50 anni della Wkf, Talarico: “Una vita nel karate, con il cuore di bambino per le Fiamme Gialle”
Si racconta l’ex capitano gialloverde, dal 1986 al 2005 nel team gialloverde. Le vittorie agli Italiani e le medaglie mondiali. La commozione in Coppa del Mondo e il ringraziamento a se stesso
Torino – Quando Gennaro invia le sue risposte a Il Faro online, in quella stessa giornata, posta una foto importante sulla sua pagina personale Facebook. Indossa una speciale felpa. Con i colori della sua vita sportiva. Con quei colori Talarico ha vinto la Coppa del Mondo, i Giochi del Mediterraneo e una quantità di medaglie, che neanche lui sa quantificare. Con la squadra del Gruppo Sportivo delle Fiamme Gialle, l’allenatore della Nazionale giovanile Fijlkam nel 2020, ha girato l’intero globo ed è andato in Nazionale, dove ha conquistato titoli, allori, riconoscimenti. E in quella foto Gennaro è fiero. È orgoglioso. Sorride con quell’ok di condivisione per i suoi amici, che mostra una soddisfazione senza pari. Ha fatto parte del team più vincente al mondo, plurimedagliato, pluridecorato e preso da esempio nel mondo del karate. L’ex campione iridato e campione europeo diffonde il suo amore per la divisa gialloverde. Per il karategi delle Fiamme Gialle, con cui sin da ventenne, ha vinto come atleta ed è cresciuto come uomo.
Il Karate Fiamme Gialle Day: a Castel Porziano come un bambino alle giostre. Il saluto al tatami come capitano, il momento più commovente
Si racconta il Maestro del Talarico Karate Team di Torino, dojo fondato da lui stesso, che oggi vanta una infinità di atleti iscritti e numerose medaglie internazionali vinte. Tutte frutto della sua esperienza come atleta. Nell’anno in cui la World Karate Federation festeggia il suo Cinquantenario, prosegue il viaggio de Il Faro on line tra i grandi campioni, che hanno fatto la storia della disciplina. Gennaro ha fatto parte di quegli anni della Federazione Mondiale. Classe 1965, sin da ragazzino la passione per il karate lo ha preso per mano e portato lontano. Nel 1986 fu contattato dall’ex direttore tecnico del settore karate delle Fiamme Gialle, Claudio Culasso, che lo portò in squadra. Un’appartenenza che lui sente ancora vivissima oggi. Una seconda pelle. Il sangue che scorre nelle vene, il respiro a pieni polmoni. La gioia più grande della sua vita. Un mare di ricordi in mente, che non riuscirebbe a far uscire neanche se volesse. In questo modo descrive il suo amore per le Fiamme Gialle.
Quasi 20 anni di passione con la squadra della Guardia di Finanza. E capitano, sempre. Quel riconoscimento confermatogli da Culasso, durante il Karate Fiamme Gialle Day del 2016 a Castel Porziano, lo ha commosso. Ancora lì, a distanza di anni e con tanti atleti, che prima e dopo di lui, avevano vestito quei colori, Talarico ha aperto l’allenamento da capitano, con il saluto al tatami, ai maestri (di fronte a lui Claudio Culasso e Massimo Di Luigi) e insieme ai compagni, accanto. E’ un ricordo indelebile per lui. E conserva le foto gelosamente, sfogliando l’album dei ricordi, facendo riaffiorare momenti, esperienze e medaglie.
Il karate contro il Covid-19. La Fijlkam e i suoi protocolli. Il Talarico Karate Team si allena nei box virtuali
Non è facile oggi continuare sulla strada del karate. In questo 2020 della pandemia mondiale, gli sport da contatto sono fortemente penalizzati. E non è semplice per il Talarico Karate Team continuare gli allenamenti. Per fortuna, come lui stesso dice, la Fijlkam è intervenuta tempestivamente, garantendo il prosieguo delle attività in tutta Italia. Gli atleti hanno uno spazio tutto loro in cui muoversi. 8 mq di sicurezza, in cui la normalità messa a rischio del Covid-19, cerca di essere tale, nonostante i provvedimenti presi. Lui stesso controlla, allena e cerca di far rispettare le regole. E’ un allenatore che ascolta Talarico. E’ vicino ai suoi ragazzi degli anni 2000. Non è d’accordo con chi, da pensiero comune, li ritenga che non abbiano voglia di fare e di costruire il futuro. Si rivede in quei ragazzi e si chiede che cosa lui sarebbe stato oggi, a questa loro età difficile, in cui nel nuovo millennio una pandemia minaccia e mette tutto in discussione. E’ proprio grazie a questa sua attitudine di essere accanto agli atleti, che da bordo tatami e in Nazionale può aiutare, consigliare e intervenire. Ogni volta fa un tuffo nel suo passato da campione, dove ha vinto, affrontato e imparato. Ed estrapola esperienza, trasmettendola agli allievi. Alcuni riescono ad avere quella sua attitudine di studiare il proprio avversario in pochi attimi e prevedendo movimenti, rispondendo ad essi con tempestività. Riesce ad insegnare questo. Anche se poi ogni atleta ha le proprie qualità. Con cui nasce e cresce. E queste doti al Talarico atleta e giovanissimo, gliele riconobbe un “nemico” di tatami.
Le gare ai Campionati Italiani contro i Carabinieri e il pianto liberatorio in Coppa del Mondo
Sono storiche le sfide ai Campionati Italiani a squadre tra le Fiamme Gialle e i Carabinieri. Sono le competizioni più ricordate, più commentate e più vissute. Le medaglie ottenute in questa sfida all’ultimo colpo di guantino nel kumite, valgono di più, persino di quelle mondiali. Non solo in quegli anni di sport praticato, ma anche oggi, negli anni dello sport ricordato. E Gianluca Guazzaroni glielo disse. Gennaro era un atleta che faceva la tac al proprio avversario sul tatami durante il combattimento, rispondendo colpo su colpo in automatico. Come faceva? Probabilmente ci è nato il pluricampione iridato e continentale delle Fiamme Gialle e della Nazionale Italiana. Uno dei grandi atleti della Wkf. E con lacrime di gioia, che scendevano dagli occhi, tutte le volte che quella vittoria arrivava. Con un vissuto alle spalle, di particolare dolore o di tanti ostacoli superati. Nel 1997 a Manila Talarico vinse la Coppa del Mondo.
Un torneo iridato che non era il Mondiale, ma più complicato di esso in termini di livelli tecnici avversari. Lo vinse Gennaro e pianse come un bambino. Si era allenato poco un anno prima. Il trasferimento a Torino, l’addestramento alla Caserma della Guardia di Finanza dell’Aquila e poi il ritorno sul tatami. Anche un problema cardiaco lo aveva frenato. Il settore medicina del Coni lo aveva bloccato per una pericardite, sorta dopo una broncopolmonite curata non bene. La sofferenza di un atleta in questi casi è indescrivibile, ma Talarico, alle Fiamme Gialle vittorioso di un titolo mondiale e da capitano distaccato dal Piemonte, ha messo sul tatami il talento, la volontà, la rivalsa. E il suo stato d’animo in questo modo si è mostrato. Con un pianto. E con la gioia del bambino al Luna Park.
Una emozione che ritorna per Gennaro, probabilmente. La stessa cosa era accaduta pure al Karate Day del 2016. Un evento fantastico alle Fiamme Gialle. In questo modo lo definisce. Dall’idea di Culasso di celebrare 40 anni di karate gialloverde insieme agli atleti di 4 generazioni diverse, festeggiando anche il suo congedo definitivo dal Corpo, quella giornata storica Gennaro l’ha vissuta come il bambino sulle giostre, che guarda intorno a sé e stropiccia gli occhi per la meraviglia. E le meraviglie viste erano i volti dei compagni rivisti e risalutati. Una giornata memorabile, ferma nel cuore, per sempre. Che viene spesso ricordata tra gli appartenenti della squadra. Su whatsapp, nel gruppo che Talarico ha formato dopo l’evento del gennaio 2016, si ritrovano compagni di una volta e amici ancora degli anni della Fijlkam.
Il grazie verso se stesso, Claudio Culasso e la moglie Patrizia. La passione per il karate che lo ha portato lontano. Innamorato come un bambino
Oggi Gennaro ha tre persone speciali da ringraziare. Prima di tutto se stesso. Senza nulla togliere agli altri. Ci tiene a precisare. La sua tenacia, la sua costanza nel mantenere alti livelli, nell’età giovanile e lontano dalla Caserma, con tutte le distrazioni possibili, lo hanno aiutato ad essere l’uomo che è oggi. Ma la persona che è diventata la deve al suo Maestro di tatami. Il suo scopritore che nel 1986 lo portò alle Fiamme Gialle. Claudio Culasso lo ha atteso, coccolato e compreso. E insieme hanno costruito quella miriade di medaglie con contano un palmares che va oltre i 52 allori conquistati (un oro ai World Games, un oro in Coppa del Mondo, 4 titoli europei, 4 bronzi italiani e 23 ori nazionali, di cui 5 a squadre di seguito). Da far girare la testa agli appassionati di karate. E allora un ringraziamento speciale va a Claudio. Ma anche a sua moglie Patrizia. Una “moglie” presente da sempre, sin da ragazzini. Quando si incontrarono Gennaro aveva 17 anni e la sua compagna della vita lo ha supportato e sopportato e oggi festeggiano più di 30 anni di convivenza insieme, con due splendide figlie a cui raccontare gesta sportive, in giro per il mondo.
Si racconta Talarico. Dalla pandemia, ai provvedimenti per le società sportive, tra cui quella sua di Torino. Le Fiamme Gialle, la Nazionale e il suo carattere calcolatore e mai domo sul tatami. Mai mancato il podio in carriera. Gennaro è il campione con questa attitudine sportiva. Raramente non saliva a mettersi medaglie al collo sul podio. Lo ha fatto invece innumerevoli volte, anche quando lontano dalla sede delle Fiamme Gialle, il campione si allenava da solo, sognando nuovi traguardi da conquistare. Uno che sfilerebbe di diritto sul red carpet della Hall of Fame della Wkf. Un campione che ha dato il cuore sul tatami, ma anche le sue lacrime. La gioia di un bambino, l’amore di una persona nata per praticare il karate.
Caro Gennaro, cominciamo dal 2020. La diffusione della pandemia ha condizionato pesantemente l’attività sportiva. Come viene praticato il karate nei protocolli Fijlkam?
“Un plauso alla Fijlkam. E’ intervenuta tempestivamente in aiuto delle società sportive. All’idea di una riaperta (sto parlando di maggio), la Federazione ha organizzato dei webinar con professionisti, con cui ha lavorato per creare dei protocolli che potessero essere considerati “sicuri” dal Governo. La parte iniziale è uguale per tutte le strutture al chiuso (misurazione febbre, assenza di sintomi evidenti, igienizzazione mani). Per le palestre è stato indicato di creare dei box virtuali per garantire il distanziamento, a disposizione per ogni atleta. Spazi che poi si sono modificati in virtù di un calo della pandemia. Erano larghi 8 mq per atleta, in modo che gli altri praticanti di fianco avessero sempre due metri di distanza. Dipendeva poi dall’intelligenza del tecnico far fare degli esercizi che assicurassero l’allenamento sincrono a distanza. Ha consentito a noi operatori di karate, judo e lotta di poter riaprire l’attività in sicurezza. Non avevamo idea di come poter operare, la Federazione ha fatto un grande lavoro”.
Quale potrebbe essere secondo te un rimedio per permettervi di svolgere in tranquillità e in sicurezza la pratica sportiva?
“Non credo di essere un tale professionista per rispondere. Come sport di contatto siamo a rischio. Rimedi semplici. E’ quello di non avere rischi. Restiamo con le linee guida della Fijlkam. Box virtuali con atleti che operano all’interno, con minore possibilità di scambio. Tuttavia il sudore, l’areazione forzata e tutta una serie di situazioni rendono impossibile, che non ci sia uno scambio tra i due atleti. Rimane allora il distanziamento la soluzione principale. Prima dell’attuale fase della pandemia, la Fijlkam aveva indicato la formazione di “una coppia di ragazzi” per gli allenamenti, che non potesse essere modificata mai. Sempre e solo formata dalle stesse persone. Fissa. In modo di avere poi, nel caso che uno dei due contraesse il virus, segnalare il partner. Il virus veniva circoscritto a due persone. Questo è il protocollo che si può ancora usare. Ma attualmente, essendo in una fase evolutiva lo scambio è rischioso. Restare con il distanziamento è l’unica cosa ci consente di andare avanti”.
Sei stato uno dei grandi atleti del karate mondiale. Qual è l’insegnamento più importante che hai ricevuto? Cosa trasmetti ai tuoi allievi, riguardo a questo?
“Ho ricevuto tanti insegnamenti. Sono uno dei primi che ha combattuto fino a 36 anni. E’ un’età matura. Già il fatto di essere arrivato fino a tanto.. può essere un insegnamento per me. Una cura del proprio fisico, dello stato mentale. Entrambi mi hanno fatto arrivare a questa età. Mi sono sempre sentito un professionista con obiettivi chiari, man mano che facevo esperienza. Sono stato l’unico trasferito a casa, anche se la sede del Gruppo Sportivo era a Roma. Mi sono allenato da solo con dei partner “normali” per tanti anni. E’ stato difficile mantenere alti livelli, lontano dalla sede della squadra. Senza obblighi precisi da mantenere, come accade in un Gruppo Sportivo. Me li sono creati io gli obblighi. Questo mi ha aiutato a crescere, strutturavo la mia vita in modo da poterli raggiungere. Cerco di insegnare questo ai miei allievi. Il destino te lo crei. Credo che ogni ragazzo indirizzato e aiutato a creare dei propri obiettivi, li possa raggiungere. Ci sono anche delle qualità di base. Non tutti possono diventare campioni mondiali o olimpici. L’esperienza data in questi anni di professionismo mi serve ancora oggi, in virtù di un insegnamento che ho fatto su di me. E l’esperienza me la sono costruita da solo”.
Sei anche allenatore della Nazionale giovanile Fijlkam di karate. Come è la tua esperienza con i giovani azzurri? Che tipo di allenatore hanno a bordo tatami, con te?
“Dal 2001 sono allenatore della Nazionale. Da quando ho smesso come atleta. Sono stato subito catapultato sia negli juniores che nei senior. Ho fatto poi un po’ di pausa e sono rientrato. Adesso sono anche con la Nazionale giovanile. Mi piacciono molto i miei ragazzi azzurri. Non credo al pensiero comune dei ragazzi che non hanno voglia.. non è vero. Sono generazioni diverse, con vite diverse. E’ una ruota. L’anziano ha sempre criticato le generazioni precedenti e anche adesso sta accadendo. I ragazzi sono gli stessi, come quelli di 30 anni fa, solo che negli anni 2000 vivono in un contesto diverso. Come ogni generazione cresce e ha una evoluzione. Vivono in un momento in cui hanno decisamente delle situazioni che li coinvolge, devono saperle gestire. Per noi era diverso. Hanno una superiorità di analisi rispetto a noi. Cosa faremmo noi oggi, come ragazzi? Mi faccio sempre questa domanda. Ecco perché ci vado d’accordo. La formula di educatore resta in primis in un contesto sportivo, abbiamo a che fare con giovani che vanno in attività di gara dai 14 ai 18 anni, ma a livello formativo partiamo dai 12, sono davvero dei bambini. E’ importante dare loro dei punti di riferimento. Come allenatore posso dire (in maniera un po’ presuntuosa) che oggi hanno dei tecnici come me. Questi ultimi hanno un passato con cui hanno costruito un presente, conoscono la materia. A bordo tatami hanno seduto un ex atleta. Come tale so entrare nella testa degli atleti. Come coach, spessissimo, combatto con loro, entro nella loro mentalità e mi rendo conto quando un ragazzo è in difficoltà e non è in grado di gestire un combattimento. Intervengo e posso dare il mio contributo. E’ automatico farlo e succede quando crei una certa empatia con i ragazzi, devi vivere con loro in simbiosi. Cercando di aiutarli”.
Dal 1986 hai fatto parte della squadra di karate più premiata al mondo, le Fiamme Gialle. Quali sono i ricordi più belli? Quali legami di amicizia hai stretto? Vi sentite ancora tra voi ex atleti?
“Ne ho talmente tanti di ricordi che bisognerebbe catalogarli. A differenza di molti ex atleti che hanno fatto solo 18 mesi o tre anni, io dal 1986 al 2005, che sono stato alla Guardia di Finanza, vanto 19 anni di esperienza. E’ impossibile ricordare tutto. Ma c’è stato un momento in cui le lacrime sono venute fuori. Avevamo il Campionato Italiano che era la fissa delle Fiamme Gialle. Era come un campionato di calcio. Il torneo a squadre era tutto per noi. Essere campioni italiani a squadre significava aver vinto il titolo. Tu potevi essere campione italiano individuale, ma con la squadra era un’altra cosa. Arrivavamo da una serie di sconfitte un po’ burrascose. Non riuscivamo a venirne fuori, nella sfida diretta con i Carabinieri. Noi siamo la prima squadra che ha vinto poi 5 titoli di seguito, questo resta un primato imbattuto. Successe che vincemmo a Ostia, ad un campionato italiano veramente difficile. Le Fiamme Gialle e i Carabinieri erano ben attrezzate, non era semplice vincere. Vennero una buona parte di allievi finanzieri, compreso il nostro Comandante, un tifo da stadio. Mi viene la pelle d’oca a distanza di tanti anni. Vincemmo il titolo e piansi come un bambino, per la mia felicità. Questo voleva dire per me far parte delle Fiamme Gialle. Ho vinto tanti titoli nel mondo, ma quel torneo a squadre andava oltre. Combattevamo tutti insieme per un unico obiettivo. Un’esperienza che non dimenticherò mai. Farebbe fatica ad uscire dalla mia testa. Sono passati 35 anni, ma ho dei ricordi vivissimi. Mi ricordo la caserma, la stanza, i compagni. Momenti in cui andavamo in mensa e quelli condivisi negli allenamenti. Ho perso un po’ di contatti perché vivevo a Torino e mi trovavo con loro per delle scadenze stabilite per le gare. Ad un certo punto, la vita di caserma l’ho persa, ma posso dire che malgrado ne fossi lontano, ero sempre vicino al gruppo. Con la Nazionale oppure con la squadra per preparare le gare avevo il mio posto in Caserma. Ma mi perdevo la quotidianità tipica di un Gruppo Sportivo, che fa la differenza.
I legami di amicizia sono fortissimi. Dopo il Karate Fiamme Gialle Day ho costituito un gruppo su whatsapp nel quale continuiamo quotidianamente a scambiarci opinioni, battute, scherzi. Siamo persone che abbiamo amato la stessa disciplina. Abbiamo unito il nostro sapere, per condividerlo. Ho un rapporto bellissimo con tutti i miei compagni e ci sentiamo grazie ai social. Con qualcuno di più e con altri di meno. Oltre a questo contesto ci si sente, ma sono quelli con cui ho stretto contatti attuali in Federazione. Davide Benetello, Massimiliano Ferrarini, Stefano Maniscalco. Ci si vede con quelli che hanno coltivato questa passione. Altri si sono un po’ allontanati dalla parte pratica, ci si vede in maniera più sporadica. Ma ci sentiamo grazie al gruppo di whatsapp”.
Nel 2016 si è svolto il Karate Fiamme Gialle Day a Castel Porziano. Come lo hai vissuto tu? Sei stato felice di rivedere i vecchi compagni di squadra?
“Qualcosa di fantastico. Rivedere tutti, il passato, il mio presente e il futuro, di quello che è il Gruppo Sportivo delle Fiamme Gialle, è stato qualcosa di unico. Nel dire la verità, ho vissuto quella giornata come il bambino che viene portato al Luna Park, felice di essere insieme a tutti, nello stesso momento. A ricordarci quello che è stata la passione comune. Il momento più bello è stato in palestra, quando eravamo tutti in karategi e c’è stato un momento particolare. Quando, malgrado il Gruppo Sportivo Karate vive dal 1977, da quando Claudio Culasso lo creò fattivamente come squadra e sono stati moltissimi gli atleti che ne hanno fatto parte, Claudio ha ritenuto che fossi io dover fare il saluto.
Il capitano di sempre delle Fiamme Gialle. Mi ha davvero gratificato. Quanti atleti, con risultati importanti ci sono stati nel tempo (Luca Valdesi, Lucio Maurino, Davide Benetello, Giuseppe Di Domenico ad esempio).. tuttavia, la figura del capitano che mi è stata riconosciuta, è stato un momento particolare per me. Una di quelle situazioni che gratificano, per quello che hai fatto e per quello che le persone riconoscono tu abbia fatto. Me la porterò per tutta la vita e oltre. Non c’è cosa più bella di avere un merito per tuoi “meriti” personali. Mi è piaciuto molto in quel giorno. Ma rivederli tutti è stato bello. Sembra un passato un secolo ma è tangibile come fosse ieri. Ci siamo fatti un sacco di foto che conservo in maniera scrupolosa da parte. Ringrazio ancora Claudio per l’impegno con cui ha voluto creare questo momento. Lui è il nostro collante, rappresenta le Fiamme Gialle a 360 gradi. E’ un punto di riferimento. Ha creato tutti noi. Non si deve mai dimenticare questa cosa”.
Che atleta eri? Quali erano le tue caratteristiche sul tatami? Come mai hai scelto poi di praticare il kumite?
“Mi devo rivalere su ciò che gli altri pensavano di me. Io posso avere una mia opinione, ma in fondo vale come zero. E’ quello che tu trasmetti, è quello che gli altri vedono di te che può spiegare chi sei. Quello che si vede. Sul tatami non ero uno che faceva spettacolo, non sono mai stato un atleta da “wow”. Il mio “wow” me l’ha fatto riconoscere una volta Gianluca Guazzaroni, nemico di tappeto (Gruppo Sportivo Carabinieri) ma persona esemplare fuori dal tatami. Mi disse che il mio modo di combattere lasciava a bocca aperta. Avevo uno stile talmente studiato che mettevo in difficoltà tutti, per il semplice fatto che gli altri non sapevano cosa fare. Ero un calcolatore. Per cui ad ogni azione che veniva fatta, io avevo una controreazione. Lo spettacolo era intrinseco nel modo di gestire la gara. Tanto è vero che il Dott. Franco Franchi, mancato tantissimi anni fa, mi chiamò “la testa pensante del karate”. Già da ragazzino avevo un modo di gestire molto oculato. Facevo la tac al mio avversario e capivo subito chi avessi davanti. E ci lavoravo.
Una capacità che mi ha portato a combattere fino a 36 anni. Ho sviluppato questo modo di gestire il combattimento ed è tuttora quello che sto cercando di trasmettere ai miei allievi, ma è una cosa intrinseca, indotta nei confronti di essi, però gliela sto insegnando. E devo dire che qualcuno sta prendendo in qualche modo da me. Non è facile. L’arte del combattere la puoi studiare, ma quello che fa la differenza è la pratica. Se non riesci ad avere qualcosa di tuo, difficilmente vai tanto avanti. Questo sono un po’ io sul tatami. Quando ho cominciato a fare karate non c’era questa grande distinzione tra kata e kumite. Ero di un’altra federazione che oggi vive nel tradizione (la Fikta) lì era un po’ più basico il karate. E io facevo sia il kata che il kumite. Non ho scelto il kumite dall’inizio, ma ho iniziato con entrambi. Ho fatto un campionato italiano sia di kata che di kumite, quando ero ragazzino, ero alle prime armi. Feci il primo torneo italiano con il kumite e lo vinsi. Volli approfondire il combattimento. Quando ci fu la prima chiamata in Nazionale vidi un altro mondo. C’erano Lentini, Degli Abbati, D’Agostino per le Fiamme Gialle, Simmi, Guazzaroni dei Carabinieri. Questa è stata la squadra iniziale mia della Nazionale. Nomi blasonati che negli anni fecero grandi risultati. Il mio approccio fu con loro. E vidi un modo diverso di interpretare il combattimento. Mi feci qualche domanda e ci riflettei. Proseguì con gli insegnamenti che ebbi in Nazionale. Cambiai il mio modo di combattere e lo trasmisi ai miei compagni. Pian piano arrivò la chiamata in Fiamme Gialle, allora è cambiato davvero il mio mondo. E da lì è partito tutto e con tutto un altro sistema”.
Hai vinto una quantità incalcolabile di medaglie. Sei stato uno dei karateka più vittoriosi. Come giudichi la tua carriera? Qual è stata l’emozione più bella in Nazionale? Ricordi una gara che ti è rimasta nel cuore?
“Raramente ho mancato il podio. E’ capitato, ma l’ho fatto poco. Una delle caratteristiche della carriera Talarico. L’ho iniziata tardi, però. Avevo 12 anni. Oggi a 12 anni sei già un esordiente. Ho vinto il mio primo titolo italiano a 17 anni, oggi a questa età devi aver fatto già 4 o 5 campionati italiani. A 19 anni ero in Nazionale, a 20 anni con le Fiamme Gialle ho iniziato a costruire un repertorio tecnico di livello. Poi ho avuto una perdita di tempo, quando mi sono trasferito a Torino. Dal 1990 sono stato atleta fisso della Nazionale e questo fino al 2001, quando poi ho smesso. Sono stati 12 anni vissuti nel karate in maniera continuativa, tutto il grosso l’ho fatto proprio in quei 12 anni. Intensi, concreti e concentrati.
L’emozione più bella in Nazionale.. ho un po’ di secondi posti nel mio palmares. La mia bestia nera era Wayne Otto con cui ho perso parecchie finali. E all’encho sen. Tranne una. Il combattimento finiva pari, poi c’era un extra time di un minuto. Le ho perse tutte così. Mi fa arrabbiare ancora adesso. Erano altri tempi, ma.. mi tengo i miei secondi posti. Nel 1997 vinsi la Coppa del Mondo. Venivo da uno stop forzato dal Coni per un problema cardiaco, avuto per una broncopolmonite, non curata bene. Saltai delle gare, prima. Quando tornai sul tatami, sempre in quell’anno, vinsi i Giochi del Mediterraneo a Bari, torneo di notevole importanza per la Fijlkam. Ecco poi la Coppa del Mondo a Manila. In quell’occasione piansi decisamente come un bambino per la vittoria. Già all’epoca avevo due terzi posti al Campionato del Mondo. Questa vittoria mi portava sul primo gradino mondiale, dopo una faticosa rincorsa. Nel 1996 feci bronzo al Mondiale in Sud Africa, all’Europeo feci argento. L’anno in cui passai sei mesi all’Aquila per l’addestramento, senza potermi allenare. Sono partito per il Mondiale e arrivai terzo. Diversa dal Mondiale, poteva essere la Coppa del Mondo, ma non semplice come il torneo iridato.
La conquista di essa mi ha lasciato davvero contento. Mi sono tolto lo spauracchio dell’argento e del bronzo, ed ecco la medaglia d’oro mondiale. Posso dire che mi è rimasta nel cuore. I Giochi del Mondo furono l’ultima gara ufficiale che feci, ero stato in dubbio fino all’ultimo. Qui ho deciso di smettere, l’ho fatto quella mattina. Prima di fare la finale però, mi feci male all’anca. Non riuscivo più a muovermi e piangevo come un disperato, in un angolo. A 36 anni. Aschieri chiese perché piangessi. Io risposi che non volevo arrivare secondo, per un incidente simile. Mi portò da un medico che mi fece l’anestetico e feci la gara. Non sentì dolore e vinsi contro un giapponese, in Giappone. Forse l’unico italiano ad averlo fatto. Vinsi i Giochi del Mondo. Avevo deciso di smettere e l’ho fatto in bellezza. Meglio di così non poteva andare. Un’altra gara svolta tra eventi particolari accaduti. Hanno fatto risaltare il suo significato”.
C’è una persona che devi ringraziare o dedicare la tua carriera? Chi è oggi Gennaro Talarico?
“Poche e molte persone da ringraziare. Devo ringraziare davvero tutti, ma soprattutto la mia tenacia, senza togliere nulla a nessuno. Sfido chiunque a essere solo a casa per tanti anni e mantenere un tale alto livello, da raggiungere risultati altissimi. Avere la forza di una continuità, ad un’età giovane e con le distrazioni tipiche, mantenere una certa serietà, determinazione nel raggiungimento degli obiettivi. Per le persone terze, ringrazio naturalmente Claudio Culasso. La persona che mi ha dato la possibilità di essere oggi quello che sono, senza di lui che mi volle alle Fiamme Gialle, dopo un anno. Volevo diplomarmi ..ebbi questa genialata all’epoca di dire di voler aspettare la fine delle superiori. Quell’anno poteva succedere di tutto, se ci ripenso che ho rimandato di un anno quella esperienza.. (anche se il diploma scolastico è stato importante per laurearmi) potevo avere incidenti, ridurre il numero degli atleti in Fiamme Gialle, poteva subentrare un atleta che mi occupasse il posto.. ho rischiato tantissimo. Culasso è stato di parola. Lo ringrazio per tutto quello che ha fatto per il Gruppo Sportivo e per me, per quanto ci teneva alla persona, con il mantenimento a distanza, il riconoscimento del ruolo di capitano, anche alla fine di carriera. sportivamente Claudio mi ha dato tutto quello che ho, oggi. Non posso ovviamente non ringraziare mia moglie. Chiunque mi conosce sa che sono sposato con Patrizia. Con lei ho festeggiato più di 30 anni di convivenza. Avevo 17 anni quando ci siamo incontrati. Lei ha vissuto tutta la mia carriera. Se non hai a fianco una persona che ti lascia vivere il tuo mondo in serenità, senza pressioni, non vai da nessuna parte. Sono molte le persone che hanno dovuto lasciare la loro passione, e poi pentite di questo, per il partner, che non ha assecondato. Mia moglie mi ha aiutato a vivere totalmente, con tutto l’impegno che ci voleva. Ho avuto due figlie presto, ancora da atleta. Vuol dire che una donna si deve sobbarcare la gestione dei bambini, quando tu non ci sei. La giornata era sempre dedicata all’allenamento e il fine settimana andavamo alle gare. Grazie a Claudio Culasso, grazie a me, grazie a mia moglie Patrizia. Per avermi supportato e sopportato nella mia carriera.
Oggi sono un tecnico che ama fare quello che sta facendo. Lo fa con passione, con diligenza, con programmazione. Ho un club che ho costruito nel 2011 e posso dire con vanto che in pochi anni ha sfornato campioni che hanno vinto medaglie mondiali ed europee. Tengo agli atleti, come lo facevo verso me stesso. Ho cura di loro, cerca in tutti i modi di dare tutto a tutti, in modo che possano dare il massimo a se stessi. Il mio obiettivo principale. Lo stanno capendo. In Nazionale funziona alla stessa maniera. Sei un atleta vuole essere il migliore, lo vogliamo fare insieme. Se raggiungiamo il massimo, lo facciamo entrambi, se non lo raggiungiamo, lo abbiamo perso assieme. Mi piace questa malattia del karate che fa del bene. Sto cercando di creare adulti. Creare persone con sani principi, che vivano il loro momento con passione, che gli possa servire nella loro vita. Cerco solo di trasmettere agli altri, quello che ho ottenuto. Il mio motto”.
(Il Faro online)(fotocopertina@GiuseppeMarchitto)