13 marzo 2013: nove anni fa l’elezione di Papa Francesco
Dal primo “buonasera” ai continui appelli per la pace in Ucraina: i momenti salienti dei primi nove anni di pontificato di Papa Francesco
Città del Vaticano – Battuta dalla pioggia e sferzata dal vento ma gremita di fedeli: così si presentava piazza San Pietro nel tardo pomeriggio del 13 marzo 2013. Gli occhi del mondo erano tutti puntati sul camino che svettava sul tetto della Cappello Sistina dal quale, poco dopo le 19, un denso fumo bianco annunciava l’elezione del nuovo Pontefice: Jorge Mario Bergoglio. Al pianeta si presenta con un semplice “buonasera”. Sconosciuto ai più, è un Papa che arriva dall’Argentina, dalla “fine del mondo” come lui stesso ha detto durante la sua prima Urbi et Orbi. Da quel momento si cambia direzione. Bergoglio vuole “una Chiesa in uscita”, che raggiunga tutte le periferie, anche quelle esistenziali.
E non è un caso che la sua prima uscita dai confini del Vaticano fu Lampedusa, estremo confine del Sud Italia. Migliaia di migranti sono morti nelle acque che la bagnano, alla ricerca di un posto migliore dove vivere, dove far crescere i propri figli lontani da guerre e disperazione. Il tutto nell’indifferenza e nel silenzio delle istituzioni. Francesco celebra messa su una barca rovesciata e lancia un appello affinché “ciò che è accaduto non si ripeta”. Un monito rimasto, ad oggi, purtroppo inascoltato.
Ma per il Pontefice la Chiesa deve anche essere “ospedale da campo”, deve poter raggiungere tutte le anime per portare loro la carezza della misericordia divina. E così annuncia un Giubileo straordinario, “sparso”. Ogni Cattedrale del mondo può avere la sua Porta Santa. Francesco apre la prima il 29 novembre 2015 a Bangui, nella Repubblica Centrafricana. Poi è la volta di Roma, in una San Pietro blindata a causa dell’Isis che minaccia l’Occidente. Nei mesi del Giubileo Bergoglio scende in piazza per confessare i ragazzi, si reca in visita agli ospedali, nelle carceri, nelle case famiglia dove trovano rifugio le donne salvate dalla tratta.
L’attenzione agli ultimi e alle periferie è presente anche nelle visite pastorali alle parrocchie della sua Diocesi: il Pontefice argentino le preferisce anche al Laterano per celebrare la festa del Corpus Domini (leggi qui). Una “rivoluzione” che continua anche nella gestione degli affari di Curia. Dà il via alla Riforma (ancora in fase di elaborazione) della Curia Romana; modifica le leggi dello Stato della Città del Vaticano in tema di giustizia (leggi qui), ambiente (leggi qui), e pedofilia. Nel 2019 convoca un Summit (leggi qui) durante il quale i vescovi ascoltano le testimonianze di chi ha subito abusi da parte di religiosi. E alle parole seguono i fatti (leggi qui).
Ma la vera rivoluzione di Papa Francesco sta nel dialogo con le altre confessioni cristiane e religioni. L’incontro con il Patriarca Kirill a Cuba, i diversi abbracci con il grande imam di Al-Azhar (leggi qui), fino alla visita con Al-Sistani (leggi qui)… Momenti storici dove Bergoglio ha sottolineato sempre due aspetti. Primo: le differenze non sono mai un ostacolo, bensì una risorsa (leggi qui). Secondo: non è mai lecito uccidere in nome di Dio. La religione non può essere strumentalizzata, anzi, essa è solo “al servizio della pace” (leggi qui), disse in Campidoglio, lanciando una “scomunica” ai terroristi. E non è stata la sola.
Francesco passerà alla storia – anche – per essere stato il primo Papa a pronunciare una scomunica nei confronti dei mafiosi. Parole dette con fermezza in un’altra periferia esistenziale, la Calabria, e poi ribadite durante il viaggio a Palermo in occasione dei 25 anni dell’omicidio di don Pino Puglisi (leggi qui). “Servono uomini d’amore”, disse al Foro Italico in quell’occasione. Un concetto ribadito, seppur con parole diverse, anche il 27 marzo 2020, quando da solo, in una piazza San Pietro deserta, pregava sotto la pioggia per far finire la pandemia: “Siamo tutti sulla stessa barca” “ma nello stesso tempo tutti chiamati a remare insieme”. Un preludio, assieme al Documento sulla Fratellanza firmato ad Abu Dhabi (leggi qui), all’enciclica “Fratelli tutti” (leggi qui).
Un’enciclica che il Pontefice sta mettendo in pratica con i continui appelli alla pace in Ucraina (leggi qui). Appelli che sono solo la punta dell’iceberg dell’attività diplomatica della Santa Sede, in questi giorni molto attiva, con la figura del Papa in primo piano. La telefonata tra il Pontefice e il presidente ucraino (leggi qui), che ha poi ringraziato il Santo Padre su Twitter, ha fatto seguito alla visita di Bergoglio, nonostante il forte dolore al ginocchio (leggi qui), all’ambasciata russa presso la Santa Sede (leggi qui): un colloquio di mezzora terminato con la proposta del Vescovo di Roma di offrirsi come mediatore fra le parti. C’è stato anche un appello da parte del Segretario di Stato, il cardinale Pietro Parolin, che ha chiesto a Kiev e Mosca di risparmiare il mondo “dall’orrore della guerra” (leggi qui). La settimana scorsa, il Papa ha inviato nell’est Europa due Cardinali (leggi qui) per portare la sua vicinanza (anche concreta) ai profughi e alla popolazione in fuga dalle bombe.
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