente a rischio chiusura. Lo precisa Paolo: “Per mia figlia è un problema. E in palestra come in Nazionale siamo fortemente influenzati dai casi indiretti”. La sanificazione delle sale e la quarantena degli interessati poi fanno il resto. Tutto lo sport soffre. Non solo per questi problemi che Paolo spiega, ma anche per le chiusure degli impianti in tutta Italia: “Chiudendoli se ne pagheranno le conseguenze secondo me”. E’ chiaro Paolo. La salute passa anche dalla pratica sportiva. E prosegue: “Non è di mia competenza, ma fermare tutto il settore in un momento di pre – lockdown, ritengo sia stato quantomeno prematuro”. Tuttavia, prendere decisioni così invasive per la vita dei cittadini non è facile, come non lo sarebbe evitare una stoccata fulminea di un avversario, ma Pizzo lo capisce e aggiunge: “..nel rispetto sempre da atleta dell’Aeronautica e da militare, per chi deve prendere queste decisioni, certamente mai facili”.
Il ritorno in pedana dopo il ritiro. Si fa del tutto per tornare alle Olimpiadi..
Anche le Olimpiadi hanno risentito della diffusione mondiale del coronavirus. Lo slittamento al 2021 dei Giochi ha fermato carriere sportive come quelle di Tania Cagnotto o Elisa Di Francisca, future mamme per la seconda volta, e fatto proseguire quelle già interrotte. Paolo aveva smesso la carriera nel maggio del 2019 ma quanto deciso dal Cio lo ha fatto tornare sulla sua strada: “Mi è sembrato naturale ripensarci e con il benestare dello staff tecnico della Nazionale, sono rientrato”. Lo racconta a Il Faro online e sottolinea: “Vorrei avere una costanza di rendimento e prendere decisioni con una certa serenità. Avendo il pieno spettro delle scelte, sapendo di essere ancora forte. Parlare di Olimpiadi però è prematuro, ma chiaramente se uno come me, si mette in palestra e sogna a Cinque Cerchi, non si limita”. Determinato e tenace, senza nascondersi. Il bicampione del mondo non si tira certo indietro credendo in se stesso e facendosi forza su una carriera splendida di vittorie. Neanche da ragazzino si era tirato indietro contro il cancro. Quindi la vittoria non può essere che l’unica soluzione, per un campione, per un padre e per un uomo che ha vinto la battaglia più importante. Non solo in pedana mettendosi al collo numerose medaglie, ma anche nella vita. Tornando a sognare la vita stessa e la scherma, tanti anni fa. E oggi il sogno di Paolo è la vita, insieme alla sua scherma del cuore. Lo è ogni giorno, in aiuto di chi lotta e pronto a scagliare la stoccata vincente contro l’avversario. E sta tutto lì, nel colore argento della medaglia olimpica. Grazie Paolo.
Caro Paolo, cominciamo da questo difficile anno 2020. Come stai vivendo questo periodo da sportivo e da papà? Quali sono le difficoltà che stai incontrando?
“Sono simili le difficoltà. L’incertezza e la continua frammentazione delle abitudini, sono all’ordine del giorno. Attendiamo i decreti per capire come delineare il futuro lavorativo e personale. Lo stesso vale per me come atleta e papà. L’asilo è sempre a rischio chiusura, per mia figlia è un problema. Ha una routine di socializzazione e di crescita che viene interrotta. Da atleta, nella palestra come nei ritiri in Nazionale, siamo fortemente influenzati dai casi indiretti. C’è frammentazione nella settimana, o per la sanificazione della palestra oppure per la quarantena degli interessati. Finora ho evitato un coinvolgimento diretto, non è facile lavorare in queste condizioni. Non è possibile dare serenità ai figli che chiaramente non devono, in tenera età, come le mie bambine, risentire delle nostre scosse. Bisogna dare continuità alla propria attività sportiva e anche alla quotidianità dei figli”.
Cosa pensi della crisi che sta affrontando lo sport ?
“Lo sport, pur comprendendo la crisi e le necessità di un nuovo lockdown, è un settore che non può essere tagliato tout court. Fare di tutta un’erba un fascio e limitare completamente la possibilità dei cittadini di mantenersi in salute, crea problemi ulteriori in un contesto in cui la salute è già messa a repentaglio, per i motivi che sappiamo. Sarebbe stato utile tutelare quelle attività in cui viene assicurato il distanziamento con percentuale di contagi bassissimi, per garantire una fascia di salute. Caratteristiche che regala lo sport. Continuare ad interromperla non va bene, lasciando perdere l’indotto economico generato, che non è il mio campo. Si tratta non solo di fornire un prodotto, ma anche di dare salute alla popolazione. Tenendo aperte palestre, piscine. Chiudendole se ne pagheranno le conseguenze secondo me. Non è di mia competenza, ma fermare tutto il settore in un momento di pre – lockdown, ritengo sia stato quantomeno prematuro. Nel rispetto sempre da atleta dell’Aeronautica e da militare, per chi deve prendere queste decisioni, certamente mai facili”.
Lo scorso anno avevi deciso di smettere la carriera. Poi sei risalito in pedana. Puoi raccontare il motivo di queste decisioni? Cosa ti ha attratto di nuovo poi della tua scherma della vita?
“Pensavo di avere smesso per dedicarmi ad altre attività, nonché a fare il padre h24. Il rinvio delle Olimpiadi mi ha riacceso una fiamma. Chiaramente ho voluto allargare l’orizzonte dei miei obiettivi, visto che avevo limitato la pratica della scherma solo alle competizioni nazionali. Per difendere i colori dell’Aeronautica. Mi ero allenato comunque sempre. Una volta che il Cio ha rinviato i Giochi, mi è sembrato naturale ripensarci e con il benestare dello staff tecnico della Nazionale della Federscherma, sono rientrato. Si vive ora alla giornata. Attendo il mio momento per dimostrare di essere quello di una volta. Lo devo fare se voglio ambire a certi palcoscenici. C’è una squadra titolare che si è garantita e conquistata in mia assenza, un posto alle Olimpiadi. La rispetto. Sono amici, sono fratelli. Questo essere anche avversari, fa di me uno che mette in chiaro i propri obiettivi, nel rispetto della squadra che si è conquistata il posto. Quindi spero di avere le mie possibilità di dimostrare di essere ancora altamente competitivo. Altrimenti è chiaro che il team che andrà alle Olimpiadi, se da qui a Tokyo non ci saranno gare, sarà quello che senza di me si è guadagnato il pass, combattendo in pedana”.
Quali sono i tuoi sogni da atleta, in questo tuo “secondo tempo” della scherma azzurra?
“Il sogno è sicuramente quello di riacquisire quelle sensazioni mie, che avevo qualche anno fa. Poter praticare la mia scherma al 100%, senza infortuni, poter far faticare tutti a battermi. Molti atleti di spessore finiscono la carriera con brutte sensazioni. Prima di smettere ho avuto un periodo chiaro scuro, vorrei avere una costanza di rendimento e poi poter prendere decisioni con una certa serenità. Avendo il pieno spettro delle scelte, sapendo di essere ancora forte. Si possono allora costruire piccoli e grandi obiettivi. Parlare di Olimpiadi è prematuro, ma chiaramente se uno come me, si mette in palestra e sogna a Cinque Cerchi, non si limita”.
Sei testimonial dell’Associazione Italiana Ricerca sul Cancro. Puoi raccontare perché hai deciso di divulgare il messaggio della prevenzione e della ricerca?
“Sono passati circa 10 anni ormai, da quando ho raccontato al mondo, dopo aver vinto i Mondiali di Catania nel 2011, quello che era stato il mio vissuto, a margine della finale vinta da campione del mondo. Ho potuto apprezzare sempre di più il lavoro dell’Associazione Italiana sulla Ricerca sul Cancro, trovandola seria, concreta, appassionata nella sua missione. Essendo io un ex malato, che sa di cosa si tratta, quando si parla di tumore, ne faccio un mio credo. Ogni volta che Airc chiama, rispondo sempre presente. Lo faccio per la mia seconda squadra. La prima è l’Aeronautica, la seconda è l’Airc. Do tutta la mia esperienza, se qualcuno mi chiede in che modo si può stare accanto ai malati e che tipo di supporto dare. Quando posso raccontare quanto è importante la ricerca lo faccio sempre volentieri. Siamo tutti appesi alla ricerca, aspettiamo il vaccino per uscire fuori dalla pandemia. Lo stesso supporto e lo stesso rispetto va dato ai ricercatori, quando si parla di cancro. Adesso ci siamo svegliati e ci siamo resi conto che la ricerca è importante. Non dimentichiamo che dietro le quinte, ogni giorno c’è chi lotta contro il cancro e le nuove neoplasie. Lo fa di nascosto senza grandi palcoscenici, ma ha bisogno del palcoscenico del supporto. La ricerca va sostenuta sempre. Non dobbiamo ricordarla solo quando si ha bisogno”.
Nel 2011 hai vinto la tua prima medaglia d’oro mondiale nella spada individuale e nella tua Catania. Quali sono state le emozioni più forti che hai provato allora? Dopo quella vittoria, hai raccontato di te e della tua esperienza durissima di salute.
“Un’emozione grandissima vincere da outsider e davanti ai miei genitori, a mia sorella e ai miei amici. E’ stato incredibile. Ho vinto tanti allori in carriera, ma farlo nella tua città e trovarsi nella sera stessa in una delle piazze più importanti della mia Catania, piazza dell’Università, acclamato da tuoi concittadini su un palco, è qualcosa che sembra un film bellissimo, se ci penso ancora oggi. La cosa più bella a margine, è stata quella di aver raccontato ai giornalisti, di essere passato attraverso una battaglia per la mia stessa vita, trainato dalla forza della mia famiglia tutta unita”.
A Londra 2012 sei arrivato ai piedi del podio. Poi a Rio 2016 ti sei ripreso la rivincita vincendo un argento a squadre. Probabilmente il sogno era l’oro olimpico, ma quali sensazioni ti ha trasmesso la medaglia avuta alle Olimpiadi?
“In tutta sincerità, per me non è mai stato un assillo l’oro olimpico. E’ stata una vera chimera conquistare la medaglia in sé. L’argento che ho in casa, è stato per me qualcosa che ha chiuso il cerchio di tutti i sogni che avevo da bambino, come atleta. C’è il vessillo dei Cerchi olimpici. E’ il segno di quanto sei stato bravo come atleta e di quanto hai saputo sfruttare la tua occasione. Non tutti riescono. Ho davvero chiuso un cerchio, con quella medaglia, che oltre il colore, era comunque un sogno ottenerla. Davvero ho fatto pace con il passato e con quella beffa di Londra dove la medaglia mi era sfuggita per poco. Dopo aver vinto la medaglia e dopo aver festeggiato con i miei compagni, mi sono chiuso in camera e sono scoppiato a piangere per sfogarmi e per buttare fuori tutta la fatica che avevo accumulato nei mesi durissimi. Anche quell’anno avevo perso il mio primo allenatore di spada in Nazionale Oleg Pouzanov. Se n’era andato in cielo prima delle Olimpiadi. Ho trovato poi dei coaches validissimi che mi hanno accompagnato ai Giochi. Però se l’ho pianto poco in quei mesi, con la medaglia al collo in camera da solo, ho trovato il mio momento per sfogarmi e ringraziarlo”.
Nel 2017 hai conquistato due medaglie importanti. Un argento e un oro, prima agli Europei e poi ai Mondiali di Lipsia. Il secondo titolo mondiale individuale. Un anno prezioso per te, quello..
“Il 2017 è stato magico. Il più bello della mia carriera. Ho dimostrato di essere il migliore nella spada, indiscutibilmente. Lo dico con cognizione di causa. Vincere può succedere, se hai la giornata di grazia. Ma confermarti campione del mondo è una cosa rara, soprattutto nella spada. A distanza ormai di tre anni riconosco la grandezza di quello che ho fatto insieme al mio staff e allenatori tutti, coloro che mi sono stati vicini. Qualcosa di grande. Un giorno potrò raccontare, alle mie figlie, una cavalcata rara e magnifica, con tutte le difficoltà che ci sono state”.
Qual è stata l’emozione più grande che hai vissuto come sportivo e come uomo?
“Come sportivo indubbiamente l’emozione più grande è stata quella di salire sul podio olimpico. Il ritorno a Casa Italia, dopo la gara, con la medaglia e con la squadra, è stato incredibile. Difficile da spiegare. Entrare a Casa Italia da medagliato e partecipare alla festa azzurra è stato qualcosa che ancora mi mette i brividi sulla pelle. Meraviglioso. Con tutti i personaggi più importanti dello sport, i miei idoli. E io tra loro. Ti fa capire che sei un atleta che nell’ambiente sportivo ha dato un contributo importante”.
Sin da bambino hai praticato sempre tanti sport diversi. Perché poi la scherma ti ha conquistato? E perché hai scelto la spada? Pensi che possa dare un messaggio valoriale ai giovani il tuo sport?
“Sicuramente ho praticato tanti sport. Quello che mi sento di consigliare ai giovani è provarne tanti, per fare esperienza e capire quello che fa per loro e quello che sentono dentro. La parola chiave è “passione”. Quando ho indossato la maschera in pedana, mi sono follemente innamorato dello sport, specialmente della spada. Dopo qualche anno ho capito che era la mia specialità, in seguito ad un inizio con il fioretto. La bellezza della scherma è duplice. Ti permette di girare immediatamente l’Italia nelle varie competizioni. Soprattutto ti mette di fronte alle tue capacità. Il maestro è molto lontano, quasi a una decina di metri, lo senti e no. Le gare sono lunghe e sei solo con ciò che sono le tue caratteristiche. Se hai coraggio puoi toglierti molte soddisfazioni in pedana, se hai paura l’avversario arriva a colpire prima di te. L’altro aspetto è che ci sono due gare: individuali e a squadre. Questo completa come persona. Devi cavartela da solo e devi calarti nel contesto delle gare a squadre, dove le dinamiche sono molto diverse. La consiglio spassionatamente.
E’ un ambiente pulito la scherma. Il rispetto è la prima cosa. Ogni volta che entri in palestra, la prima cosa che fai è salutare i maestri e gli allenatori. Non è scontatissima questa cosa. Alla fine di ogni assalto devi dare la mano al tuo avversario. Non esiste in tutti gli sport, tutt’altro. Il fair play è fondamentale da noi. Siamo ancora come gli antichi cavalieri, chiaramente quando metti la maschera tutti sono avversari e non si fanno sconti a nessuno”.
Che tipo di consiglio vuoi dare a chi sta lottando per la vita? Qual è secondo te, la forza del cuore di un atleta? E di una persona?
“Il consiglio diretto e chiaro è questo: darsi coraggio e dare coraggio a chi sta accanto a te. Non bisogna mollare, ogni crepa che si crea dentro te stesso è un punto di forza per la malattia. Qualunque essa sia. Bisogna essere integri il più possibile, essere uno scoglio contro il mare che in quel momento è in tempesta. Cercare di domarlo con l’aiuto della ricerca e della medicina, della famiglia, degli amici. Di tutti e di tutto ciò che serve. Sicuramente per chi la vive suo malgrado da protagonista, chi invece lo fa indirettamente, per chi sta accanto, dico che bisogna essere forti. C’è poco da fare. Se si vuole avere dei momenti di debolezza, senza farsi vedere, senza bisogno di mostrare che si sta soffrendo, non serve. La situazione è chiara a tutti. Bisogna avere coraggio ed essere assolutamente propositivi”.
(Il Faro online)(fotocopertina@AugustoBizzi)