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Rissa al Pincio, se la gioventù bruciata è quella col cellulare in mano

6 dicembre 2020 | 12:37
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Rissa al Pincio, se la gioventù bruciata è quella col cellulare in mano

Un Grande Fratello de noantri, l’ennesima puntata di un reality dove la violenza e il turpiloquio sono diventati il pane da condividere col cellulare

La notizia della rissa avvenuta al Pincio, a Roma (leggi qui), ha riempito le pagine dei giornali, focalizzando l’attenzione sulla violenza della rissa, sull’assembramento e sull’assenza di mascherine.

La cosa più agghiacciante, però, è ciò che si vedeva in controluce, in secondo piano. Quel rimanere tutti intorno a riprendere con un telefonino le botte che altri giovani si stavano dando, senza intervenire a sedare la rissa, senza fermare la spirale di violenza.

Cento inquadrature da punti diversi, decine di telefonini accesi, un Grande Fratello de noantri, l’ennesima puntata di un reality dove la violenza e il turpiloquio sono diventati il pane da condividere. Non si guarda la normalità, ma si aspetta la litigata, l’inciucio, la parolaccia, la “freccia avvelenata”.

Abbiamo perso (fatto perdere, meglio) di vista i valori, abbiamo permesso a questi giovani di credere nella violenza, non abbiamo fatto abbastanza per insegnargli il rispetto delle idee altrui.

Non solo non esiste più il senso civico, ma neanche la capacità dialettica di sostenere un contraddittorio aspro senza passare ai fatti. Le parole che usano questi ragazzi, poi, sono mutuate dal gergo malavitoso…”tu mi devi sparare” “non sai chi sono”, ecc., come se ci fosse un background delinquenziale che nella maggior parte dei casi neanche c’è.

E tutti intorno a filmare. Siamo diventati così beceri e grevi che nulla ci sorprende più. L’autodeterminazione predicata per anni ha portato alla gioventù dello sballo (certo, non tutti per fortuna sono così, ma non può e non deve essere un alibi), per cui divertirsi vuol dire affondare in una dipendenza o nella violenza. Ma davvero non hanno altro che droga o alcool i nostri figli per divertirsi?

Esiste un concetto di “normalità” che da valore è diventato disvalore, da punto di riferimento è diventato sinonimo di nullità. Colpa della nostra generazione genitoriale, che ci ha visto impegnati nella corsa al successo, al possedere, all’essere i più fighi, i più belli, con la macchina più potente, la siluette più intrigante. Siamo passati dal cercare il benessere – cosa del tutto lecita – a farne uno standard da raggiungere a scapito dei valori, che si sono persi nella corsa…

Una corsa che ha lasciato indietro la parte migliore di noi. L’altruismo, il rispetto, l’amore per il prossimo. Provo una profonda pena per quello che è accaduto e purtroppo accadrà ancora.

Riaprite le scuole, ma oltre alla didattica proponiamo la speranza, la solidarietà, il rispetto. Una lezione che deve necessariamente proseguire in casa, se vuole essere efficace.

Investite sulla cultura, sulla bellezza dell’arte, sulla musica. Al più presto, appena sarà possibile, riaprite i teatri, le palestre, i cinema. E lasciate che i giovani si possano identificare in un mondo meno marcio. Bisogna lasciare loro la libertà di sognare. Il bad boys (e non parliamo di criminali) è sempre esistito, ma una volta era anticonformismo o desiderio di affermare una certa differenza dal resto del branco.

Oggi si nasce e si cresce bad boys senza saperlo… neanche questa scelta ormai è segno di libertà di espressione. Primo perché, appunto, non è una scelta, secondo perché essere ‘bad’ oggi equivale ad essere omologati.

Siamo a un punto critico, e dobbiamo fare qualcosa. Con un’idea di fondo, pensando ai nostri ragazzi: diamo loro la libertà di sperare. non di sparare.