È morto Benedetto XVI, addio al Papa che per primo lottò contro la pedofilia
Il Pontefice emerito si è spento alle ore 9.3 nelle sue stanze del monastero Mater Ecclesiae, in Vaticano
Città del Vaticano – Dopo dieci anni di “silenzio” e preghiere, Papa Benedetto XVI si è spento oggi, sabato 31 dicembre 2022, alle ore 9.34, all’età di 95 anni. L’ultimo respiro è stato esalato nelle stanze del monastero Mater Ecclesiae, la sua casa da quando rinunciò al ministero petrino. Ad annunciare al mondo la morte del Papa emerito i rintocchi del campanone della basilica di San Pietro.
Accanto a lui le fidate memores domini, le consacrate laiche della fraternità di Comunione e Liberazione, che lo accudiscono dal momento della rinuncia. Nelle ultime ore, al suo capezzale, anche il fidato Gaenswein, rientrato in fretta da un breve periodo di congedo che aveva preso per salutare la famiglia per le festività natalizie.
La Santa Sede fa sapere che dalla mattina di lunedì 2 gennaio 2023, il corpo del Papa Emerito sarà nella basilica di San Pietro in Vaticano per il saluto dei fedeli.
La Chiesa piange uno dei teologi più brillanti della contemporaneità, il mondo uno degli intellettuali più arguti: presentatosi al mondo come “un semplice e umile lavoratore nella vigna del Signore” (parole pronunciate dallo stesso Ratzinger quando si affacciò dalla loggia delle benedizioni subito dopo la sua elezione), Benedetto XVI passerà alla storia come un Pontefice rivoluzionario, il primo a rinunciare al suo ministero di Vescovo di Roma nell’era moderna.
Il suo pontificato, ufficialmente, non è finito oggi, ma alle 20 del 28 febbraio 2013, quando – tra le lacrime – due guardie svizzere chiudevano il portone della Villa Pontificia di Castel Gandolfo.
“Sono semplicemente un pellegrino che inizia l’ultima tappa del suo pellegrinaggio in questa terra. Ma vorrei ancora, con il mio cuore, con il mio amore, con la mia preghiera, con la mia riflessione, con tutte le mie forze interiori, lavorare per il bene comune e il bene della Chiesa e dell’umanità”, fu il saluto alla folla che riempiva lo spiazzo davanti a quella che un tempo era la residenza estiva dei Papi.
Le immagini dell’elicottero che sorvolano la Capitale, mentre tutte le campane delle chiese di Roma suonavano a distesa per salutare il Vicario di Cristo in terra, resteranno scolpite nella memoria di tutti come indelebili pagine di storia.
Da quel momento, poche sono state le apparizioni pubbliche di Ratzinger, tutte contrassegnate dall’abbraccio con il suo successore: il concistoro del 22 febbraio del 2014, quando nella basilica di San Pietro si tolse lo zucchetto bianco in segno di rispetto del Papa regnante; la canonizzazione di Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II, il 27 aprile del 2014.
E ancora, l’abbraccio, sullo sfondo sempre la basilica di San Pietro, durante la beatificazione di Paolo VI, il 19 ottobre 2014. In occasione del Giubileo Straordinario del 2015, Ratzinger fu il primo a varcare la Porta Santa aperta da Bergoglio. Anche quel giorno, nonostante la pioggia e le tensioni che si respiravano in tutta Roma a causa dell’alto rischio di attentati, l’abbraccio tra Ratzinger e Bergoglio caratterizzò l’8 dicembre 2015.
Non solo: gli auguri in occasione del Natale e della Pasqua, portati da Francesco a Benedetto ogni anno, o il saluto di tutti i nuovi cardinali creati da Bergoglio che, al termine di ogni Concistoro, si recavano al Mater Ecclesiae per salutare il “nonno” della Chiesa, come lo aveva amorevolmente chiamato Francesco.
Abbracci accompagnati anche da dialoghi, primo fra tutti quello avvenuto a Castel Gandolfo nel marzo del 2013, quando Raztinger e Bergoglio si incontrarono per la prima volta.
“Siamo fratelli”, disse Francesco a Benedetto, prima del colloquio di oltre 40 minuti avvenuto nella biblioteca. Un colloquio durante il quale Ratzinger rinnovò la sua “riverenza e obbedienza” al suo successore (come aveva già annunciato l’11 febbraio nella sua declaratio), oltre a mostrargli l’esito dell’inchiesta interna su Vatilieaks. Incontri preziosi per la vita della Chiesa e dei cattolici, che da soli bastano a smentire qualsiasi voce di corridoio che voleva una netta contrapposizione tra i due Papi, differenti nello stile ma fedeli al Magistero e alla Dottrina.
Lo scandalo della pedofilia e la tolleranza zero
Cosa rimane del pontificato di Benedetto XVI? Oltre alle forti e ingiuste critiche da parte della stampa, parlano i fatti: Ratzinger è stato il primo Pontefice a dichiarare guerra alla pedofilia. Il mantra “tolleranza zero” che Bergoglio ha fatto suo, è stato in realtà “coniato” dal suo predecessore che già prima di salire sul trono di Pietro, aveva messo anima e cuore nella lotta a quella che è ancora oggi una piaga della Chiesa cattolica. E le prove sono sotto gli occhi di tutti.
Ad esempio, nel dicembre del 2010, mons. Juan Ignacio Arrieta (segretario del Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi) ha pubblicato un articolo con le prove documentali della lotta di Ratzinger contro la pedofilia fin da quando era cardinale. Nel testo, il monsignore riporta le lettere con l’allora cardinale sollecitò in più occasioni una riforma del Diritto Canonico per punire i responsabili “di gravissimi ed aberranti delitti”.
In una di quelle lettere, datata 1988, Ratzinger scriveva: “Eminenza, questo Dicastero, nell’esaminare le petizioni di dispensa dagli oneri sacerdotali, incontra casi di sacerdoti che, durante l’esercizio del loro ministero, si sono resi colpevoli di gravi e scandalosi comportamenti […]. Sarei pertanto grato all’Eminenza Vostra Rev.ma se potesse far conoscere il Suo apprezzato parere circa l’eventuale possibilità di prevedere, in casi determinati, una procedura più rapida e semplificata”.
La tematica emerse anche poco prima della sua elezione al Soglio di Pietro, quando nel 2005, nel redigere i testi per la Via Crucis del Colosseo, Ratzinger denunciò “La sporcizia che c’è nella Chiesa”. E ancora, nel viaggio apostolico compiuto negli Stati Uniti del 2008, Benedetto XVI iniziò una bella pratica, portata avanti poi dal suo successore, ovvero quella di incontrare le vittime dei preti pedofili (l’incontro avvenne il 17 aprile nella nunziatura di Washington). A questi incontri sono poi seguiti quelli con le vittime in Australia (2008), a Malta (2010), in Inghilterra (2010).
Tra tutti gli scritti, il documento fondamentale che ha mostrato la determinazione di Benedetto XVI contro la pedofilia è la Lettera ai cattolici d’Irlanda, in cui scrive: “Non posso che condividere lo sgomento e il senso di tradimento che molti di voi hanno sperimentato al venire a conoscenza di questi atti peccaminosi e criminali e del modo in cui le autorità della Chiesa in Irlanda li hanno affrontati […] Da parte mia, considerando la gravità di queste colpe e la risposta spesso inadeguata ad esse riservata da parte delle autorità ecclesiastiche nel vostro Paese, ho deciso di scrivere questa Lettera Pastorale per esprimere la mia vicinanza a voi, e per proporvi un cammino di guarigione, di rinnovamento e di riparazione”.
Non va poi dimenticato che Joseph Ratzinger nel 2001 firmò le nuove norme della Chiesa contro la pedofilia contenute nel documento De delictis gravioribus. Il testo fu redatto per dare corso al motu proprio Sacramentorum sanctitatis tutela di Giovanni Paolo II che, proprio per evitare insabbiamenti a livello locale, decise di trasferire tutto quello che riguardava la pedofilia nella Chiesa nelle mani della Congregazione per la Dottrina della Fede.
Fu lui a dettare le prime linee guida con i criteri fondamentali: informare la Santa Sede, seguire le disposizioni della giustizia civile e allontanare il sospetto dalle attività pastorali. Dopo cinque anni dall’elezione, nel luglio del 2010, vennero apportate nuove modifiche alle norme della De delictis gravioribus redatte dalla Congregazione per la dottrina della fede, modifiche approvate dallo stesso Papa.
La normativa prevedeva che il termine di prescrizione fosse elevato da dieci a vent’anni, le procedure venissero snellite e semplificate e, nei casi più gravi, si potesse chiedere al Papa la dimissione dalla stato clericale. Si precisa, come del resto già nelle procedure del 2003, che “va sempre dato seguito alle disposizioni della legge civile per quanto riguarda il deferimento di crimini alle autorità preposte”.
L’anno successivo, nel maggio 2011, Benedetto XVI fa pubblicare la “Lettera Circolare della Congregazione per la dottrina della fede per aiutare le Conferenze Episcopali nel preparare Linee guida per il trattamento dei casi di abuso sessuale nei confronti di minori da parte di chierici”. Nella missiva veniva messo in evidenza che tra le importanti responsabilità del Vescovo diocesano c’è il dovere di dare una risposta adeguata ai casi eventuali di abuso sessuale su minori. Tale risposta comporta l’istituzione di procedure adatte ad assistere le vittime di tali abusi, nonché la formazione della comunità ecclesiale in vista della protezione dei minori. Ma questa risposta dovrà provvedere all’applicazione del diritto canonico in materia, e, allo stesso tempo, tener conto delle disposizioni delle leggi civili. E così continuò la sua lotta.
Fino a quell’11 febbraio 2013, quando spiazzò il mondo con la sua declaratio. Per i cattolici fu un fulmine a ciel sereno, al quale seguì a una vera e propria saetta che quella sera stessa cadde dal cielo colpendo il cupolone. Una scelta coraggiosa maturata non in occasione della visita pastorale a L’Aquila, quando Ratzinger vi andò dopo il violento terremoto del 2009. Quel giorno il Pontefice omaggiò Celestino V (che rinunciò anch’esso al ruolo di Papa), con il pallio, la fascia di lana bianca che indossano arcivescovi e Papi durante le celebrazioni liturgiche. Viene però difficile pensare che Benedetto XVI riflettesse già su un addio al ruolo di capo della Chiesa cattolica quattro anni prima dell’annuncio ufficiale.
L’ex direttore dell’Osservatore Romano, Giovanni Maria Vian, in un editoriale di prima pagina intitolato “Il futuro di Dio”, che accompagna l’apertura proprio sull’addio al pontificato di Benedetto XVI, scrisse che la decisione era stata presa “da molti mesi, dopo il viaggio in Messico e a Cuba, in un riserbo che nessuno ha potuto infrangere” (il viaggio del Papa a Cuba e Messico si svolse poco meno di un anno prima della declaratio fatta ai cardinali, dal 23 al 29 marzo 2012).
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Una vita vissuta per la Chiesa
Una vita, quella di Joseph Ratzinger, votata allo studio, alla scrittura, alla preghiera e, soprattutto, al bene della Chiesa. Fin dalla gioventù, quando, la fede e l’educazione della sua famiglia lo hanno preparato alla dura esperienza della dittatura di Hitler. Lo stesso Ratzinger ha ricordato di aver visto il suo parroco bastonato dai nazisti prima della celebrazione della Santa Messa e di aver conosciuto il clima di forte ostilità nei confronti della Chiesa cattolica in Germania.
Eppure, nonostante questa difficile situazione, proprio in quegli anni, scoprì la bellezza e la verità della fede in Cristo. Fondamentale, in questo, è stato il ruolo della sua famiglia che ha sempre continuato a vivere una cristallina testimonianza di bontà e di speranza radicata nell’appartenenza consapevole alla Chiesa. Dopo la guerra si è concentrato sugli studi di filosofia e teologia presso presso l’Università di Monaco. Nel 1951 l’ordinazione sacerdotale.
Anche con la talare ha continuato con la vita d’accademia, ma dall’altra parte della cattedra, come insegnante. Diversi gli incarichi svolti nella Conferenza Episcopale Tedesca, Importante è stata la sua partecipazione al Concilio Vaticano II con la qualifica di “esperto” che egli ha vissuto anche come conferma della propria vocazione da lui definita “teologica”.
Il 25 marzo 1977 Papa Paolo VI lo ha nominato Arcivescovo di München und Freising. Sempre Papa Montini lo ha creato Cardinale, del Titolo di Santa Maria Consolatrice al Tiburtino, nel Concistoro del 27 giugno 1977. Tanti gli incarichi che ha svolto Oltretevere, fino a quando, nel 1981, Papa Giovanni Paolo II lo ha nominato Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede.
Il 6 novembre 1998 è stato nominato Vice-Decano del Collegio Cardinalizio e il 30 novembre 2002 è divenuto Decano, prendendo possesso del Titolo della Chiesa Suburbicaria di Ostia. Preziosa la sua collaborazione al pontificato di Papa Wojtyla. Al Cardinale Ratzinger sono state affidate le meditazioni della Via Crucis 2005 celebrata al Colosseo. In quell’indimenticabile Venerdì Santo, Giovanni Paolo II, stretto, quasi aggrappato al Crocifisso, in una struggente “icona” di sofferenza, ha ascoltato in silenzioso raccoglimento le parole di colui che sarebbe divenuto il suo Successore sulla Cattedra di Pietro.
L’8 aprile 2005, come Decano del Collegio Cardinalizio, ha presieduto i funerali di Giovanni Paolo II in piazza San Pietro. La sua omelia, si può dire, ha espresso la grande fedeltà al Papa e la sua stessa missione.
Alla vigilia della sua elezione al Soglio Pontificio, nella mattina di lunedì 18 aprile, nella basilica vaticana, ha celebrato la Santa Messa pro eligendo Romano Pontifice insieme con i 115 Cardinali, a poche ore dall’inizio del Conclave che lo avrebbe eletto.
“Il nostro ministero – ha ricordato in quell’omelia – è un dono di Cristo agli uomini, per costruire il suo corpo – il mondo nuovo. Viviamo il nostro ministero così, come dono di Cristo agli uomini! Ma in questa ora, soprattutto, preghiamo con insistenza il Signore, perché dopo il grande dono di Papa Giovanni Paolo II, ci doni di nuovo un pastore secondo il suo cuore, un pastore che ci guidi alla conoscenza di Cristo, al suo amore, alla vera gioia”. Poi, il 19 aprile, la fumata bianca e l’affaccio in piazza San Pietro con indosso la talare e la zucchetto bianco. Quello che è accaduto dopo è storia.
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