Presunti maltrattamenti sulle ginnaste, Maccarani si difende: “Mai offeso nessuno”
La Procura di Monza ha aperto un’indagine nei confronti della Direttrice Tecnica della Nazionale di Ritmica
Dopo le accuse delle sue allieve di presunti maltrattamenti ricevuti e l’apertura delle indagini da parte della Procura di Monza (anche nei confronti della sua collaboratrice Olga Tishina), Emanuela Maccarani si difende. Lo fa attraverso le pagine de Il Corriere della Sera, grazie a una lunga intervista. L’allenatrice e direttrice tecnica della Nazionale di Ginnastica Ritmica spiega la sua versione dei fatti.
Di seguito l’intervista.
“Mai pronunciato certe frasi, vedo una regia mediatica”
“Non trovo un senso ma capisco che c’è una nuova sensibilità verso body shaming, bullismo, abusi, violenza verbale. E c’è chi ha ritenuto di farci un investimento. Con i social, poi, viaggia tutto velocissimo. Ho letto frasi identiche nello scandalo della ginnastica in Svizzera e negli Usa: maialino, sei grassa… Frasi che io non ho mai pronunciato. Vedo una regia mediatica, ora tocca alla ritmica. Ed è giustissimo occuparsene, lo stavo già facendo sotto la mia direzione tecnica”.
“Accuse arrivano da chi non è andato all’Olimpiade”
“Arrivano tutte da ginnaste che non hanno fatto le Olimpiadi, guarda caso. Galtarossa, quella dell’”abbiamo un maialino in squadra”, nel 2013 è diventata mia assistente: la pesa fino a Rio la faceva lei. Certo che può essere successo che duecento bambine in tutto il Paese abbiano avuto la percezione di essere state maltrattate, ma l’accademia di Desio cosa c’entra? Non posso rispondere per tutta Italia. Spero che non mi usino come capro espiatorio perché, come tutti, vorrei rispondere solo delle mie azioni. Dopo Tokyo volevo lasciare, ma la Federazione non ha trovato una sostituta: con i risultati, con la vita che faccio e gli stipendi che ci sono, non è un ruolo da tutti… L’opinione pubblica ora mi vede come la cattiva: come può la Federazione non mandarmi via”.
“Mai maltrattato nessuno, nella ritmica c’è un metodo”
“Però mi devono spiegare perché: cosa ho fatto? E a chi? A quel punto sentiranno la mia risposta. C’è una scuola, c’è un metodo, vinciamo da vent’anni. Non è per niente banale. Se le emozioni le tiri fuori, le provi. Io non ho mai maltrattato nessuno. La ritmica è uno stato d’animo. Le ginnaste azzurre sono belle, leggiadre, armoniose. Impossibile fingere. Da ginnasta io non sono stata vessata in alcun modo. Il mio motto è: fai il contrario di ciò che hai visto fare male. Alla Nazionale si arriva con un percorso e rispettando dei canoni: lo sport è per tutti, l’alto livello no. Io preparo il giardino, le Farfalle arrivano e si posano: 11 mesi all’anno all’accademia, io sono lì per loro. Sono coach, non mamma, ma se qualcuna mi chiede un abbraccio non mi tiro indietro. E prenoto anche la pedicure”.
“Ad Anna Basta serviva un alibi, lei ha lasciato la ginnastica”
“Se i risultati li otteniamo e si ripetono nel tempo con ginnaste diverse, c’è un benessere. Poi ci può stare che una non arriva alle Olimpiadi. Anna Basta se n’è andata a maggio 2020, nessuno si era accorto del suo disagio. Il problema non erano i chili, era la tecnica. Le Olimpiadi si fanno in 5 e lei era la sesta. Le ho detto: vai a casa, centrati, ci risentiamo. È sparita. Ma non è il fallimento di nessuno. Anna non voleva più la ginnastica e si è portata dietro il conflitto in famiglia. Le serviva un alibi: non essere stata capita”.
“Il peso non è un ossessione, non c’era nessun malessere”
“C’è un sistema, nessuna ossessione. Il peso è una metodica come in tanti altri sport. Dal 2019, poi, con l’arrivo del dietista, molto è cambiato: la pesa non si fa quasi più, le ragazze mangiano da sole: lavorano 7-8 ore al giorno, se non mangiassero sarebbe un problema. Non è mai esistito un rito collettivo, lo facevano le mie assistenti tutte le mattine, certo non io. Le ragazze si cambiavano in spogliatoio e si pesavano prima di indossare la divisa. Se fosse successo qualcosa di sbagliato, sarei venuta a saperlo: nel 2011 ho allontanato un’allenatrice che stava troppo addosso alle ginnaste. Se con Olga Tishina (l’assistente indagata dalla giustizia penale e sportiva, ndr) ci fosse un malessere, lo saprei. Non c’è”.
Per dovere di cronaca, e a tutela di chi è indagato, ricordiamo che un’accusa non equivale a una condanna, che le prove si formano in Tribunale e che l’ordinamento giudiziario italiano prevede comunque tre gradi di giudizio
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