Il Fatto

Metz Yeghern, il “Grande Male” degli Armeni

27 aprile 2021 | 10:51
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Metz Yeghern, il “Grande Male” degli Armeni

L’orrendo genocidio del popolo armeno, che ancora oggi, a distanza di 106 anni, il governo turco rifiuta di riconoscere

Tra Storia e Memoria – Nella notte tra il 24 e il 25 aprile del 1915 , nel pieno della Prima guerra mondiale, si compie, nei territori dell’Impero ottomano, l’orrendo genocidio del popolo armeno che è oggi considerato il prototipo di tutti i genocidi successivi . Il governo ultranazionalista dei Giovani Turchi, emanazione del partito “Unione e Progresso”, sceglie di turchizzare l’area anatolica e decide di deportare e sterminare l’etnia armena presente nel territorio fin dal 7° secolo a.C.. Le vittime sono circa un milione e mezzo.

Le radici del genocidio

E’ nello scenario politico a cavallo fra il XIX e il XX secolo, connotato da fragili e tempestosi equilibri internazionali, che affondano le radici del genocidio. L’Impero ottomano , dopo aver controllato per oltre quattro secoli gran parte dell’area mediterranea, entrava in crisi per ragioni interne ed esterne . Si estendeva su una vastissima regione che comprendeva l’Europa sudorientale, l’Asia occidentale e l’Africa settentrionale ed era costituito da un mosaico di etnie e religioni (Armeni, greci, assiri, ebrei ) che a partire dall’ultimo decennio del 1800 davano vita a movimenti indipendentisti e separatisti chiedendo riforme, partecipazione politica e autodeterminazione , scontrandosi così con il governo . In particolare tra le regioni dell’immenso impero due spiccavano per la loro instabilità e tensione , la Macedonia e l’Armenia.

I nemici dell’impero, però, non si annidavano soltanto tra le etnie non turche: nel 1902 a Parigi si teneva il primo congresso del partito dei Giovani Turchi , un gruppo di oppositori di tendenze liberali, che si opponevano al regime del sultano e pensavano ad un cambiamento al vertice per arrestare la crisi che stava rendendo l’impero ottomano il grande malato d’Europa.

In pochi anni la situazione nell’ impero precipitò per una serie di attentati, ammutinamenti, rivolte che nel 1909 portarono alla destituzione del sultano Abdul Hamid II e alla sua sostituzione con il fratello Maometto V. Gli autori di questa operazione furono i Giovani Turchi che avevano dato vita al Comitato Unione e Progresso( CUP). Durante il regno di Maometto V, sovrano debole e solo nominale perché il potere era invece saldamente nelle mani dei Giovani Turchi , l’Impero ottomano continuò la sua parabola discendente. Le rivolte interne non si placarono, anzi si moltiplicarono, e le mire espansionistiche di altre nazioni sottrassero importanti regioni all’impero. Anche l’Italia approfittò di questa debolezza impadronendosi, al termine di una breve guerra, della Libia e del Dodecaneso.

In questa difficile situazione, nel 1913, prese il sopravvento l’ala oltranzista del CUP che diede vita una dittatura militare composta dai triumviri Djemal, Enver, Talaat, gli uomini forti del regime , che saranno proprio i responsabili della messa in atto del progetto genocidario.

Allo scoppio del primo conflitto mondiale, nel 1914 l’Impero ottomano si schierò al fianco degli Imperi centrali (Austria-Ungheria e Germania) che poi risulteranno sconfitti: una scelta che determinerà al termine della guerra la dissoluzione del sultanato.

Moventi ideologici

Spesso aberranti moventi ideologici sono il substrato insidioso di gravi e orrende efferatezze. Quelli che ispirarono la persecuzione e il massacro degli Armeni da parte dei Giovani Turchi e del triumvirato furono da un lato l’ideologia panturchista, cioè il sogno di un immenso territorio dal Bosforo all’Asia orientale, e dall’altro il mito di restaurazione di una pretesa originaria purezza razziale dei popoli turanici attraverso uno Stato monoetnico, linguisticamente e culturalmente omogeneo. Il Turan è un termine con cui si identificava quell’ampia regione dell’Asia centrale – all’incirca coincidente oggi con l’Uzbekistan , il Kazakistan e le parti settentrionali dell’Afghanistan e del Pakistan – abitate principalmente dall’etnia turca.

La popolazione armena, di religione cristiana, che aveva assorbito gli ideali dello stato di diritto di stampo occidentale, con le sue richieste di uguaglianza, costituiva un ostacolo al progetto di omogeneizzazione del regime. Per questa ragione l’obiettivo degli ottomani divenne ben presto la cancellazione della comunità armena come soggetto storico, culturale e soprattutto politico ma non secondaria fu la confisca e rapina dei beni e delle terre degli armeni. I massacri iniziarono già tra il 1894 e il 1896 con circa duecentomila uccisioni e proseguirono nel 1908 con altri 3000 morti , ma culminarono con le stragi del 1915-16 in cui per la prima volta nella storia si mise all’opera una volontà sistematica e pianificata da parte di un’organizzazione statale decisa a eliminare un gruppo etnico e realizzata attraverso efferati eccidi . Bisogna ricordare che nella stessa campagna di pulizia etnica furono commessi massacri su larga scala ,sebbene numericamente inferiori , anche contro le minoranze greche e assire dell’Impero.

Il genocidio fu pianificato tra il dicembre del 1914 e il febbraio del 1915, con l’aiuto di consiglieri tedeschi, data l’alleanza tra Germania e Turchia, e fu realizzato attraverso una struttura criminale paramilitare, l’Organizzazione Speciale (O.S) che dipendeva dal Ministero della Guerra e che attuò il genocidio con la supervisione del Ministero dell’Interno e la collaborazione del Ministero della Giustizia.

Fu, quindi, un genocidio “ statale”, i cui responsabili politici furono: Talaat, Enver, Djemal, i triumviri esponenti del partito unico al potere. Emanarono i decreti di abolizione delle riforme, di deportazione e di confisca dei beni degli armeni – decreti mai ratificati dal parlamento – determinando la distruzione del popolo armeno. Difficile determinare con precisione il numero delle vittime, ma secondo gli studi più recenti sarebbe di circa un milione e mezzo su una popolazione totale che secondo il Patriarcato armeno di Costantinopoli era di circa 1.900.000.

Nella notte tra il 23 e il 24 aprile 1915 ebbe inizio il Metz Yeghern, il “Grande Male”: l’élite armena di Costantinopoli venne arrestata, deportata ed eliminata. L’operazione continuò l’indomani e nei giorni seguenti. Il genocidio fu perpetrato durante e dopo la prima guerra mondiale e attuato in due fasi: l’uccisione totale della popolazione maschile abile attraverso il massacro e la sottoscrizione di coscritti dell’esercito al lavoro forzato, seguita dalla deportazione di donne, bambini, anziani e infermi sulle marce della morte che portano al deserto siriano. In un solo mese, più di mille intellettuali armeni, tra cui giornalisti, scrittori, poeti e perfino delegati al parlamento furono deportati verso l’interno dell’Anatolia e massacrati lungo la strada.

Si procedette poi al disarmo e al massacro dei militari armeni, costretti ai lavori forzati sulla linea ferroviaria Berlino-Baghdad, e poi fu dato il via alla deportazione sistematica della popolazione armena verso il deserto. Pochi vi giunsero vivi. La maggioranza fu sterminata nel corso di vere e proprie marce della morte che coinvolsero oltre 1.200.000 persone: spinti da scorte militari, i deportati furono privati di cibo e acqua e sottoposti a periodiche rapine, stupri e massacri e centinaia di migliaia di loro morirono per fame, malattia o sfinimento. Queste marce furono organizzate con la supervisione di ufficiali dell’esercito tedesco in collegamento con l’esercito turco e si possono considerare come “prova generale” ante litteram delle tragiche marce della morte perpetrate dai nazisti ai danni dei deportati nei lager nella Seconda guerra mondiale.

La quasi totalità degli armeni scomparve dalla terra abitata da più di duemila anni. Un milione e mezzo di persone persero la vita, i due terzi degli armeni dell‘Impero ottomano. Molti furono i bambini islamizzati e le donne stuprate ed inviate negli harem. Attraverso deportazioni, fucilazioni, morti per inedia, l’intera popolazione armena in Turchia venne coinvolta nel primo progetto di pulizia etnica del XX secolo. Altri morirono nei campi dove furono confinati mentre alcuni riuscirono a fuggire in Occidente. Il genocidio armeno ha costituito una sorta di “laboratorio in periferia” per raggiungere con il genocidio la soluzione finale di un problema, come accadrà pochi anni più tardi, in misura drammaticamente più terribile e vasta, con gli ebrei europei. Non a caso nel 1932 Hitler a Vienna affermò: «Armenizzeremo i giudei», anticipando così quel che sarebbe stato il tremendo progetto di sterminio degli Ebrei d’Europa.

La giustizia

Dopo che gli Ottomani persero la prima guerra mondiale, l’Alta Commissione Britannica trasse in arresto 144 alti ufficiali turchi e li condusse a Malta per inquisirli riguardo al genocidio. Al processo i documenti prodotti non vennero tuttavia ritenuti probanti di una volontà di sterminio da parte delle autorità o dell’esercito turco, e dunque tutti gli ufficiali vennero rilasciati. Vi sono, invece , molte prove che l’élite ottomana volesse eliminare la popolazione armena : documenti turchi, ma anche testimonianze e rapporti dei diplomatici stranieri. Tra i più significativi, che fanno risaltare le esplicite intenzioni genocidarie dei dirigenti turchi, ricordiamo la testimonianza dell’ambasciatore tedesco H. Wangenheim al suo cancelliere, datata luglio 1915: “Il modo in cui viene effettuata la deportazione dimostra che il governo persegue realmente lo scopo di sterminare la razza armena nell’impero ottomano”. Anche il console americano L. Davis in un rapporto all’ambasciatore H. Morgenthau (sempre nel luglio 1915), dichiarava esplicitamente: “Li hanno semplicemente arrestati e uccisi nell’ambito di un piano generale di sterminio della razza armena”; e ribadiva alcuni giorni dopo: “Non è un segreto che il piano previsto consisteva nel distruggere la razza armena in quanto razza”.

L’ambasciatore Morhenthau stesso ricordò nelle sue memorie che il Ministro dell’Interno ottomano, Tallat Pascià, gli disse in un’occasione: “Ci siamo liberati di tre quarti degli armeni… L’odio tra armeni e turchi è così grande che dobbiamo farla finita con loro, altrimenti si vendicheranno su di noi”.

Il riconoscimento del genocidio e la responsabilità della Turchia

La storiografia ufficiale turca nega che ci sia stato un piano intenzionale e specifico di sterminio e considera i massacri una dolorosa conseguenza della guerra che ha colpito sia la popolazione armena sia la popolazione turca. Afferma che alla base di quanto accaduto vi era solo l’intento da parte degli Ottomani di impedire agli armeni di unirsi all’esercito russo, ricollocandoli in Siria, nel periodo in cui russi e battaglioni armeni stavano avanzando in Turchia.

Ancora oggi, a distanza di 106 anni dai fatti, il governo turco rifiuta di riconoscere il genocidio degli armeni ed è questa una delle cause di tensione tra la Turchia e l’Unione europea, gli USA, la Santa Sede e altri paesi. Nonostante sia sempre più alta l’attenzione dell’opinione pubblica turca sui tragici fatti di un secolo fa, parlare di genocidio in Turchia può costare il carcere. Infatti, già da tempo la magistratura turca, in base all’art. 301 del codice penale (“vilipendio dell’identità nazionale”), punisce con l’arresto e la reclusione da sei mesi fino a due anni quanti in pubblico parlino dell’ esistenza del genocidio degli armeni, ritenendolo un gesto anti-patriottico.

La legge è stata applicata anche nei confronti di personalità turche conosciute internazionalmente. Lo storico turco Taner Akçam, il primo a parlare apertamente di genocidio, fu arrestato nel 1976 e condannato a dieci anni di reclusione per i suoi scritti, l’anno successivo riuscì a fuggire e a rifugiarsi in Germania e ora lavora negli Stati Uniti d’America. Nel 2005 fu incriminato Orhan Pamuk, il massimo scrittore turco vivente, insignito del Nobel per la letteratura nel 2006; il suo processo è stato successivamente sospeso in attesa dell’approvazione del ministro della giustizia turco. Ma parlare di genocidio può anche portare alla morte. Il giornalista Hrant Dink venne processato e condannato a sei mesi di reclusione ma il giornalista venne poi assassinato nel 2007 nel quartiere a Istanbul, davanti ai locali del suo giornale bilingue Agos, con tre colpi di pistola alla gola. Anche il regista Fatih Akim, cittadino tedesco di origine turca, autore del bel film sulla vicenda armena, “Il padre”, è stato minacciato di morte da ultranazionalisti turchi per le sue posizioni riguardo a quello che lui stesso definisce apertamente “genocidio”.

I paesi che riconoscono ufficialmente il genocidio armeno a partire dal 1965 sono 30, tra cui l’Italia (il riconoscimento è avvenuto nel 2019) e la Santa Sede (riconoscimento nel 2015 con Papa Francesco), mentre in altri è riconosciuto solo da singoli enti o amministrazioni e molti altri paesi continuano a non usare il termine genocidio per timore di una crisi nei rapporti con la Turchia. I riconoscimenti internazionali della realtà del genocidio armeno hanno tardato fino alla sentenza del Tribunale permanente dei popoli nel 1984; questa e, successivamente, l’approvazione nel 1986 del rapporto Whitaker da parte della Sottocommissione dell’ONU ‘per la lotta contro le misure discriminatorie e per la protezione delle minoranze’ e infine la decisione del Parlamento europeo (18 giugno 1987) diedero il legittimo rilievo al massacro.

Proprio quest’anno, il 24 Aprile, in occasione del 106° anniversario del genocidio, il Presidente degli USA Biden ha riconosciuto formalmente l’uccisione di oltre 1 milione e mezzo di armeni come genocidio . Ha affermato che “Ogni anno in questo giorno, ricordiamo la vita di tutti coloro che sono morti nel genocidio armeno dell’era ottomana e ci impegniamo nuovamente a impedire che una tale atrocità si verifichi mai più”. Joe Biden, come per smussare l’attesa reazione di Ankara, ha poi precisato “Lo facciamo non per incolpare qualcuno, ma per assicurarci che quanto accaduto non si possa ripetere”.

La prevedibile risposta turca non si è fatta attendere e il Ministro degli Esteri, Cavusoglu, ha replicato con durezza che si tratta di una dichiarazione “basata esclusivamente sul populismo” e che la Turchia “non ha niente da imparare da nessuno sul proprio passato: la natura degli eventi avvenuti nel 1915 non cambia in linea con le motivazioni dei politici o con considerazioni politiche”.

La “Collina delle rondini “ di Yerevan

Il 24 aprile di ogni anno viene ricordato a Yerevan, capitale dell’Armenia, l’anniversario dell’inizio del Metz Yeghérn con una processione a alla “Collina delle rondini”, dove è sorto il Mausoleo che ricorda le vittime dello sterminio. Dal 1996 vengono anche tumulate nel Muro della Memoria le ceneri o la terra tombale dei giusti e dei testimoni che prima, durante e dopo il genocidio hanno aiutato le vittime, cercando di fermare i massacri o denunciando al mondo, a rischio personale, la pianificazione e l’esecuzione del progetto genocidario da parte del governo dei “Giovani Turchi”.

Le lapidi con i nomi dei “Giusti per gli armeni”, raccolte nel Muro della Memoria, sono il segno tangibile della riconoscenza del popolo armeno e assumono un valore esemplare di segno universale.

Tra questi Giusti ricordiamo Armin Wegner , tedesco, che divenuto soldato partecipò alle marce della morte del popolo armeno. Nel deserto della Mesopotamia, davanti a lui incontrò i volti sofferenti delle vittime innocenti, donne, vecchi, bambini, non un’astratta umanità sofferente e lontana. Percorrendo con il popolo armeno “la via senza ritorno” con destinazione “il nulla”, eludendo le ordinanze e i divieti delle autorità ottomane e tedesche che volevano ovviamente impedire la diffusione di notizie sulle carovane dei deportati, entrò nei campi profughi. Qui scattò fotografie e raccolse gli appelli e le lettere di supplica strazianti dei deportati riuscendo a recapitarli alle ambasciate o ai consolati. Scrisse anche un diario che insieme alle foto è una testimonianza preziosissima per il popolo armeno.

Una lettera alla madre del 1916 sui massacri e sulle atrocità di cui era stato testimone venne intercettata dalla censura tedesca e gli costò un ordine di servizio nelle baracche degli ammalati di colera a Baghdad dove contrasse la malattia. Nel dicembre del 1916 venne espulso e ritornò in Germania portando con sé di nascosto le fotografie e il diario e in patria si spese in conferenze, dibattiti, appelli indirizzati ai potenti per invocare pietà per le vittime. Tutta la sua vita da quel momento fu votata alla memoria dei crimini e alla resistenza contro quelli nuovi che in maniera sempre più evidente si addensavano sull’Europa.

In lui si creò una congiunzione tra la tragedia armena e la tragedia ebraica, come ci testimoniano le lettere indirizzate a Wilson nel 1919, per chiedere una patria per gli armeni , e a Hitler nell’aprile del 1933, per invocare la fine della propaganda antiebraica del regime. I costi personali furono altissimi per lui : arrestato dalla Gestapo e imprigionato, fu rilasciato nella primavera del 1934 e percorse la via dell’esilio: Inghilterra, Palestina e infine l’Italia.

Le sue parole sul genocidio degli Armeni ci raccontano la storia di un uomo che ha incontrato il male e ha scelto di opporvisi, documentando, a rischio della vita, gli eventi tragici dello sterminio di un popolo e ci richiamano alla riflessione sul valore della testimonianza e delle nostre scelte:

La mia coscienza mi chiama ad essere testimone.
Io sono la voce degli esiliati che grida nel deserto.
(A.T.Wegner)