“Non conta il guadagno ma l’amore che sappiamo donare: questa è la sorgente della gioia!”
In San Pietro la messa del Papa per i 500 anni dell’evangelizzazione delle Filippine, il Pontefice: “Gesù è il fondamento della nostra gioia non è una bella teoria su come essere felici”
Città del Vaticano – “Più si ama e più si diventa capaci di donare. Questa è anche la chiave per comprendere la nostra vita. Non conta solo ciò che possiamo produrre o guadagnare, conta soprattutto l’amore che sappiamo donare. E questa è la sorgente della gioia!”.
Nella basilica di San Pietro, Papa Francesco presiede, all’Altare della Cattedra, la Santa messa in occasione dei 500 anni dell’evangelizzazione delle Filippine. Danze e canti tradizionali delle Filippine e uno sventolio di fazzoletti bianchi hanno accompagnato l’ingresso del Papa, che indossa i paramenti liturgici rosa in quanto quella odierna è la IV Domenica di Quaresima, detta del “laetare”.
Sei rappresentanti della comunità filippina hanno portato in processione la croce di Magellano e il Santo Niňo di Cebu, una statua lignea di circa 35 centimetri che rappresenta il Bambino Gesù.. Partecipano alla cerimonia poco più di 150 fedeli, in gran parte in abiti tradizionali. Concelebrano la liturgia con il Pontefice il cardinale filippino Luis Antonio G. Tagle, prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei popoli, il cardinale vicario di Roma Angelo De Donatis e altri otto sacerdoti della comunità filippina.
Nell’omelia, il Santo Padre riflette sul versetto del vangelo di Giovanni: “Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito” (Gv 3,16). “Qui – spiega Bergoglio – c’è il cuore del Vangelo, qui c’è il fondamento della nostra gioia. Il contenuto del Vangelo, infatti, non è un’idea o una dottrina, ma è Gesù, il Figlio che il Padre ci ha donato perché noi avessimo la vita. Gesù è il fondamento della nostra gioia non è una bella teoria su come essere felici, ma è sperimentare di essere accompagnati e amati nel cammino della vita”.
La prima parte dell’omelia è tutta incentrata sulle parole “Dio ha tanto amato”. “In Gesù, Dio ha pronunciato la parola definitiva sulla nostra vita: tu non sei perduto, tu sei amato. Sempre amato”, dice il Papa. Che spiega: “Se l’ascolto del Vangelo e la pratica della nostra fede non ci allargano il cuore per farci cogliere la grandezza di questo amore, e magari scivoliamo in una religiosità seriosa, triste, chiusa, allora è segno che dobbiamo fermarci un po’ e ascoltare di nuovo l’annuncio della buona notizia: Dio ti ama così tanto da darti tutta la sua vita”.
“Non è un dio che ci guarda indifferente dall’alto, ma è un Padre, un Padre innamorato che si coinvolge nella nostra storia; non è un dio che si compiace della morte del peccatore, ma un Padre preoccupato che nessuno vada perduto; non è un dio che condanna, ma un Padre che ci salva con l’abbraccio benedicente del suo amore”, ammonisce.
Nella seconda parte, Bergoglio riflette invece sulle parole “Dio ha dato il suo Figlio”. “Proprio perché ci ama così tanto, Dio dona sé stesso e ci offre la sua vita. Chi ama esce sempre da sé stesso. La forza dell’amore è proprio questa: frantuma il guscio dell’egoismo, rompe gli argini delle sicurezze umane troppo calcolate, abbatte i muri e vince le paure, per farsi dono. Questa è la dinamica dell’amore: è farsi dono, darsi. Chi ama è così: preferisce rischiare nel donarsi piuttosto che atrofizzarsi trattenendosi per sé. Per questo Dio esce da sé stesso, perché ‘ha tanto amato’. Non ci ama a parole Dio: ci dona suo Figlio perché chiunque lo guarda e crede in Lui sia salvato (cfr Gv 3,14-15)”.
E “più si ama e più si diventa capaci di donare. Questa è anche la chiave per comprendere la nostra vita. Non conta solo ciò che possiamo produrre o guadagnare, conta soprattutto l’amore che sappiamo donare. E questa è la sorgente della gioia! Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio”.
“A volte cerchiamo la gioia dove non c’è, la cerchiamo nelle illusioni che svaniscono – spiega il Papa -, nei sogni di grandezza del nostro io, nell’apparente sicurezza delle cose materiali, nel culto della nostra immagine, e tante cose… Ma l’esperienza della vita ci insegna che la vera gioia è sentirci amati gratuitamente, sentirci accompagnati, avere qualcuno che condivide i nostri sogni e che, quando facciamo naufragio, viene a soccorrerci e a condurci in un porto sicuro”.
Infine, un pensiero per le Filippine, dove cinquecento anni fa, per la prima volta, risuonava l’annuncio cristiano: “Avete ricevuto la gioia del Vangelo: che Dio ci ha amato a tal punto da dare il suo Figlio per noi. E questa gioia si vede nel vostro popolo, si vede nei vostri occhi, nei vostri volti, nei vostri canti e nelle vostre preghiere. La gioia con cui portate la vostra fede in altre terre”.
“Tante volte – racconta – ho detto che qui a Roma le donne filippine sono ‘contrabbandiere’ di fede! Perché dove vanno a lavorare, lavorano, ma seminano la fede. Questa è – permettetemi la parola – una malattia genetica, ma una beata malattia! Conservatela! Portate la fede, quell’annuncio che voi avete ricevuto 500 anni fa, e che portate adesso. Voglio dirvi grazie per la gioia che portate nel mondo intero e nelle comunità cristiane”.
“In questa ricorrenza così importante per il santo popolo di Dio nelle Filippine, voglio anche esortarvi a non smettere l’opera di evangelizzazione – che non è proselitismo, è un’altra cosa”, ammonisce. “La Chiesa ha questa missione: non è inviata a giudicare, ma ad accogliere; non a imporre ma a seminare; la Chiesa è chiamata non a condannare ma a portare Cristo che è la salvezza. So che questo è il programma pastorale della vostra Chiesa: l’impegno missionario che coinvolge tutti e arriva a tutti. Cari fratelli e sorelle, mi auguro che sia così, nelle Filippine e in ogni parte della terra”, conclude Francesco.
(Il Faro online) Foto © Vatican Media – Clicca qui per leggere tutte le notizie di Papa & Vaticano
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