Ucraina-Russia: un mese di guerra in Europa con lo spettro della bomba atomica
Analisi affrettate, errori tattici e gravi sottovalutazioni gli errori di Mosca. In mese di guerra anche attacchi, black out, incendi nelle centrali di Chernobyl e Zaporizhzhya
Kiev – 24 febbraio/24 marzo 2022: è passato un mese dall’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina. Un’operazione speciale, come l’ha definita Putin, per smilitarizzare Kiev. Ma, anche se le morsa delle forze russe continua a stringere molte delle principali città ucraine, allo scoccare del primo mese di conflitto nessuno, neanche a Mosca, può ammettere che le cose siano andate come Putin immaginava. All’alba del 24 febbraio sono state poche le ore di avanzata quasi indisturbata, poi la macchina bellica russa – apparentemente inarrestabile – si è fermata e da allora, sul terreno come nei cieli e sui mari, i progressi sono stati limitati.
E Mosca è passata dall’obiettivo di sconfiggere le forze armate di Kiev a una offensiva di artiglieria volta a terrorizzare e demoralizzare i civili. Anche qui, con poco successo, nonostante i massacri. Alla base di questa situazione (inimmaginabile in partenza, vista la disparità di mezzi in campo) una serie di analisi affrettate, di errori tattici e di gravi sottovalutazioni.
Gli errori di Mosca
Mancato supporto dell’opinione pubblica: In teoria una fetta consistente della popolazione ucraina, quella di lingua e cultura russa, avrebbe dovuto salutare i tank di Mosca come forza di ‘liberazione’. I rapporti forniti dall’intelligence – spiega una talpa dei servizi di sicurezza (Fsb) – infatti avrebbero detto a Putin che almeno 2 mila civili armati erano pronti a scendere in piazza in ognuna delle principali città ucraine per abbattere Zelensky mentre altri 5 mila sarebbero scesi in piazza per manifestare a favore di Mosca. Mai visti, anzi, la violenza e la brutalità dell’operazione hanno sconvolto anche la minoranza russofona che ha preso le distanze dall’invasione. ‘Not in my name’, come si diceva un tempo.
Scomparsa politici filorussi: “All’Fsb ci aspettavamo di diventare gli arbitri che avrebbero incoronato i politici ucraini che si sarebbero battuti” per diventare i governanti scelti da Mosca, scrive la stessa fonte dell’Fsb: “avevamo persino definito i criteri per eleggere i migliori” e invece “siamo allo 0%” di realizzazione di quel piano. Anche qui in teoria nel panorama politico di Kiev si contavano almeno undici partiti ‘vicini alla Russia’. Subito dopo l’attacco il presidente Zelensky ne ha sospeso l’attività mentre il leader del più grande, ‘Piattaforma di Opposizione – Per la Vita’ (con 43 parlamentari su 450 totali della Rada) , l’oligarca filorusso Viktor Medvedchuk, amico personale di Putin, è fuggito facendo perdere le sue tracce. Difficile pensare a lui come a un Quisling di Kiev.
Divisioni fra i servizi: E’ evidente che Vladimir Putin ha scatenato l’invasione basandosi su informazioni errate, incomplete o eccessivamente ottimistiche. Nel silenzio che circonda il Cremlino si è comunque aperta la caccia al colpevole, complicata dalla moltiplicazione dei servizi di sicurezza e intelligence. E le prime teste hanno incominciato a cadere: il vice comandante della Guardia nazionale in Russia (Rosgvardia) il generale Roman Gavrilov, sarebbe stato arrestato dall’Fsb, a sua volta colpito dal possibile arresto del generale Sergei Beseda, che guidava il direttorato per l’intelligence estera, e del suo vice, Anatoly Bolukh, a opera dell’Fso, l’agenzia incaricata della protezione diretta del presidente russo. “Va di moda accusarci di tutto” ha spiegato la talpa dellFsb, riconoscendo tuttavia che alcuni rapporti sono stati palesemente esagerati per non deludere i superiori.
Zelensky: Fra gli errori politici più gravi commessi da Mosca, la convinzione che un uomo di spettacolo (un ‘comico’, si spiega con disprezzo) davanti ai carri russi non avrebbe esitato a fuggire lasciando a Kiev un vuoto istituzionale che i filo-russi avrebbero subito riempito. Invece Zelensky non solo non ha mai lasciato la capitale, ma da conoscitore dell’importanza dello ‘spettacolo’ ha occupato la scena dell’invasione prima mostrandosi come un combattente vicino al sacrificio supremo (“Forse è l’ultima volta che mi vedete vivo” disse in un videocollegamento), quindi via via come un leader internazionale impegnato in un flusso continuo di contatti e consultazioni. Tweet a getto continuo per ringraziare tutti i paesi ‘vicini’, video a ogni ora del giorno e della notte, interventi quotidiani nei principali parlamenti mondiali, riprese improvvisate dal centro di Kiev per dimostrare che il presidente è al suo posto e lavora per il paese. E poi la divisa d’ordinanza, con t-shirt e giubbotto mimetici, che gli è valsa anche qualche critica per ‘mancanza di rispetto’. Ma soprattutto, Zelensky – sopravvissuto a diversi tentativi di omicidio in queste quattro settimane – non ha sbagliato le mosse diplomatiche, toccando le corde giuste dell’Occidente e lanciando a Putin messaggi di disponibilità a un accordo (inclusa la rinuncia all’adesione alla Nato e forse la ‘concessione’ della Crimea), parlando non da leader nell’angolo bensì da interlocutore alla pari. E comunque vada, per il presidente russo sarebbe una sconfitta.
Comunicazione: Oggi, per non dare informazioni preziose al nemico, la censura si è in parte abbattuta sulle comunicazioni – anche private – degli ucraini. Ma nei primi giorni il mondo ha potuto assistere in diretta, in forma mai vista, a una informazione totale su un conflitto in corso. Social, video, servizi tv, nulla è stato taciuto, dagli ucraini come dai giornalisti stranieri presenti. Ogni aereo abbattuto è stato documentato, riscaldando il cuore degli ucraini, ogni prigioniero è stato mostrato nella sua debolezza. Poche ore dopo l’invasione Kiev ha aperto un sito dedicato alle mamme russe, con tanto di foto e video dei figli catturati o dei loro cadaveri. Evidente il tentativo di far salire il livello di opposizione interna all’Operazione Speciale. E poi ancora chiamate a casa dei prigionieri, esposti nella loro fragilità. Anche molta disinformazione e propaganda, normali in guerra. Ancora una volta è l’Fsb a sintetizzare al meglio la situazione: gli ucraini “sono stati incommensurabilmente migliori” dei russi nella ‘guerra di informazioni’ sia perché a Mosca regnava “la segretezza” sull’attacco sia perché all’inizio Mosca voleva soprattutto convincere Kiev “a smettere di resistere”. Il risultato – si evidenzia da Mosca – è che “abbiamo subìto un dominio totale della comunicazione ‘esterna’: sul piano dell’informazione nei primi giorni è stata una sconfitta totale” per la Russia. Kiev creava leggende e dava comunicazioni “abbastanza reali dal campo di battaglia, mentre noi non abbiamo trasmesso questo tipo di informazioni: è qui che la lezione degli americani sembra aver dato i risultati maggiori”.
Qualità armamenti: Non è solo una questione di numeri. L’elenco dei tank distrutti, dei blindati andati a fuoco, degli aerei e degli elicotteri abbattuti è impressionante, anche solo a dare retta a osservatori indipendenti. Ma quello che impressiona è la facilità con cui i mezzi russi vengono identificati e distrutti e la scarsa qualità delle attrezzature: in alcuni video militari ucraini osservano con un certo stupore che i carri armati di Mosca sono “persino più vecchi” dei loro. I droni turchi centrano i loro bersagli senza troppi problemi mentre i Javelin fanno strage di Mig. Secondo una contabilità indipendente, tempo pochi giorni e Mosca (già a corto di uomini) si troverà in riserva con munizioni, carburante e altri sistemi logistici. E’ chiaro che si contava su una blitzkrieg, per una guerra di posizione serviva una diversa preparazione, e forse ora è troppo tardi.
Catena di comando: Un dato macabro rende l’idea: a oggi sono almeno cinque i generali russi uccisi dall’inizio dell’invasione più un numero indefinito (ma elevato) di alti ufficiali. Nelle ultime guerre, dalla seconda metà del Novecento in poi, non si erano mai registrate perdite così alte a questi livelli (neppure per gli americani in tanti anni di Vietnam). Segno che per gestire una operazione così complessa i vertici militari russi sono dovuti andare in prima fila, rischiando la vita. E’ il simbolo di una catena di comando incerta e soggetta a ‘interruzioni’: in una parola, impreparazione. E per ogni ufficiale ucciso, c’è un’offensiva che si arresta, un reparto che si trova allo sbando, in un esercito dal morale già basso e fiaccato dalle perdite. Sul fronte opposto, le perdite sono minori, e la distanza fra stato maggiore e truppe sul campo è assai più ridotta (anche in termini geografici). Se si aggiunge la motivazione di un esercito che difende la sua terra, ed è pronto a trasformare ogni strada – di un paese enorme, peraltro – in un campo di battaglia, la risultante è una offensiva che si è fermata con gli attaccanti che potrebbero essere presto costretti a difendersi o ad arretrare. Comunque vada, l’immagine delle forze armate russe ne resterà macchiata per decenni.
L’Occidente: Con la Nato impossibilitata a intervenire, il rischio era che l’Occidente avrebbe semplicemente alzato una cortina di parole, senza trasformare le dichiarazioni in atti concreti. Invece, dopo avere assistito quasi in maniera inerte alle ‘altre guerre’ di Putin, questa volta Stati Uniti, Europa, Giappone, e persino la neutrale Svizzera hanno trovato una voce sola di condanna. E soprattutto hanno agito con rapidità e durezza: non c’è la no fly zone invocata da Zelensky, ma le armi silenziosamente affluiscono in direzione di Kiev, le sanzioni sono inaudite per dimensioni ed efficacia, mentre l’isolamento ‘fisico’ della Russia (sul versante occidentale, almeno) è pressoché totale. Segno che in molti hanno compreso che lo scontro andava al di là della dimensione ucraina ma poteva essere – se non fermato in tempo – il preludio di nuove più laceranti battaglie. Certo, il gas russo continua ad affluire in direzione dell’Europa, ma a Bruxelles è emersa la consapevolezza che non si può più dipendere da un dittatore per la propria energia. Tempo qualche anno e le forniture di Mosca non saranno così importanti. Per il momento, anche l’Occidente paga un prezzo pesante, in termini di costi energetici, mancati commerci e inflazione. Se la crisi non dovesse durare troppo a lungo, sarebbe una cicatrice destinata a non lasciare traccia. Anche qui, il fattore tempo è cruciale.
Cina: “Non ci sono limiti nelle relazioni tra Cina e Russia”. Questa frase, emersa alla fine dei colloqui di Putin con Xi Jinping all’apertura delle Olimpiadi invernali, sembra con il senno di poi l’ ‘inganno’ più crudele che ha spinto il presidente russo a lanciare l’attacco a Kiev. Mosca – che condivide con Pechino una visione imperiale e anti-democratica – era probabilmente convinta che la Cina sarebbe corsa al suo fianco contro l’Occidente, offrendo sostegno politico ed economico contro le immancabili sanzioni. Invece, dopo un mese di guerra, Pechino resta una sfinge. Non vorrebbe che l’Occidente piegasse Mosca, ma non intende farsi trascinare da Putin nello scontro globale (in un momento di forte debolezza interna sul piano finanziario ed economico). Non solo: se – come ipotizza il Wall Street Journal – l’invasione dell’Ucraina segnerà la ‘scomparsa’ della Russia come superpotenza, è evidente che si creera’ un vuoto di cui Pechino potrebbe approfittare per rafforzare la sua centralità nello scacchiere globale. E Mosca, anzichè partner alla pari nel ‘mondo nuovo’, sarebbe un satellite di Pechino. Normale, se si considera il rapporto di uno a dieci che divide i due paesi, dalla popolazione al Pil.
Bielorussia, Siria, Cecenia: In queste settimane si sono rincorse in continuazione voci di contributi militari – sempre più necessari – da parte degli ‘amici di Putin’: dal presidente bielorusso Lukashenko al siriano Assad, passando per il leader ceceno Kadyrov. La realtà è che Minsk appare riluttante (per non minare i propri equilibri interni), Damasco non riesce a mobilitare che manipoli di volontari – sospettati anche di voler solo provare a emigrare in Europa – e i temibili miliziani inviati da Grozny hanno già subito fortissime perdite, nonostante la retorica jihadista.
Insomma, sul campo, la Russia è sola e non si vedono grosse novità all’orizzonte. Può contare solo sui suoi soldati (male armati, depressi, costretti a saccheggiare le abitazioni in cerca di cibo) ma soprattutto sul suo arsenale nucleare. Nel suo delirio, suggeriscono gli stessi servizi russi, Putin potrebbe essere tentato di dare una dimostrazione con un attacco su scala ‘locale’ – si fa per dire – magari in aree disabitate. Ma per il presidente russo vorrebbe dire scendere nel ‘bunker della Cancelleria’. Dal quale, come la Storia insegna, non si esce vivi. (fonte Adnkronos)
Lo spettro di una nuova Chernobyl
Un mese di guerra costantemente accompagnato anche dalla paura del lancio di una bomba nucleare. O una seconda Chernobyl. Lo spettro di un incidente, causato o accidentale, in uno dei 15 reattori nucleari ha caratterizzato il conflitto sin dall’inizio. Al 25 febbraio, la dismessa centrale nucleare di Chernobyl, teatro, nel 1986, del peggior disastro nucleare europeo, è già sotto controllo russo e il timore è che le azioni militari nell’area possano portare all’irreparabile. Tanto che già il 28 febbraio l’Ensreg (European Nuclear Safety Regulators Group) ha dovuto convocare una riunione straordinaria per chiedere di assicurare la possibilità al personale operativo e all’autorità di regolamentazione Snriu di svolgere, “senza indebite pressioni”, i propri compiti per garantire la sicurezza della centrale. Ed esprimendo timore per i potenziali danni alle strutture.
Snriu (State Nuclear Regulatory Inspectorate of Ukraine) che ha subito segnalato un aumento dei livelli di radioattività “probabilmente da attribuire ad attività militari nell’area”. Ma l’allarme non hanno fermato le azioni di guerra e i combattimenti che a più riprese hanno messo a rischio l’integrità e la sicurezza delle centrali. Il 4 marzo la centrale di Zaporizhzhia viene colpita dall’artiglieria russa. “Per la prima volta nella storia dell’uomo uno Stato terrorista ha fatto ricorso al terrorismo nucleare’ – ha dichiarato nell’occasione il presidente ucraino Zelensky – Nessuno Stato, tranne la Russia, aveva mai colpito una centrale nucleare”.
Parole che hanno trovato eco in quelle dell’ambasciatore ucraino all’Onu, Serhiy Kyslytsya, intervenuto al Consiglio di Sicurezza sull’attacco russo alla centrale nucleare di Zaporizhzhya: “La Russia – ha detto – si è deliberatamente impegnata in un attacco armato ad una centrale nucleare che ha violato tutti gli accordi internazionali dell’Agenzia internazionali per l’energia atomica (Aiea)”.
Lo scenario di guerra, in un paese che ospita 15 reattori nucleari in funzione, due in costruzione oltre ai 4 di Chernobyl, preoccupa sempre di più. Lo conferma il direttore dell’Isin Maurizio Pernice: “I combattimenti hanno coinvolto seppur marginalmente anche Chernobyl e, ieri, la centrale di Zaporizhzhya con le note conseguenze. Per fortuna i dati sulla condizione degli impianti sono rassicuranti, non si segnalano alterazioni nei livelli di radioattività. Siamo tuttavia davanti a una situazione che richiede la massima attenzione e la massima allerta”.
Sulla questione interviene il 6 marzo anche il direttore generale dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica Rafael Mariano Grossi, dicendosi ”profondamente preoccupato” per le notizie che arrivano dall’Ucraina circa la centrale nucleare di Zaporizhzhya, dove il personale regolare continua a far funzionare la centrale nucleare “ma la gestione dell’impianto è ora agli ordini del comandante delle forze russe che controllano il sito”, con tutte le difficoltà di comunicazione che ne derivano.
L’8 marzo la stessa Aiea riferisce di aver perso i contatti con il sistema di trasmissione dei dati dei sistemi di controllo della sicurezza della centrale di Chernobyl, sotto il controllo russo. Oltre a sollevare forti preoccupazioni “per la situazione difficile e stressante che deve affrontare il personale della centrale nucleare di Chernobyl e per i potenziali rischi che ciò comporta per la sicurezza nucleare”.
La difficile situazione in cui si trova ad operare lo staff delle centrali viene denunciata anche da Energoatom, l’azienda di Stato ucraina che si occupa della gestione delle quattro centrali nucleari attive nel territorio del Paese nonché del disarmo dei tre reattori superstiti della centrale di Černobyl: “Zaporizhzhya Npp e la città di Energodar sono sotto il controllo delle formazioni militari russe da 5 giorni” e “i dipendenti della centrale sono sottoposti a forti pressioni psicologiche da parte degli occupanti”.
Il 9 marzo il nuovo allarme: la centrale Chernobyl risulta disconnessa dalla rete elettrica. Energia elettrica che serve in particolare per raffreddare le vasche in cui è immerso il combustibile usato, oramai decenni fa, nei reattori della centrale. Uno stop che “viola le basi di sicurezza cruciali per garantire forniture ininterrotte di energia”, fa sapere l’Aiea. Il giorno dopo, i sistemi dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica che servono a monitorare la centrale nucleare di Zaporizhzhia smettono di trasmettere dati.
Nei giorni seguenti si intensificano gli sforzi per fornire energia alla centrale in ogni modo e ripristinare delle forniture di energia elettrica alla centrale. Il 13 marzo la situazione sembra rientrare. Ma il 14 marzo arrivano notizie di esplosioni alla centrale Zaporizhzhya e di nuovi danni alla rete elettrica che alimenta la centrale nucleare di Chernobyl e la città di Slavutych. Questa volta, secondo il suo ministero dell’Energia, a intervenire sarebbe stata la Bielorussia, fornendo elettricità alla centrale; secondo l’Aiea ”gli specialisti ucraini sono riusciti a riparare una delle due linee danneggiate che collegano l’impianto alla rete elettrica”.
In una successiva intervista, il presidente della Bielorussia, Alexander Lukashenko, intervistato dalla tv giapponese ‘Tbs’, è tornato sulla vicenda affermando che sarebbe stato il presidente russo Vladimir Putin a interessarsi in prima persona per ripristinare l’energia elettrica alla centrale di Chernobyl ed evitare così un disastro. “Putin mi ha chiamato (era già notte) e mi ha informato che questo rappresentava un grande pericolo per l’Europa”, ha detto Alexander Lukashenko.
Ripristinata l’elettricità, la preoccupazione non rientra. Il 20 marzo, dopo 600 ore di estenuante lavoro, parte del personale della centrale nucleare di Chernobyl è stato finalmente sostituito da 46 volontari che assicureranno il funzionamento in sicurezza della centrale atomica dismessa. È stato il primo cambio di personale ucraino lì da quando le forze russe hanno preso il controllo dell’area il 24 febbraio. E non cessano le azioni militari in queste aree sensibili: il 22 marzo, il Parlamento di Kiev riferisce di diversi incendi scoppiati vicino alla centrale nucleare di Chernobyl. Si tratterebbe di sette incendi boschivi causati probabilmente dal fuoco di artiglieria o da azioni dolose nella zona in mano alle forze russe.
Ad oggi, stando a quanto comunica l’Aiea, l’Ucraina non ha segnalato altri importanti sviluppi in merito alla sicurezza nucleare e i sistemi di sicurezza continuano a funzionare nelle quattro centrali nucleari operative del paese mentre i livelli di radiazione rimangono a livelli normali. Si monitora anche in merito alle notizie degli incendi. Dei 15 reattori ucraini, situati in quattro siti, il regolatore ha affermato che otto sono operativi, di cui due nella centrale nucleare di Zaporizhzhya controllata dalla Russia, tre a Rivne, uno a Khmelnytskyy e due nell’Ucraina meridionale. L’Agenzia continua a non ricevere la trasmissione di dati a distanza dai sistemi di monitoraggio installati presso la centrale nucleare di Chernobyl.
Ma una voce di preoccupazione si leva anche in seno all’Organizzazione mondiale della Sanità: “Siamo preoccupati per l’integrità e la sicurezza operativa degli impianti nucleari e chimici” che potrebbero trovarsi coinvolti negli attacchi all’Ucraina. “L’Organizzazione mondiale della sanità sta lavorando con l’Agenzia internazionale per l’energia atomica “e continuiamo a chiedere a tutte le parti” coinvolte nel conflitto “di ridurre al minimo il rischio di un incidente nucleare o chimico, che potrebbe avere conseguenze catastrofiche per la salute umana”, ha dichiarato il direttore generale Tedros Adhanom Ghebreyesus. (fonte Adnkronos)