Sul lungomare di Ostia una fiaccolata per Antonio, il bimbo che morì sulla Colombo
Undici anni appena, Antonio morì per un’insufficienza cardio-respiratoria l’11 aprile di tre anni fa. Rinviati a giudizio i medici che lo visitarono in pronto soccorso
Ostia – Una fiaccolata sul lungomare di Ostia, circondata dagli amici più cari e dai tanti concittadini che, negli anni, le sono rimasti vicini. E’ così che oggi mamma Ioana ricorderà suo figlio Antonio Bertoni, scomparso a soli undici anni l’11 aprile di tre anni fa nel disperato tentativo di raggiungere il pronto soccorso dell’ospedale San Camillo.
La passeggiata, a cui hanno aderito già un centinaio di persone, avrà inizio intorno alle ore 18: partirà dal civico 41 del lungomare Lutazio Catulo (all’altezza dello stabilimento Kursaal) e arriverà fino a piazzale Magellano. “Lì – spiega a ilfaroonline.it la madre di Antonio – ci fermeremo in spiaggia per una preghiera e faremo volare dei palloncini e qualche lanterna”.
L’undicenne è morto d’insufficienza cardio-respiratoria nel traffico della via Cristoforo Colombo, all’altezza del quartiere Infernetto, dopo essere stato rimandato a casa per ben cinque volte dal pronto soccorso del Bambin Gesù di Roma. “Avevo deciso di cambiare ospedale perché nessuno, lì, voleva darmi ascolto – sostiene Ioana -. Mio figlio non respirava, e loro ci avevano detto che era soltanto un laringospasmo. Ma io sentivo che Antonio stava molto, molto male, e così ho deciso di andare al San Camillo dove però, purtroppo, non siamo mai arrivati“.
E’ servita l’autopsia perché, finalmente, si scoprisse la verità: Antonio soffriva di un tumore, un linfoma linfoblastico, che nessuno gli aveva mai diagnosticato. “Abbiamo saputo della massa tumorale quando ormai mio figlio non c’era più“, racconta la mamma.
Adesso, gli ultimi tre medici che hanno visitato Antonio al Bambin Gesù sono stati rinviati a giudizio con l’accusa di omicidio colposo: il processo inizierà il 10 maggio del 2023. “Io non li accuso di aver ucciso mio figlio – chiarisce Ioana -, ma di non avergli dato neanche una possibilità di sopravvivenza. Mi hanno presa per una mamma paranoica, ma le madri sanno quando i loro bambini non stanno bene. Adesso voglio andare fino in fondo”.
Antonio e sua madre abitavano all’Infernetto da neanche cinque mesi quando l’undicenne è tragicamente scomparso. E’ stato tanto, però, l’affetto dimostrato dai residenti della zona, che anche in quest’occasione hanno voluto offrire a Ioana tutto il sostegno possibile, fornendole il necessario per la fiaccolata e aderendo in decine. “Anche se non ci vivo più, adesso torno sempre volentieri nel quartiere – confessa Ioana -. E non me la prendo con chi oggi non potrà partecipare, perché mi rendo conto che ognuno ha la sua vita e i suoi impegni. Questa è una cosa che faccio per me, per stare un po’ meglio, e non deve essere un obbligo per nessuno”.
“All’inizio – dice – non volevo parlare con nessuno, non volevo raccontare o rivivere quei momenti. Adesso, invece, voglio che tutti sappiano la verità, che tutti sappiano cos’è successo quel giorno di tre anni fa in cui la mia vita è cambiata per sempre. Perché a nessuno debba più capitare quello che è capitato al mio bambino”.
Per dovere di cronaca, e a tutela di chi è indagato, ricordiamo che un’accusa non equivale a una condanna, che le prove si formano in Tribunale e che l’ordinamento giudiziario italiano prevede comunque tre gradi di giudizio.
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