Giornata Mondiale dei Poveri, il Papa: “Non lasciamoci contagiare dall’indifferenza”
In San Pietro la messa con cento poveri tutti provvisti di mascherine e il Pontefice bacchetta i fedeli che si attaccano “solo all’osservanza delle regole”, prendendosi solo “cura di sé stessi da non rischiare mai e finiscono come le mummie”
di FABIO BERETTA
Città del Vaticano – “Non illudiamoci dicendo: ‘C’è pace e sicurezza!’. Non lasciamoci contagiare dall’indifferenza”.
E’ il monito di Papa Francesco che arriva dal pulpito della basilica di San Pietro in Vaticano dove stamane, all’Altare della Cattedra, presiede la Santa Messa in occasione della IV Giornata Mondiale dei Poveri, istituita dallo stesso Bergoglio.
Alla celebrazione partecipa una rappresentanza di persone povere e indigenti, insieme ai volontari che li accompagnano e ad esponenti delle realtà caritative che li assistono quotidianamente. Sono circa 100 le persone simbolicamente presenti in basilica in rappresentanza di tutti i poveri del mondo, oltre a volontari e benefattori.
Le letture saranno proclamate da alcune persone che ogni giorno vengono assistite dalle differenti associazioni caritative. Concelebrano la liturgia con il Papa il presidente del Pontificio Consiglio per la Nuova evangelizzazione, mons. Rino Fisichella, e i sacerdoti officiali del Dicastero.
Nell’omelia, il Pontefice ripercorre e spiega la parabola dei talenti narrata nel brano del Vangelo odierno (Mt 25,14-30). Un racconto che “ha un inizio, un centro e una fine, che illuminano l’inizio, il centro e la fine della nostra vita”.
Non cedere alla tentazione del “magari”
“Tutto comincia da un grande bene: il padrone non tiene per sé le sue ricchezze, ma le dà ai servi; a chi cinque, a chi due, a chi un talento, ‘secondo la capacità di ciascuno’. Anche per noi tutto è cominciato con la grazia di Dio – tutto, sempre, incomincia con la grazia, non con le nostre forze – che è Padre e ha messo nelle nostre mani tanto bene, affidando a ciascuno talenti diversi”.
“Siamo portatori di una grande ricchezza, che non dipende da quante cose abbiamo, ma da quello che siamo: dalla vita ricevuta, dal bene che c’è in noi, dalla bellezza insopprimibile di cui Dio ci ha dotati, perché siamo a sua immagine, ognuno di noi è unico e insostituibile nella storia! Così ci guarda Dio, così ci sente Dio”, aggiunge.
E ammonisce: “Quant’è importante ricordare questo: troppe volte, guardando alla nostra vita, vediamo solo quello che ci manca e ci lamentiamo”. Francesco mette quindi in guardia dalla “tentazione del magari!”: “magari avessi quel lavoro, magari avessi quella casa, magari avessi soldi e successo, magari non avessi quel problema, magari avessi persone migliori attorno a me!”.
“Ma l’illusione del ‘magari’ ci impedisce di vedere il bene e ci fa dimenticare i talenti che abbiamo. Sì, tu non hai quello, ma hai questo, e il ‘magari’ fa sì che dimentichiamo questo. Ma Dio ce li ha affidati perché conosce ognuno di noi e sa di cosa siamo capaci; si fida di noi, nonostante le nostre fragilità”.
“Com’è vuota una vita che insegue i bisogni, senza guardare a chi ha bisogno!”
Il centro della parabola “è l’opera dei servi, cioè il servizio”. Il servizio, spiega, è “quello che fa fruttare i talenti e dà senso alla vita: non serve infatti per vivere chi non vive per servire”. “Ma qual è lo stile del servizio?”, si domanda Francesco. La risposta è nel Vangelo, dove si legge che “i servi bravi sono quelli che rischiano. Non sono cauti e guardinghi, non conservano quel che hanno ricevuto, ma lo impiegano. Perché il bene, se non si investe, si perde; perché la grandezza della nostra vita non dipende da quanto mettiamo da parte, ma da quanto frutto portiamo”.
“Quanta gente passa la vita solo ad accumulare, pensando a stare bene più che a fare del bene. Ma com’è vuota una vita che insegue i bisogni, senza guardare a chi ha bisogno! Se abbiamo dei doni, è per essere noi doni per gli altri – aggiunge a braccio -. E qui, fratelli e sorelle, ci facciamo la domanda: io seguo i bisogni, soltanto, o sono capace di guardare a chi ha bisogno? A chi è nel bisogno? La mia mano è così (la stende aperta, ndr.) o così (la ritrae chiusa, ndr.)?”.
“Per il Vangelo non c’è fedeltà senza rischio. Essere fedeli a Dio è spendere la vita, è lasciarsi sconvolgere i piani dal servizio. È triste quando un cristiano gioca sulla difensiva, attaccandosi solo all’osservanza delle regole e al rispetto dei comandamenti – ammonisce ancora il Papa -. Quei cristiani ‘misurati’ che mai fanno un passo fuori dalle regole, mai, perché hanno paura del rischio. E questi, permettetemi l’immagine, questi che si prendono cura così di sé stessi da non rischiare mai, questi incominciano nella vita un processo di mummificazione dell’anima, e finiscono mummie”.
“Come dunque servire secondo i desideri di Dio? – aggiunge – Il padrone lo spiega al servo infedele: ‘Avresti dovuto affidare il mio denaro ai banchieri e così, ritornando, avrei ritirato il mio con l’interesse’. Chi sono per noi questi ‘banchieri’, in grado di procurare un interesse duraturo? Sono i poveri. Non dimenticate: i poveri sono al centro del Vangelo; il Vangelo non si capisce senza i poveri. I poveri sono nella stessa personalità di Gesù, che essendo ricco annientò sé stesso, si è fatto povero, si è fatto peccato, la povertà più brutta”.
“I poveri ci garantiscono una rendita eterna e già ora ci permettono di arricchirci nell’amore. Perché la più grande povertà da combattere è la nostra povertà d’amore. La più grande povertà da combattere è la nostra povertà d’amore”, prosegue.
Si avvicina il tempo del Natale, il tempo delle feste. Quante volte, la domanda che si fa tanta gente è: “Cosa posso comprare? Cosa posso avere di più? Devo andare nei negozi a comprare”. Diciamo l’altra parola: “Cosa posso dare agli altri?”. Per essere come Gesù, che ha dato sé stesso e nacque proprio in quel presepio.
Il “grazie” del Papa a don Roberto Malgesini
“Arriviamo così al finale della parabola: ci sarà chi avrà in abbondanza e chi avrà sprecato la vita e resterà povero”. In altre parole, “alla fine della vita sarà svelata la realtà: tramonterà la finzione del mondo, secondo cui il successo, il potere e il denaro danno senso all’esistenza, mentre l’amore, quello che abbiamo donato, emergerà come la vera ricchezza. Quelle cose cadranno, invece l’amore emergerà”.
Infine, il Papa ringrazia “i tanti servi fedeli di Dio, che non fanno parlare di sé, ma vivono così, servendo. Penso, ad esempio, a don Roberto Malgesini”, il sacerdote ucciso da clochard a Como (leggi qui). Questo prete non faceva teorie; semplicemente, vedeva Gesù nel povero e il senso della vita nel servire. Asciugava lacrime con mitezza, in nome di Dio che consola”.
“L’inizio della sua giornata era la preghiera, per accogliere il dono di Dio; il centro della giornata la carità, per far fruttare l’amore ricevuto; il finale, una limpida testimonianza del Vangelo. Quest’uomo aveva compreso che doveva tendere la sua mano ai tanti poveri che quotidianamente incontrava, perché in ognuno di loro vedeva Gesù”, conclude.
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