50 anni della World Karate Federation, Fulvio Sole: “Sono stato un combattente, le sfide mi piacevano”
La storia di un campione che ha vinto nel kata e nel kumite. La figura dei Maestri sul tatami e quella del padre. Genova nel cuore e quella volta che alla Bosforo Cup i giudici chiesero..
Genova – La filosofia e il mistero del karate, soffiano dentro ad uno stesso cuore. Di solito si descrive in questo modo un campione che ha scritto pagine importanti nella disciplina, ma solo per una specialità. Quando invece un karateka ha fatto parte degli dei dello sport che nel mondo, conta più di 100 milioni di praticanti, che ha unito in sé la totalità dell’arte marziale, allora le cose cambiano e si può parlare di un unico mondo umano, racchiuso in due dimensioni. Quella del kata e quella del kumite. Fulvio Sole le ha vissute entrambe e ha in esse, lasciato il segno. Una doppia pratica che richiedeva grande concentrazione da parte del campione mondiale a squadre del 2000.
Una vita spesa nel karate e genovese, anche sul tatami
Racconta la sua carriera da sportivo e inevitabilmente anche la sua vita Fulvio, a Il Faro online. Genovese doc e fiero di ciò che la sua città ha saputo affrontare con grande coraggio, dopo la tragedia del Ponte Morandi. Dopo un anno e mezzo il lavoro dei genovesi è stato premiato. Il ponte è stato ricostruito riunendo vite e normalità, nonostante il tempo attuale del Covid-19, dimostrando al mondo ancora quella caratteristica speciale di un popolo, che non mette la testa sotto la sabbia ma combatte, fino alla vittoria. Come Sole ha fatto nella sua lunga carriera. Ha portato anche questo aspetto sul tatami, l’ex atleta delle Fiamme Gialle. Dal 1993 fino al 2015, Fulvio ha vinto. Tantissimo. Ha conquistato titoli mondiali e assaporato momenti indelebili. 22 anni da sogno, con la maglia cucita addosso delle Fiamme Gialle, condivisa con i grandi. I più grandi, come lui.
In Giappone una delle vittorie più emozionanti e le tre medaglie alla Bosforo Cup hanno segnato il cammino
L’oro mondiale universitario in Giappone è arrivato con Lucio Maurino e Luca Valdesi. Un kata delle meraviglie, che si azionava in automatico e si accendeva come la musica fa alla radio, espandendo melodia e magia. Fino alle medaglie più importanti. L’indole del combattente non ha mai indietreggiato, neanche di fronte alle sfide più ardue. E quelle hanno da sempre stuzzicato il cuore di Fulvio. Un campione amante delle cose sportive impossibili. E lui le ha fatte diventare realtà, dividendo concentrazione e kihon nelle due dimensioni del karate: il kata e il kumite. L’unico atleta nella storia a vincere nel mondo, in entrambe. Una sfida continua allora. Alta concentrazione e differente atteggiamento fisico e mentale e poi quella lotta contro il tempo per cambiare karategi in gara. Sole racconta la sua divertente e impegnativa esperienza alla Bosforo Cup. I giudici lo vedevano entrare ed uscire dagli spogliatoi con diversi karategi indosso, pensando che fossero due fratelli gemelli. Invece era lui, solo lui, a fare tutto da solo. E quello stupore nelle fasi delle premiazioni, quando Fulvio mise al collo tre medaglie, fu indimenticabile. Come non possono essere dimenticati gli allori da lui vinti. Oro nel kata a squadre, oro nel kumite individuale e bronzo nel kumite a squadre. Eccezionale. Nessuno nella storia lo ha mai fatto. Questo record spetta ancora all’Italia. E spetta a Fulvio Sole essere raccontato da Il Faro online, in occasione della celebrazione del Cinquantenario della World Karate Federation.
Il livello agonistico sempre alto con i grandi e l’addio al karate nel 2014
Prosegue allora il viaggio tra i grandi del karate mondiale e la storia di Sole illumina la storia della disciplina. In Nazionale dal 1990 al 2014, quando disse addio alle competizioni a Brema. L’Italia aprì la rassegna mondiale in Germania, mediante una bellissima esibizione di “kata sound”. Anche Fulvio partecipò con il karategi azzurro, convocato da Lucio Maurino, storico compagno di immense conquiste. Dedica un particolare pensiero a quel momento della sua carriera, come lo fa per Andrea Nekoofar, giovane e promettente karateka scomparso nel luglio del 2017. Nel cuore Andrea, come nel cuore quell’addio che lo ha portato a lasciare dietro sé quelle emozioni indelebili vissute nel karate. 25 titoli italiani vinti, di cui sei conquistati in una sola stagione agonistica. Nel 1995/1996 Fulvio salì numerose volte sul podio nazionale. Due volte per il kata e quattro per il kumite, che gli è valso il Valore al Merito Sportivo con Stella Oro. E con chi? Con gli dei. Lui stesso spiega come doveva restare sempre alta l’asticella del livello agonistico, senza sfumature. Insieme ai grandi (Benetello e Maniscalco per il kumite e Maurino e Valdesi per il kata) bisognava essere grandi. E lui lo ha fatto, con talento e amore per il karate. Perché lui stesso era grande, come gli dei con cui gareggiava.
La figura dei Maestri: il papà Mirko, Ilio Semino e Claudio Culasso
Incontrato da bambino il karate, grazie all’insegnamento di suo papà Mirko, a cui Fulvio ha dedicato una splendida manifestazione di karate nel 2006. Nell’occasione sono stati raccolti 60 mila euro destinati ad un’associazione benefica “Gigi Ghirotti”, volta alla cura dei malati terminali. Migliaia gli spettatori sugli spalti e una terza pratica per lui. Anche l’aikido, insieme al maestro Massimiliano Barduco. Importanti per Fulvio, le figure di chi lo ha preso per mano. Non solo quella dell’indimenticato papà, ma anche quella di Ilio Semino. E’ stato quest’ultimo a definire in modo ottimale il kata. Lo dice Fulvio con grande convinzione: “E’ scrivere direttamente in bella con la penna. Una volta che hai fatto uno sbaglio, non puoi tornare indietro e cancellare”. Queste le parole del Maestro e questo l’atteggiamento di Fulvio, combattente e genovese. Lavoro e sudore sul tatami, in modo da raggiungere la perfezione assoluta. senza sfumature. Anche grazie alla guida del suo direttore tecnico alle Fiamme Gialle, Claudio Culasso. E quelle medaglie vinte lo hanno dimostrato. Ori internazionali conquistati, sia nel kata che nel kumite. A doppia pratica e a doppia concentrazione. Un unico cuore in due dimensioni diverse. In lui si incontravano il kata e il kumite, trovando terreno fertile e modo di esprimersi.
Gli insegnamenti del karate, stella polare nella vita. Chi è oggi Fulvio Sole
Due filosofie di vita e due modi per affrontare la quotidianità. Ringrazierà sempre il karate il campione mondiale Fulvio Sole. La vita si affronta meglio con gli insegnamenti del Bushido. Un dono immenso che il karate ha fatto al suo cuore e all’essere uomo che è oggi. Sempre appassionato di karate e sempre unito alle due dimensioni dell’arte marziale della sua lunga carriera. Kata e kumite per sempre nell’anima, per sempre nel vivere la vita, da ex campione fortunato e felice. Come lui stesso dice.
Caro Fulvio, sei stato uno dei grandi karateka delle Fiamme Gialle e della Nazionale. Se tu potessi eleggere a immagine simbolo della tua carriera un evento, un episodio, una vittoria, un’immagine.. cosa sceglieresti?
“Se devo isolare un singolo evento che possa rappresentarmi, sicuramente devo fare riferimento ad una delle edizioni della Bosforo Cup, in cui mi dividevo nella stessa gara, tra il kata a squadre con Luca e Lucio e poi il kumite individuale e a squadre. A quei livelli, in un evento in cui partecipavano 30 nazioni, è stato emozionante. E’ l’evento che più mi ha rappresentato. Ho fatto oro nel kumite individuale e oro anche nel kata a squadre. Ho aggiunto poi un bronzo a squadre nel kumite. Passavo da un karategi all’altro, nell’arco di pochissimi minuti, per fare prove diverse, nelle discipline differenti. E’ stato l’evento che rende l’immagine di come sono riuscito ad essere eclettico nel karate. Nella carriera nazionale, nella stagione 1995/1996 ho vinto sei titoli italiani, 4 di kumite e 2 di kata. E questo mi ha valso il distintivo al Valore Sportivo con Stella Oro. Nel 2000 c’è stato il Mondiale con Valdesi e Maurino, una grande annata. In seguito anche l’Europeo. Dove ho conquistato l’argento a squadre. Anni importanti. Nel mezzo tante gare, tante battaglie”.
Hai vinto un titolo mondiale universitario a Kyoto nel 2000, insieme a Lucio Maurino e Luca Valdesi. Puoi descrivere la finale e la conquista dell’oro? E come vi coordinavate insieme?
“Bellissima esperienza. La finale l’abbiamo disputata contro il Giappone. Portammo il “gankaku”, era il kata che si voleva spingere di più. Per quattro volte, sei su un piede solo. E’ stata una prova perfetta, con gli applausi di tutto il palazzetto, abbiamo conquistato l’oro. Luca e Lucio hanno vinto tante altre finali, per vari motivi. Ho avuto meno opportunità con loro in Nazionale, ma quel giorno è stato perfetto. Il grosso del lavoro l’abbiamo fatto nei primi anni e più condividi tattiche e quotidianità, più affini il modo di pensare e di vedere le cose. Bastava un piccolo gesto o sguardo per capirci. Una sorta di “diapason”, sia con il respiro che una parte di “kihon”. Entravamo nella giusta frequenza e da lì si partiva, come uno spartito musicale. Si suonava all’unisono. Un’esperienza incredibile con loro. Personalmente nasco come combattente nel kumite, non come atleta di kata. Ho fatto molto lavoro con mio padre e maestro Mirko Sole. Mi fece fare solo il kata, in collaborazione con Ilio Semino, grande maestro della disciplina, uno della commissione tecnica nazionale. E’ stato utile il suo aiuto. Mi sono ritrovato subito con il lavoro e sono potuto stare al passo di due grandissimi campioni come Maurino e Valdesi”.
Durante il Karate Fiamme Gialle Day hai descritto in Sala Tito, la grande energia di voi karateka tutti insieme. Puoi descrivere questo aspetto? Che cosa è stato per te quell’evento del 2016?
“Per me, come per tutti noi, è stata un’esperienza bellissima. La consacrazione familiare di ciò che il Gruppo Sportivo ha rappresentato per ognuno di noi. Siamo arrivati a quel punto della nostra carriera, grazie agli eterni ragazzi che prima di noi erano saliti sul tatami gialloverde. Noi rappresentiamo il giusto continuo per loro. L’essere ricordati grazie a noi. Un bellissimo ciclo che si è aperto e chiuso e ha dato tantissimo. Culasso, il nostro direttore tecnico, è stato un abile tessitore. Non è facile gestire tutti e tutte teste pensanti che vogliono primeggiare gli uni sugli altri (è questa in fondo la mentalità del campione agonista). Marco Lanzilao, allenatore incredibile, leggeva veramente le situazioni del kumite in un modo splendido, come faceva Andrea Antonini.
Una persona di una capacità e sensibilità di aiutarti, eccezionali. Vedere tutti quei ragazzi quel giorno, che come noi, si erano ricavati un posto in squadra e ce l’hanno fatta e hanno reso grande il Gruppo Sportivo delle Fiamme Gialle (il più medagliato al mondo nella storia), è stata una emozione indescrivibile. Tutti lì nella stessa famiglia e passione marziale. Quattro generazioni tutte lì.. emozionante davvero!”.
Alla Bosforo Cup, è accaduto un episodio divertente, legato alla tua doppia pratica del kumite e del kata. Gli arbitri pensavano che tu avessi un fratello gemello..
“Fu particolare. In una delle varie edizioni, correvo nello spogliatoio e toglievo il karategi del kata e indossavo quello del kumite.. poi toglievo quello del kumite e indossavo il karategi del kata (ride). A un certo punto, mi sembra durante le premiazioni, un paio di arbitri si sono avvicinati per congratularsi. Con l’occasione uno mi disse: “Accidenti..complimenti.. siete due. Uno di voi si è dato al kata e l’altro al kumite. In famiglia è difficile una cosa del genere. Volevo congratularmi con voi.. ma non riesco mai a beccarvi insieme”. Risposi: “Mi lusinga. Ma in realtà non ho fratelli.. sono solo io”. Sono rimasti allibiti. Non avevano mai visto a livello internazionale una cosa simile. Una delle più grandi lusinghe che mi sia stata fatta, dal punto di vista tecnico. Mi ha fatto piacere e abbiamo sorriso con loro”.
Hai dunque praticato sia il kata che il kumite, mettendoti al collo l’oro internazionale in entrambe le specialità. Come facevi ad intervallare la pratica in gara e come gestivi questa doppia partecipazione? Immaginiamo a livello mentale, non fosse facile..
“In effetti non era semplice. Di base le differenze mentali, fisiche e situazionali nell’approccio con le due discipline cambiano completamente. Nel kumite si ricerca profondità e distanza. Nel kata lavori di più sul posto e fai un passo alla volta. Una rapidità da 0 a 100.. ma poi blocchi subito. Nel kumite devi variare raggio d’azione. Ti sposti, ti giri, vai più lontano.. . Nel livello di tattica e di esecuzione sono due cose completamente diverse. Mentalmente era un grande impegno e difficile per entrambi. Nel kumite, in base alle tue capacità e a quelle dell’avversario devi combattere in un certo modo. Nel kata non devi fare errori. Il Maestro Semino ne ha dato una definizione stupenda: “E’ scrivere direttamente in bella con la penna. Una volta che hai fatto uno sbaglio, non puoi tornare indietro e cancellare”. Nel kumite invece fai un errore e puoi recuperare fino all’ultimo, piazzi una tecnica vincente e correggi. Nel kata non te lo puoi permettere, una volta che hai fatto uno sbaglio.. resta. Fine. Non puoi tornare indietro fino al punteggio. Al livello normale fare una e l’altra cosa non è semplice e farlo ad altissimi livelli (da un lato sei in squadra con signori del calibro di Benetello, Talarico, Maniscalco, Ferrara, che ti guardano e devi fare una prestazione degna.. (ride) e dall’altro, hai altre due leggende come Maurino e Valdesi che.. sono immensi). E’ stato veramente un impegno mentale, soprattutto, molto forte. Ma questa cosa mi ha sempre incredibilmente esaltato. Più c’era l’impresa da fare e più mi caricavo”.
Come mai hai scelto di praticare il karate? Puoi spiegare queste due discipline cosa sono nelle arti marziali e che hanno significato per te?
“Ho scelto il karate perché mio papà è stato il mio Maestro. Come è accaduto per tanti altri. Mi ha preso sin da piccolino, mi ha tenuto sui binari, quando volevo provare altre cose. E’ andato tutto bene però, ho avuto una carriera piena di soddisfazioni. Lui mi ha sempre visto questa potenzialità, io l’ho scoperta piano piano. Ci siamo accorti che si potevano raggiungere grandi traguardi. Sono contento. Ho avuto un posto di lavoro, ho conosciuto delle persone splendide. Mio papà, che se n’è andato nel 2005, ha assistito all’ultima gara ai Campionati Italiani di kumite del 2004, nel kumite a squadre, in cui abbiamo anche vinto. Direi che sarà sicuramente contento di quello che ha prodotto. Io sono felicissimo di quello che ho raccolto. Abbiamo iniziato con il frequentare la palestra con tutti i miei amici del quartiere. Abbiamo creato una società in Liguria, che ha creato una egemonia nel tempo. Non c’erano avversari per noi. Ci siamo distinti a livello nazionale con diverse medaglie. Molti sono saliti sul podio europeo e italiano. Da professionista sono stato l’unico che ho avuto uno sbocco “militare”. E’ anche normale. Ad un certo punto diventi professionista, altrimenti è difficile mantenere la tua passione. Da lì non ho più staccato fino alle Fiamme Gialle e in Nazionale. E adesso. Pensionato di lusso, sportivamente parlando (ride)”.
Che cosa mettevi di te in gara? Quali erano le tue caratteristiche? Cosa ti sei portato di esse, nella vita?
“Mettevo parecchio. Nel livello tattico e logico. Rispettavo chiunque, ma non temevo nessuno. Come sempre mi diceva mio padre. Ho sempre saputo di avere le possibilità di raggiungere qualsiasi risultato contro tutti. Non c’era una sfida per cui io partivo smontato. Nel kumite era capire chi avevo davanti e quale tattica usare. Mi piaceva cambiare ogni volta, se era il modo per combattere e se sapevo, che avevo un avversario molto forte, gli facevo punto alla fine del match e allora era complicato recuperarmi. Se sapevo che ero più forte, cercavo di martellare subito. La chiave tattica che ha cercato sempre di insegnarmi mio padre e che mi sono portato dietro nella vita. Nel kata devi avere la capacità di restare sempre freddo e concentrato sull’attimo, non mollare, accorgersi di quello che sta succedendo intorno a te, senza dare l’impressione di stare a cercare un riferimento. Per essere in sincrono con altre due persone, devi percepire al massimo il momento. Questi aspetti fanno parte di me. Lo hanno fatto nella mia vita. La capacità nel gestire le tensioni, per fortuna, mi ha sempre accompagnato. Uno dei grandi doni che mi ha fatto il karate”.
22 anni di carriera nelle Fiamme Gialle e altri tantissimi in Nazionale. Puoi descrivere questo lungo periodo della tua vita, con una definizione ?
“22 anni di gialloverde e di azzurro da definire .. è difficile. Ogni emozione mi ha lasciato qualcosa, come lo ha fatto ogni risultato avuto. Forse il complimento più bello che questa arte marziale mi abbia fatto e che io ho fatto a lei, è aver portato entrambe le specialità ad altissimi livelli. Solitamente non si riesce. Ti puoi specificare di più sul kata o sul kumite, ma chi riesce a fare una cosa del genere, forse esprime il karate nella sua essenza. Il karate è formato da kata e da kumite. Dal kihon, da tutto. Un atleta completo dovrebbe saper fare tutto e bene. Penso che sia il complimento più bello che la mia carriera mi abbia fatto. Da teorici opposti, sono diventati reali complementari. Mi hanno veramente dato forza, entrambi”.
25 titoli italiani e numerose medaglie nel mondo. Qual è stata l’emozione sportiva più bella che hai vissuto?
“Ce ne state tante. Nelle gare individuali sicuramente. Il primo titolo assoluto a Venezia è stato bello. Avevo una spalla dolorante. Ho dovuto gareggiare ugualmente nonostante “nastro o scoch” (ride) ho messo al collo l’oro nei 70 chili nel kumite. Nel girone all’italiana dove i migliori otto si sfidavano. Li incontravi tutti. Battere atleti del calibro di Degli Abbati, ex campione europeo, D’Agostino ex campione continentale e del mondo.. da ragazzo che stava cominciando la propria carriera sono stati momenti incredibili. I Campionati Italiani a squadre.. con degli atleti fortissimi. Le esperienze poi con la Nazionale lasciano sempre addosso qualcosa di magico. In Giappone soprattutto, è stata una cosa stupenda.. non ne parliamo neanche.. Viaggiare, conoscere posti nuovi, scontrarsi con le paure e tensioni è sempre una cosa che ti fa crescere. Tantissimo ho avuto dal karate e da queste esperienze. Mi hanno fatto maturare molto a livello personale e nel quotidiano”.
Hai terminato la carriera ai Mondiali di Brema nel 2014, con una speciale esibizione sul tatami. Puoi raccontare quell’esperienza? Come è stato per te scendere dal tatami e terminare la tua avventura da atleta?
“Sono stato reclutato nella squadra dei ragazzi che ha aperto il Mondiale di Brema. Grazie a Lucio Maurino abbiamo fatto quest’ultimo viaggio. Ho vestito il karategi della Nazionale, è stata una emozione bellissima. Chiudere in quel modo, da atleta sul campo. Un po’ di malinconia c’è. In quella trasferta c’era anche Andrea Nekoofar. Lo ricordiamo tutti con un grande affetto. E’ stata una esperienza eccezionale. Respiri sempre un’aria particolare, anche se da non concorrente. Ti senti comunque un po’ parte del gioco. Da lì.. è stato un dolce addio. Mi ha fatto piacere chiudere in quel modo con la Nazionale”.
Il kata anche in televisione, grazie alla storia scritta sul tatami mondiale..
“La bellezza di quello che abbiamo fatto, oltre al fatto tecnico, ci ha portati sui palcoscenici televisivi nazionali. Siamo stati su Canale 5, Italia 1, Raiuno. A Domenica In. Sette per Uno. Ovunque. L’unione della musica, che televisivamente parlando facilita molto l’immagine, è stato un successo. Abbiamo segnato il cambiamento, sotto questo punto di vista”.
La manifestazione dedicata a papà Mirko e la pratica dell’aikido. Al Fiumara di Genova, tanti spettatori e tanta beneficenza fatta
“La foto dell’aikido, inserita nell’articolo, descrive una esibizione che abbiamo fatto in memoria di papà nel 2006. “Ciao Mirko”. Un evento splendido quello. C’erano tutti i ragazzi della Nazionale e delle Fiamme Gialle. Tra di essi Benetello, Di Domenico, Maniscalco, Maurino, Valdesi, Loria. Abbiamo fatto da giudici a una gara per le palestre che si erano iscritte e poi esibizione noi come Fiamme Gialle. Una grande emozione, abbiamo donato 60 mila euro alla “Gigi Ghirotti”, una moto per muoversi per il suo direttore, che segue i malati terminali. Un aiuto splendido. Abbiamo fatto sei mila persone al Palazzetto della Fiumara di Genova. Insieme a Massimiliano Barduco, amico fraterno e referente dell’Aikikai, un maestro di grandissimo spessore. Abbiamo fatto un’esibizione. Grande riuscita a livello di pubblico”.
Genova è rinata da poco grazie alla ricostruzione del Ponte. Come hai vissuto la tragedia cittadina di due anni fa? Cosa vuoi dire ai tuoi concittadini?
“Da genovese, la tragedia del Ponte Morandi è stata una botta emotiva non da poco. Quando hai sotto gli occhi una cosa e poi ti viene tolta di colpo.. (legge base per tutto nella vita) ti accorgi di un vuoto destabilizzante. Personalmente ha inciso tanto. In palestra, con i collaboratori e i ragazzini, ho aumentato gli orari di lavoro. Non potevano più coadiuvarmi. Ho dovuto chiudere la società sportiva. Aveva degli orari assurdi da gestire dopo. Era impensabile mantenere gli stessi ritmi dell’anno prima. Il segno di un cambiamento sia personale che per tutti, in città. Non è stata però l’unica prova affrontata da Genova. E’ sempre stata martoriata da diversi eventi nella sua storia. Le alluvioni, le più eclatanti. Adesso il coronavirus vale per tutti. Però i genovesi sono un popolo fiero, silenzioso, che non ha paura di darsi da fare e di lavorare. Di mettersi sotto con la testa finché serve. Infatti il ponte è stato costruito in tempi brevissimi, se vogliamo essere in realtà critici. Nell’arco di un anno e mezzo rifare tutto è stato un record. Genova non si piange addosso, borbotta, mugugna, come si dice da queste parti, sa che è lavorando sotto ogni aspetto, che si ottengono dei risultati. Nessuno aspetta niente dal cielo e sa che dovrà fare ancora di più. Queste persone troveranno sempre la forza di reagire alle difficoltà della vita. Questo è un pregio incredibile davvero. Un popolo viaggiatore e di marinai. E’ sempre stato abituato alla sofferenza geografica e storica, ma niente mai lo ha spaventato. Sono molto fiero di essere genovese”.
Palmares
Atleta dei Gruppo Sportivi Fiamme Gialle dal 1993 al 2015
Atleta della Nazionale Italiana dal 1990 al 2014
25 titoli italiani (kata a squadre e kumite individuale e a squadre)
Un bronzo ed un argento europeo
un oro Mondiale
Unico atleta capace di salire sul podio nazionale ed internazionale in entrambe le specialità del Karate (kata e kumite).
Titoli internazionali nel kumite in Premier League. Tantissime medaglie d’oro conquistate. Alla Bosforo Cup, oro a squadre nel kata e oro individuale nel kumite. Bronzo a squadre nel kumite.
Nel 1996 sei titoli italiani vinti in una stagione: kumite individuale, kata a squadre, kata assoluto e kumite a squadre. Si scontravano i migliori otto.
Con la Nazionale, partito juniores negli anni ’90. Fino al 2014, quando a Brema ha chiuso, aprendo il Mondiale con l’esibizione del kata sound insieme ai giovani della Nazionale, coordinati da Lucio Maurino. Ultima volta che ha indossato il karategi azzurro. 22 anni di carriera nelle Fiamme Gialle, più che discreto risultato.
(Il Faro online)